venerdì 5 marzo 2010

Fiat, cosa c'è dietro l'apertura di Marchionne sullo spin-off dell'auto


Al salone di Ginevra Sergio Marchionne ha confermato i rumors che ormai si rincorrevano da mesi: Fiat Auto, la società che nel gruppo Fiat opera nella costruzione di autovetture, potrebbe subire uno spin-off. In altre parole la Fiat Auto, al momento controllata al 100% da Fiat Group S.p.A. potrebbe essere separata dal resto del gruppo e quotata sul mercato. Gli analisti concordano nel ritenere che il Fiat Group capitalizzi sul mercato circa 10 miliardi. Pertanto, la quotazione del comparto auto determinerebbe un flusso a favore delle casse del Lingotto compreso tra i tre e i cinque miliardi di euro. Tali valori non comprendono tuttavia la valutazione di Ferrari e Maserati che, in via di principio dovrebbero essere escluse dal perimetro di quotazione. Un simile deal determinerebbe una maggiore integrazione di Chrysler e Fiat Auto: Marchionne infatti ha convito il Governo americano ad evitare il Chapter 11 al costruttore U.S.A. proprio puntando sulla condivisione delle piattaforme tecnologiche, in particolare dei motori a bassa emissione e sulla razionalizzazione dei processi produttivi. Marchionne infatti è stato tra i primi manager dell’automotive a maturare il convincimento per cui il panorama globalizzato richieda ai maggiori player per rimanere sul mercato, di produrre almeno 6 milioni di vetture l’anno, al fine di ridurre i costi legati principalmente allo sviluppo e alla produzione dei veicoli. Tuttavia le ragioni che potrebbero spingere la Casa di Torino a cimentarsi in questa operazioni investono anche la governance di tutto il Gruppo. Ad oggi, la famiglia Agnelli–Elkann, gli eredi dell’Avvocato Agnelli, detengono il 30% di Fiat Group mediante la finanziaria Exor Group. Quest’ultima di recente è stata oggetto di una ristrutturazione che ne ha visto l’accorciamento della catena di comando per limitare la dispersione degli utili verso la cassaforte di famiglia e per diversificare il portafoglio di investimenti della finanziaria. E proprio questa opera di diversificazione potrebbe indurre l’azionista di riferimento a concentrarsi maggiormente in altri settori, tralasciando il comparto delle autovetture. Del resto questo business ha una carattere decisamente ciclico e richiede notevoli investimenti per elevare di continuo i livelli tecnologici. Pertanto la famiglia Elkann potrebbe scegliere un graduale disimpegno in quello che per tre generazioni ha rappresentato il core business del Lingotto. Solo un anno fa infatti, gli eredi dell’Avvocato, mediante Exor, tentavo di acquistare dal Gruppo Intesa, Banca Fideuram, attiva nella gestione di capitali. L’acquisto, sfumato per il dissenso tra le varie anime di Intesa, avrebbe comportato l’esborso cash per un miliardo da parte di Exor e il ricorso alla leva finanziaria per un altro paio di miliardi. È indubbio quindi che la finanziaria degli Elkann goda di una notevole liquidità e che i mancati interventi al sostegno del settore auto, straziato dalla crisi, perseguano chiaramente la strategia di un graduale disimpegno. Si aggiunga che nell’ultimo periodo, Montezemolo, tradizionalmente molto vicino agli azionisti di riferimento del Lingotto, sia sempre più un presidente di holding che si occupa molto poco di auto e tanto di Ferrari e degli altri brand del gruppo. Al contrario Marchionne è sempre più un uomo solo al comando che gode di una radicale autonomia nella gestione dell’auto. Pertanto non sarebbe peregrino pensare a uno spin-off di Fiat Auto in cui venga inglobata Chrysler nell’ottica di una grande public company, il cui azionariato sarebbe polverizzato su scala planetaria. Marchionne si ritroverebbe quindi alla testa di un colosso multinazionale senza azionisti di riferimento che siano in grado di dettargli le linee del business dell’azienda. D’altra parte, in un’epoca in cui lo Stato, dopo trent’anni di sovvenzioni, aiuti, cassaintegrazione e prepensionamenti, per ragioni contingenti tende a ridimensionare il suo sostegno all’auto, rende meno profittevole un business che negli ha beneficiato del denaro dei contribuenti. La strada verso una grande multinazionale dell’auto è tuttavia lunga e tortuosa. Un simile progetto infatti deve tenere conto dell’attuale assetto del Gruppo Fiat: le tecnologie dei motori sono detenute e gestite da un’unica società, Fiat Powertrain e utilizzate anche da Iveco e CNH che verosimilmente non saranno incluse nello spin-off. Inoltre, nonostante Fiat Auto e Chrysler divengano un’unica entità, non sarebbero in grado di raggiungere il target di produzione di sei milioni di veicoli all’anno. Pertanto Marchionne dovrà individuare altri produttori con cui stringere accordi che inevitabilmente concorreranno a costituire una Fiat Auto sempre meno torinese.
(Fonte: www.loccidentale.it - 5/3/2010)

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