mercoledì 18 agosto 2010

Il vuoto cinese di Mr. Marchionne


Nel solo mese di luglio, in Cina si sono vendute quasi tutte le auto che quest’anno si venderanno in Italia. 1,2 milioni contro gli 1,7 stimati dai costruttori nel nostro Paese, dopo la fine degli incentivi statali. «Abbiamo tanta ambizione di svilupparci molto in questa parte del mondo», ha detto il 2 giugno scorso il presidente della Fiat, John Elkann, partecipando alla festa della repubblica all’Expo di Shangai. Il gruppo italiano è di fatto fuori da questo immenso mercato, considerando che la controllata Magneti Marelli ha appena inaugurato la sua fabbrica alla presenza di Elkann. Solo alla fine del 2011 comincerà in Cina la produzione di una berlina italiana, la Linea, e dei suoi motori, in uno stabilimento nel Guangdong per l’accordo di joint venture siglato dal Lingotto con Guangzhou. L’intesa è arrivata dopo diversi scacchi con altri partner locali, con i quali le intese (una delle quali prevedeva la produzione dell’Alfa Romeo in Cina) si sono via via bloccate. Oggi la «tanta ambizione» del gruppo deve accontentarsi di un accordo limitato: gli obiettivi sono la produzione di 140.000 vetture e 220.000 motori nel 2012, da portare rispettivamente fino a 250.000 e 300.000 entro il 2014. Meglio tardi che mai, certo, benché sia un ritardo che si può già definire storico rispetto alla concorrenza europea e asiatica di Fiat. Basti pensare che i francesi di PSA (Peugeot-Citroen) hanno appena firmato per una seconda joint venture e che Renault-Nissan ha siglato un progetto per l’auto elettrica a Wuhan, politicamente oltre che automobilisticamente importante, considerando la forte accelerazione agli investimenti data dal governo di Pechino al tema dell’auto a zero emissioni negli ultimi sei mesi. La Fiat non può contare nemmeno sulla controllata Chrysler, assente dalla Cina dopo un avvicinamento nel 2007 con Chery, mentre i concorrenti General Motors e Ford traggono proprio da questo mercato i loro profitti più grandi, come si è visto negli spettacolari risultati delle trimestrali rese note nei giorni scorsi che evidenziano anche come l’altro aumento delle vendite sia stato sul proprio mercato nordamericano, maggiore per le due big rispetto a quello della più piccola Chrysler. Negli obiettivi dell’amministratore delegato del gruppo Fiat-Chrysler, i numeri piuttosto ambiziosi annunciati per il 2014 (ricordiamoli, 3,8 milioni di auto «italiane» e 2,8 «americane») tengono conto della Cina soltanto per le circa 300.000 vetture del Guangdong. Questo mercato, peraltro, sta premiando più i marchi di lusso che i generalisti come Fiat. In luglio, Audi ha aumentato le vendite del 53%, BMW dell’82, Mercedes ha triplicato le vendite. Non che le cose vadano male per tutti gli altri: in Cina ci sono ancora soltanto 20 automobili per 1.000 abitanti. Se nel 2009 le vendite sono aumentate complessivamente del 46% - un anno boom, spinto anche dalla detassazione del governo del 50% per chi acquistava automobili con una cilindrata massima di 1600 centimetri cubici - quest’anno l’associazione dei costruttori in Cina prevede una crescita del 17%, con un mercato fatto da circa 16 milioni di vendite nuove. E’ un rallentamento se non fosse che la parola suona strana nel depresso occidente e se non fosse che, a guardare meglio i dati degli ultimi quindici anni, la crescita media del mercato cinese si è attestata fra il 12 e il 22%. Gli analisti prevedono una piccola frenata in agosto e un settembre così così, per poi chiudere in bellezza il 2010 negli ultimi tre mesi.
(Fonte: www.ilmanifesto.it - 15/8/2010)

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