Il caso Maserati merita di non essere archiviato. Lunedì scorso Sergio Marchionne è tornato apposta dagli U.S.A. per una riunione con 200 dipendenti della fabbrica di Grugliasco (direttore, delegati dei sindacati non Fiom, e operai capisquadra) con i quali il manager col maglioncino ha trattato direttamente, scavalcando il sindacato “professionale” e le stesse strutture Fiat (dell’incontro non esiste neanche una foto). L’atipico blitz ha permesso a Marchionne di uscire da una situazione kafkiana: a causa di alcune agitazioni sindacali, non solo Fiom, l’azienda aveva deciso di sospendere l’aumento della produzione rinviando il trasferimento a Grugliasco di 500 cassa integrati di Mirafiori. Ora i trasferimenti sono sbloccati e da settembre si fabbricherà il 20% in più di Ghibli. Ciò nonostante, la mossa di Marchionne prova che il sistema di relazione sindacali in Fiat è andato in tilt. A quello di Grugliasco si aggiunge un caso ancora più grosso. Fiat com’è noto ha un proprio contratto “nazionale”, diverso da quello di Federmeccanica e non riconosciuto dalla Fiom. Contratto scaduto a dicembre 2013 e non ancora rinnovato nonostante la distanza fra le richieste dei sindacati firmatari (Fim, Uilm, Ugl, Fismic e Associazione Quadri) e il Lingotto sia di soli 50 euro annui: a una domanda di aumento di 300 euro annui Fiat risponde con 250. Anche se la Fiat europea si avvia a chiudere anche il 2014 in perdita, è evidente che il punto non è questo. Cosa c’è in gioco, allora? Il vero nodo da sciogliere – che in ogni caso sarà affrontato in Italia a partire dall’autunno – è il legame fra contratto e produttività. In America, Marchionne lo ha risolto in modo opposto alla tradizione italiana dell’azienda: con la cogestione. Infatti, l’United Automobiles Workers, il sindacato americano, cogestisce gli stabilimenti (direttori di stabilimento e capi dei consigli di fabbrica generalmente hanno gli uffici uno di fronte all’altro), le assunzioni, ma soprattutto il sistema produttivo FCA di impronta toyotista che si chiama World Class Manufacturing (WCM). Il che vuol dire, ad esempio, che nella scuola dove gli operai americani familiarizzano con il WCM, la Warren Academy, gli insegnanti sono funzionari dell’UAW. Sarebbe come se in Italia la Fiom insegnasse agli operai a non perdere tempo, a lavorare in squadra e a garantire all’azienda oltre al proprio lavoro anche idee e progetti destinati a migliorare quantità e qualità della produzione. Marchionne vuole legare il prossimo contratto italiano ai risultati garantiti dal WCM. E il sindacato? Durante le schermaglie legate al caso Grugliasco sono emerse opinioni diverse in un’organizzazione tradizionalmente “tranquilla” come il Fismic ma soprattutto nella Fim, il sindacato più numeroso in Fiat con i suoi oltre 7.000 iscritti (fonte: Fim, gennaio 2014). L’ala torinese della Fim, guidata da Claudio Chiarle, vorrebbe puntare più sul rilancio delle fabbriche che sui pochi soldi del contratto. Anche in Fiom si discute. L’organizzazione guidata da Maurizio Landini negli ultimi mesi ha proclamato piccoli scioperi in tre stabilimenti (VM di Cento, Sevel di Atessa, assieme alla Uilm, e Grugliasco) ottenendo sempre adesioni intorno al 10% (fonte: Fiat). Sul fronte Fiat, la Fiom ha registrato clamorose vittorie sul fronte giudiziario ma su quello interno delle fabbriche, dove è ritornata ovunque, il quadro è meno brillante. Gli iscritti sono poco più di 5.000 (fonte: Fim, gennaio 2014) e in interi stabilimenti come quello di Termoli, dopo la provocazione Fiat, battuta in Tribunale, di pagare meno gli operai iscritti alla Fiom, le adesioni sono ridotte al lumicino. Anche a Melfi, mesi fa, l’organizzazione ha subito una dolorosa scissione fra i propri delegati. In questo quadro Fiat si avvia a un periodo di fortissima pressione nelle fabbriche. A settembre riaprirà Melfi che da ottobre prevede di sfornare 900 Jeep Renegade al giorno su tre turni oltre a 400 Punto su due turni (fonti sindacali). Il 2015 sarà l’anno di Mirafiori e di Cassino. La prima fabbrica rinascerà con il Suv Levante della Maserati, la seconda con la Giulia dell’Alfa Romeo. Progetti delicatissimi e rischiosi. Clonazioni multiple del “caso Grugliasco” produrrebbero un Vietnam che non conviene a nessuno, né all’azienda né ai sindacati.
(Fonte: www.carblogger.it - 25/6/2014)