lunedì 8 marzo 2010

John Elkann: "Ecco la Fiat dei miei sogni: più forte, cuore e testa in Italia"


«Vorrei parlarvi del mio sogno che è quello di una Fiat sempre più forte, quello che ho vissuto in questi anni. E per farlo voglio iniziare dal 2002». La Fiat raccontata per la prima volta da John Elkann sta in questi otto anni, tra l'azienda che c'era e non c'è più e quella che sarà ma non c'è ancora. La Fiat del Novecento finita con l'Avvocato e la Fiat di Sergio Marchionne che cerca spazi nel mondo per restare tra i big player dopo essersi affacciata pericolosamente sull'abisso della scomparsa. «Una Fiat più grande, di una grandezza che non sarà mai a scapito dell'Italia, con il cuore e la testa a Torino» E' una serata molto torinese quella in cui il giovane vicepresidente della Fiat e presidente di Exor racconta e si racconta, in un salone dell'Unione Industriali davanti a una platea di soci del Rotary. Primo capitolo, la paura del declino.
L'addio all'Avvocato
«E' il 2002, l'anno in cui il dottor Gianluigi Gabetti è rientrato dalla Svizzera e io dagli Stati Uniti. Siamo tornati per senso del dovere e perché c'erano tante cose che pensavamo potessero essere fatte. Mio nonno era gravemente malato e l'azienda stava attraversando un momento difficilissimo. Alla sua morte, mio zio Umberto assunse la presidenza. Fu allora che decidemmo di investire 250 milioni di risparmi come famiglia: eravamo convinti che la situazione non fosse così disperata come veniva descritta». E' la breve e turbolenta stagione della Fiat guidata da Giuseppe Morchio e della malattia di Umberto Agnelli. La svolta avviene ancor prima dei funerali di Umberto. «L'ingegner Morchio fece sapere a Gabetti e a Franzo Grande Stevens che era sua intenzione convocare un consiglio di amministrazione al quale sottoporre la proposta dell'assunzione del doppio incarico, di presidente e amministratore delegato. Da tempo però noi avevamo considerato che, per il buon funzionamento dell'azienda, fosse necessario tenere distinti i due ruoli. Un equilibrio adeguato che non avevamo intenzione di modificare. Il 31 maggio c'era l'assemblea della Banca d'Italia e Morchio voleva essere sicuro di arrivare a quell'appuntamento con il doppio incarico. Noi ritenemmo che ciò non fosse possibile».
Da Morchio a Marchionne
In un giorno di lutto per la famiglia Agnelli si chiude l'era Morchio. «Con Gabetti e Franzo Grande Stevens cominciammo a pensare quali potevano essere le alternative qualora Morchio avesse insistito nella sua richiesta. Nel cda della Fiat avevamo già una persona che aveva dimostrato la sua capacità in una società che si chiama Sgs di cui eravamo azionisti da anni: il dottor Sergio Marchionne. Assieme a Gabetti c'eravamo preparati all'eventualità e avevamo incontrato Marchionne, il quale ci disse che in quella situazione la cosa più importante era assicurare il massimo di continuità. Nel giorno dei funerali dello zio, Morchio convocò un cda al quale intendeva presentare la sua proposta. Ma venne anticipato da Gabetti che riunì la famiglia e, in previsione di quanto sarebbe accaduto, senza mai fare il nome di Marchionne, propose la soluzione della presidenza affidata a Montezemolo, allora nel cda Fiat, e la vicepresidenza a me. Così, dopo la rinuncia di Morchio, avremmo potuto procedere alla nomina di Marchionne come ad». Al consiglio da lui convocato Morchio non si presenta. Il rumore delle pale di un elicottero che si alza in volo dalla pista del Lingotto è il segnale della sua uscita dalla Fiat.
Il nodo del convertendo
