"La Fiat ha le radici in Italia. Non abbiamo spostato il baricentro, abbiamo piuttosto allargato la nostra base operativa per rendere quel baricentro più stabile". Così Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo di Torino e di Chrysler parla davanti all'assemblea degli azionisti della Fiat. Nel suo lungo intervento spiega ancora una volta i vantaggi dell'alleanza con gli americani e punta l'indice contro "i fischi gratuiti", contro "la mancanza di equilibrio di certi giudizi" e "contro il nuovo tiro al bersaglio che sta vivendo l'azienda".
Dagli anni bui alla rinascita - "Nel 2004 non c'era una sola voce a scommettere sulla rinascita dell'azienda. La gara era indovinare la fine più cruenta. La storia ha dimostrato che i profeti si sbagliavano. La prima prova è arrivata il 14 febbraio 2005, quando abbiamo risolto il problema dell'alleanza con General Motors, ridando alla Fiat la libertà di decidere il proprio futuro".
Termini Imerese - "Non è stata una decisione presa alla leggera. Non l'avremmo mai fatto se non fosse stato più che necessario, se ci fosse stata una reale alternativa". Marchionne ripercorre, poi, la storia dello stabilimento siciliano nato del 1970 e ricorda che produrre una vettura lì "costa fino a mille in euro in più". "Da quando è stato costruito Fiat ha investito nell'impianto 552 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti altri 250 milioni di euro per progetti che non rientravano tra quelli agevolati. Per contro ha ricevuto 93 milioni di contributi a fondo perduto e 164 milioni in prestiti (questi ultimi tutti restituiti)".
Quest'anno? Sarà difficile - "L'anno scorso l'emorragia è stata tamponata solo grazie agli incentivi varati dal governo. Nel 2010 si attende un crollo degli ordini del 15%: arriveremo a valori così bassi che non si vedevano dal 1994. Vuol dire che nel giro di tre anni il mercato europeo ha perso un quarto dei volumi. Bisognerà attendere quattro anni prima che la situazione ritorni a livelli normali. A volte ho l'impressione che la politica e i sindacati non si rendano conto delle dimensioni della crisi che ha investito il nostro Paese, che riguarda solo in parte il settore dell'auto."
La Panda a Pomigliano - "La crisi internazionale ha colpito duramente Pomigliano. L'anno scorso ha raggiunto a fatica le 36.000 vetture prodotte contro una capacità produttiva di 240.000. Per salvarlo era necessario un atto di coraggio, oltre che un enorme sforzo finanziario. Abbiamo messo sul piatto entrambi". La prossima generazione di Panda, infatti, sarà sfornata dalle linee di Pomigliano anziché da quelle di Tychy, in Polonia, da cui nasce l'attuale modello. "Fra tre anni potremmo parlare di Pomigliano come il secondo più grande stabilimento Fiat in Italia. È chiaro che è necessario trovare una compatibilità economica per un intervento che si prevede molto complesso". Marchionne, infatti, stima i costi di tale operazione in "centinaia e centinaia di milioni di euro", ma afferma: "è un nostro dovere privilegiare il Paese in cui Fiat ha le proprie radici". Agli azionisti il numero uno del Lingotto ha anche ricordato che gli investimenti per il prossimo biennio ammonteranno a 8 miliardi di euro, di cui due terzi in Italia.
Una Fiat globale per necessità - "La Fiat non è andata all'estero per capriccio e di sicuro non c'è andata per dimenticare l'Italia. Ci siamo andati per essere più forti. Se i nostri giovani vanno a studiare ad Harvard o al MIT non si può rinfacciare loro di voler abbandonare l'Italia".
La seconda chance - "Capita di rado che ti venga data una seconda chance. La crisi che si è abbattuta sul nostro settore ha già fatto vittime illustri. La colpa di molti costruttori è di non aver reagito a un mondo che è completamente cambiato. Putroppo, è arrivata la resa dei conti. Ma non è così per la Fiat e per l'Italia. Oggi, grazie anche all'accordo con Chrysler, abbiamo una seconda possibilità di ricostruire una base industriale forte nel nostro Paese. Non sprechiamola".
(Fonte: www.quattroruote.it - 26/3/2010)
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