La nascita della nuova FCA nata dalla fusione di Fiat e Chrysler è cronaca quotidiana in questi ultimi tempi. Il salvataggio, e quindi l’acquisizione dell’Azienda statunitense da parte di Fiat è il “sogno americano" di Sergio Marchionne che si realizza. L’America è sempre stata per gli imprenditori europei terra di conquista, anche in tempi non sospetti come gli anni venti, quando in realtà non c’era ancora l’assoluta necessità per sopravvivere, di cercare nuovi mercati. Vincenzo Lancia, fondatore dell’omonima Casa, è sempre stato dipinto, nell’immaginario collettivo, come il classico torinese “bugianen”, che ha passato la sua vita tra i monti e le officine piemontesi. Il suo personaggio stereotipato, benché sia stato uno dei più famosi piloti dell’epoca, era quello di un tranquillo piemontese dedito alla passione per le partite alle bocce o per le grandi abbuffate con gli amici. In realtà non era proprio così. La sua è stata una vita avventurosa, con molti interessi e diverse storie degne di essere raccontate. Una delle più intriganti è senza dubbio quella che lo vide, nella seconda metà degli Anni Venti, involontario protagonista in concomitanza della nascita dell’elegante Lancia Dilambda. Lancia vendeva negli Stati Uniti già da diversi anni: gli americani andavano pazzi per le sue auto, lo testimonia una famosa foto dell’epoca che ritrae due miti assoluti: la Lambda con alla guida Greta Garbo. Frank M. Ferrari, nessuna parentela con il più famoso Enzo, fonda nel 1925 la “Lancia Motor Sales Corporation” e vende le Lancia alle più importanti personalità americane. E’ sempre lui a presiedere la “City Trust”, una finanziaria alla quale fanno capo quattro banche che a loro volta controllano una cinquantina di società diverse. Ferrari è il Presidente, Victor Rocca Vice Presidente, Michael M. Longo Amministratore. Siamo nell’America degli anni Venti e i cognomi italiani, che cominciano ad essere troppi, dovrebbero preoccupare. Ma Vincenzo Lancia si fida e decide di andare anche a fabbricare le sue auto negli States, in società proprio con questi businessman. Pare che a convincerlo definitivamente sia stato un certo Antony Flocker. Costui un americano di madre italiana, si presentò come incaricato da un gruppo statunitense che aveva in progetto di costruire in Usa uno stabilimento per la produzione di automobili. “Monsù” Lancia restò affascinato dall'uomo e dall'idea, e vi si buttò a capofitto. Come spesso accadeva, non informò di questa decisione nessuno, né i suoi collaboratori, né i suoi parenti. L’auto da produrre ideale per le strade americane era la Dilambda, proprio in quegli anni in fase di definizione. Le vetture, però, destinate al mercato americano avrebbero dovuto avere un motore di cilindrata maggiore del tipo 220 già pronto con “soli” 3960 cmc., e una carrozzeria di gran comfort. Il programma era quello di presentare un prototipo del nuovo modello al New York Auto Saloon del ‘28, il più importante dell'epoca, e successivamente altri esemplari più definitivi al National Automobile Show in programma dal 5 gennaio 1929 al Grand Central Palace. Vincenzo Lancia, fedele alla sua indole entusiastica, mise subito all'opera il suo staff di progettisti e fece studiare un nuovo telaio, quello che poi sarebbe diventato, attraverso alcune modifiche, appunto quello della magnifica Dilambda. Negli States, intanto, il 29 settembre 1927 viene fondata, la “Lancia Motor of America”, con Vincenzo Lancia Presidente, Flocker Amministratore e Ferrari operativo a tutto campo: è proprio lui che acquista il vecchio stabilimento della Fiat a Poughkeepsie nello Stato di New York. Il capitale della Società è di tre milioni di dollari, ma non si sa bene chi e con quale percentuale lo abbia versato, di sicuro una grossa parte arriva dalle tasche di Vincenzo Lancia. Intanto a