«In quei giorni il destino della Fiat Auto è ancora una volta molto incerto. La General Motors era azionista al 20% e c'era anche il diritto che Fiat poteva esercitare di vendere tutta la società dell'auto a GM. Dovemmo fronteggiare allora tre grosse difficoltà: la prima di tipo finanziario perchè la Fiat aveva un forte debito, la seconda operativa in quanto la sua attività non andava bene, la terza di identità perché nessuno sapeva quale sarebbe stato il futuro. Nel 2005 il problema più grosso era il prestito convertendo di 3 miliardi di Euro con le banche che alla scadenza poteva trasformarsi in una perdita del controllo della società. C'erano segnali di miglioramento ma erano difficili da identificare e c'era anche la preoccupazione crescente per gli appetiti che andavano manifestandosi anche perché Fiat aveva valore in settori diversi dall'auto». «Fu allora che Gabetti e Grande Stevens trovarono una soluzione che nel settembre del 2005 consentì a Ifil di chiudere la partita del convertendo conservando la quota di controllo di Fiat». E' questo il passaggio, ancora oggi materia di un contenzioso sul quale sta per esprimersi la magistratura. John Elkann non sfiora l'argomento, ma si limita a ricordare che «senza la soluzione studiata da Gabetti e Grande Stevens sarebbe stato difficile sapere come sarebbe evoluta la situazione». Quello che è certo è che per la Fiat comincia un nuovo periodo. «Da quel momento si cominciò a lavorare con uno spirito positivo nuovo. La Grande Punto fu il primo successo, il segnale della svolta vera e di un recupero che avrebbe avuto un seguito negli anni a venire. Il momento più bello fu, subito dopo, il lancio della 500, avvenuto non a caso a Torino. Poi, come talvolta accade quando si lavora in armonia, un successo tirò l'altro. Nel 2008 Fiat registrò i migliori risultati della sua storia».
La crisi globale
Ma all'orizzonte c'è già la grande crisi. «Nell'ultimo trimestre fummo costretti a confrontarci con le impreviste difficoltà imposte dalla crisi mondiale, che si sono tradotte in un calo della domanda in tutti i mestieri del nostro gruppo e in una forte tensione sulla liquidità». Il racconto del vicepresidente torna ad assumere toni preoccupati, ma di una preoccupazione molto diversa da quella di metà del decennio. «Con la crisi ci siamo resi conto che non potevamo restare marginali. Un mercato sempre più contratto e i volumi in calo avevano creato necessità finanziarie enormi. E così nel 2009 abbiamo cercato nuove alleanze dialogando con costruttori e governi. Siamo stati fortunati a incrociare Chrysler, che è un'azienda che produce come Fiat. Sono tornato qualche ora fa dal Salone di Ginevra, dove ho potuto constatare l'ampiezza dell'offerta che oggi è in grado di offrire il nuovo gruppo».
Fuori dal tunnel?
«Con Chrysler possiamo fare ciò che da soli non avremmo mai potuto fare. Stiamo lavorando con grande entusiasmo, sapendo che sui mercati mondiali dell'auto ci sono ora i Paesi emergenti con i quali dobbiamo confrontarci. Nel 2009 la Cina è stata il primo mercato automobilistico del mondo. Nello stesso anno abbiamo risposto con accordi in Messico, Russia, Cina e Brasile dove, appena tre giorni fa, Marchionne ha firmato un'intesa per la produzione di mezzi agricoli. Siamo impegnati in una sfida globale che comprende anche il lavoro per presidiare le nuove tecnologie compatibili con l'ambiente sulle quali siamo già avanti, come dimostra il motore presentato a Ginevra». Che cosa resta da fare in un momento nel quale, peraltro, è ancora aperto il drammatico capitolo di Termini Imerese, con il futuro senza certezze per oltre mille lavoratori? «Lavorare molto sull'integrazione con Chrysler, rafforzare la presenza nei paesi emergenti, mantenerci all'avanguardia sul fronte dell'innovazione. L'altra sfida è far sì che le persone che lavorano in Fiat siano al passo con tutto questo». In una serata in cui il tema degli ospiti rotariani era “Il sogno”, John Elkann ha raccontato il suo. Domanda: ma lei sogna in americano o in italiano? «Io sogno una Fiat grande in Italia e nel mondo».
(Fonte: www.repubblica.it - 6/3/2010)

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