giovedì 2 luglio 2009

2009, anno della Fiat?


Come verrà ricordato tra dieci anni il 2009 dell'auto? L'anno del grande crollo del mercato? L'anno del fallimento dell'auto americana? O l'anno in cui Fiat comprò la Chrysler? Le tre possibili risposte si intrecciano: la crisi delle vendite di auto in America, scese dagli oltre 16 milioni del 2007 ai probabili meno di dieci quest'anno, ha dato il colpo di grazia a General Motors e Chrysler, che hanno dovuto portare i libri in tribunale. Ed è per salvare quest'ultima che Obama ha accettato l'offerta Fiat. Per gli osservatori italiani questo è certamente un evento di portata storica, nonostante l'ultima acquisizione all'estero da parte della Fiat (la serba Zastava) risalga a meno di un anno fa. Marchionne ha condotto le trattative per l'operazione Chrysler con la consueta perizia, ma il difficile arriva adesso: rilanciare un'azienda che ha bruciato nel 2008 oltre 16 miliardi di dollari, depauperata dopo gli anni di gestione Daimler e Cerberus, con una gamma sbilanciata su Suv e minivan, ma carente nelle auto vere e proprie. Come ha sottolineato un recente report dell'agenzia di rating Fitch, i rischi non sono tanto finanziari quanto di «esecuzione» dell'operazione. Ovvero stanno nella difficoltà di farla funzionare. La squadra di Marchionne è già al lavoro da qualche settimana: «hit the ground running», dicono gli americani, ovvero «ha iniziato a correre appena atterrata». Il numero uno ha clonato oltre oceano la struttura Fiat del Group Executive Council (GEC) con una ventina di manager che rispondono direttamente a lui e un numero relativamente ristretto di uomini Fiat. Il rilancio industriale è stato reso un po' più complesso dal fatto di aver perso per strada un pezzo – quello di Opel – che sarebbe stato molto utile nella fase iniziale della ristrutturazione: al di là delle auto piccole a basso consumo, che possono appassionare Obama ma non corrispondono per ora ai gusti dei consumatori Usa, le vetture made in Germany sarebbero state utili per rinnovare la gamma delle berline medie dell'azienda U.S.A. . Al di là dei significati simbolici – il gruppo italiano dato per spacciato cinque anni fa che fa shopping sul più grande mercato mondiale – quanto pesa per Fiat l'operazione Chrysler? Dal punto di vista strategico, molto. Nel breve periodo, però, più sul tempo dei manager che sui conti. Per quanto importante, comunque, l'avventura americana è solo uno dei dossier sulla scrivania di Marchionne, il quale deve gestire un gruppo da 50 miliardi di fatturato i cui tre principali settori – auto, camion e veicoli industriali – sono tutti in profonda crisi. I costruttori tagliano ovunque per tenere i conti in nero (non molti ci riusciranno, e Fiat spera di essere tra questi). A Torino come altrove molti progetti restano bloccati: dopo l'Alfa Milano tra un anno e la Lancia Ypsilon tra due, non ci sono esordi di peso per cui sia stata fissata una data, e lo stesso Marchionne ha presentato al tavolo con Governo e sindacati un piano molto più generico che nei due incontri romani precedenti. Proprio il tema dell'occupazione sarà uno dei più caldi nella seconda metà dell'anno: le fermate produttive per far fronte al calo di vendite potrebbero esaurire i periodi di cassa integrazione ordinaria concessi dalla legge. Sarà davvero un anno "darwiniano", di selezione dei più forti, come ha detto il numero uno di Daimler, Dieter Zetsche? Vedremo un consolidamento a tappe forzate, come predice Sergio Marchionne? L'intervento dei Governi sulle due sponde dell'Atlantico sta frenando sicuramente la "selezione naturale": nessun politico vuol lasciare i posti di lavoro del settore auto (e dell'indotto) alla sola regolazione del mercato, soprattutto in tempi così difficili. Per ora sono le aziende in crisi come Chrysler o GM a fornire materiale per fusioni e acquisizioni: l'ex numero uno mondiale ha annunciato in poche settimane la vendita di Saab, Saturn e Hummer. A frenare le concentrazioni contribuisce la prudenza dettata dagli insuccessi passati, mentre sta venendo meno la resistenza delle grandi famiglie a cedere i loro imperi: gli Agnelli hanno detto di essere pronti a far scendere la loro quota nella divisione auto, e lo stesso hanno fatto i Peugeot (che hanno da pochi mesi cambiato il management). Proprio PSA Peugeot-Citroën, ma anche BMW e persino i giapponesi della Suzuki, sono stati inseriti (con vario grado di attendibilità) nel novero dei candidati per una nuova alleanza con il Lingotto. Una maxifusione europea, «sfumata» con Fiat-Opel, è forse solo questione di tempo.
(Fonte: www.motori24.ilsole24ore.com - 2/7/2009)

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