Torino Flocker iniziò a frequentare l'Ufficio Tecnico, interferendo nello studio con continue proposte di modifiche per lo più ritenute assurde e incomprensibili dai tecnici, che in ogni caso riuscirono ad allestire dodici prototipi, con carrozzerie di gran lusso a sei luci, alcune persino con diversi parti dorate, peraltro di dubbio gusto. Si capì successivamente che le continue interferenze di Flocker fossero mirate a ritardare il completamento delle auto per impedire che giungessero a New York in tempo per l'apertura del Salone e, cioè prima che la preparazione del complotto in atto fosse compiuta. Finalmente le auto furono spedite a New York in regime di temporanea importazione. Inaspettatamente partì anche Vincenzo Lancia che, con il suo piglio da leader non poteva neanche immaginare una così importante trattativa nelle mani di un estraneo. Sbarcò a New York il 3 gennaio e volle vedere il Salone e prendere personalmente contatto con i soci d’oltre oceano. Non dobbiamo dimenticare che all'epoca le comunicazioni erano alquanto precarie nel nostro paese, figuriamoci poi fra due continenti così distanti. A questo punto le testimonianze sono un po’ confuse. Di sicuro Vincenzo Lancia si accorge di essere pedinato, probabilmente dopo aver scoperto qualche cosa di losco. Non si sa esattamente se venne minacciato o, addirittura, rapito. Lo ritroviamo nel suo albergo dove affronta Flocker che pentito, gli svela le vere intenzioni dei soci americani. Anche questa volta Flocker è molto convincente, tanto che Lancia molto spaventato, si traveste e lascia l’albergo da una porta secondaria, raggiunge il porto e s’imbarca sulla prima nave in partenza per l’Italia. Riesce così, probabilmente a salvarsi la vita, ma anche a sventare il progetto delittuoso messo in atto dai “soci” americani. Ferrari e compagni, finiti nelle mani dei gangster, avevano creato una società fasulla per la fabbricazione di vetture Lancia, che in realtà non sarebbe mai esistita, allo scopo di lanciare sul mercato dei titoli azionari. La “Lancia Motors of America” fallisce e così anche la “City Trust”; si scopre che non è stato pagato l’acquisto dello stabilimento e a ruota falliscono altre società più o meno coinvolte nell’affare. L’arrivo di Lancia negli States aveva mandato a monte tutto il piano. Ci rimise un po’ di soldi e le dodici Dilambda, ma senza l’aiuto del “pentito” Flocker sarebbe finita molto peggio. Vincenzo Lancia non amava parlare di questa pericolosa avventura, ma decise di costruire comunque la Dilambda che uscì con il primo esemplare nel 1931. Ne vennero poi fabbricate oltre 700 unità fino al 1938, con diverse carrozzerie, sempre elegantissime e con un motore 8V monoblocco, con testa in ghisa, di 3956 cmc. e 100 CV a 4000 giri minuto. Data la mole della vettura, lunga ben 4 metri e 87 centimetri, Lancia, dopo la fortunata intuizione della struttura portante inaugurata nel ’22 con la Lambda, ritornò al telaio separato, ma anch’esso innovativo. La sospensione anteriore è a ruote indipendenti. Ed è necessaria una grande rigidezza torsionale dello chassis, che viene quindi realizzato con longheroni scatolati e con una grande crocera centrale di lamiera sempre scatolata, disposta a X e forata per il passaggio dell’albero di trasmissione. Altre particolarità: la larga applicazione di cuscinetti “Silentbloc” alle articolazioni, il dispositivo a pompa per ripristinare il livello del lubrificante, il termostato sul radiatore e la lubrificazione centralizzata dello chassis per mezzo di una pompa comandata da un piccolo pedale sotto il cruscotto. Non solo: i fanali anteriori riprendevano la forma dello scudo Lancia e il pomello della leva del cambio aveva in testa una serratura per bloccarla e fare così da antifurto.
(Fonte: www.repubblica.it - 23/10/2014)
Nessun commento:
Posta un commento