giovedì 7 gennaio 2010

Evoluzione della specie industriale: Fiat come Apple


Che cosa hanno in comune la Fiat di Sergio Marchionne e la Apple di Steve Jobs? Apparentemente nulla. In realtà hanno in comune il dna: lo spirito con cui stanno affrontando il nuovo mondo che esce faticosamente dalla crisi e si presenta con nuove gerarchie di paesi, imprese, modelli, nuovi equilibri tra governi, banche e industria. Joseph Schumpeter sosteneva che innovazione significa combinare i vecchi fattori, le vecchie forze in modo diverso. Mai come in questo periodo la teoria, sorta all'inizio del '900, è modernissima: quando il gioco è regolare, vincono i grandi giocatori, vincono la stabilità e la tradizione. Se il gioco si fa complesso, vince chi spariglia, chi dimostra di sapersi adattare velocemente. Insomma, chi sa muoversi come una start up, che faccia automobili o computer. La tradizionalissima Fiat è entrata nel 2009 in un modo e ne è uscita in un altro, non solo grazie all'acquisizione della Chrysler ma soprattutto per aver capito che l'industria dell'auto doveva consolidarsi e non solo essere aiutata e per aver anticipato il tema della tecnologia verde: la 500 non è il Voyager. Il vecchio modello di business non reggeva, quello nuovo sì. Certo, i modelli non sono sempre riproducibili e, mai come in questo periodo, ogni azienda, ogni imprenditore dovrà riadattarli su di sé, pensare a un'impresa in qualche misura "taylor made", sartoriale. Ma alcune caratteristiche sono comuni ai vincenti:
1) aprirsi ai mercati esteri, o almeno entrare in una filiera internazionale: chi ha saputo cambiare mercato ha avuto un indiscutibile vantaggio;
2) darsi una nuova organizzazione produttiva all'interno, razionalizzando ancora i costi, aumentando la produttività e rivedendo tutta la filiera: il made in Italy finora si è preoccupato molto della qualità del prodotto, il salto è preoccuparsi anche di come arrivare al cliente finale in modo efficiente;
3) il valore aggiunto sta spesso nella dimensione immateriale del prodotto: marketing, comunicazione, confezione, in altre parole sogno;
4) più capitali: gli imprenditori devono investire di più nelle proprie aziende, sarà più facile ottenere credito anche dalle banche e fare il salto dimensionale necessario;
5) capacità di individuare segmenti, nicchie e comparti che siano in grado di garantire alti tassi di crescita e profittabilità.
Le imprese che affrontano questi percorsi sono quelle che vanno meglio, che riusciranno ad approfittare della ripresa e se la ripresa tardasse, sapranno attenderla con nuovi equilibri. Il rischio è ancora una volta finanziario. Le aziende indebitate per innovare, rischiano di soffrire le conseguenze del credit crunch. Tocca alle banche fare un salto di qualità e avere un approccio meno burocratico e più attento alle singole storie delle imprese. Altrimenti la crisi finirebbe per essere tutt'altro che meritocratica: i migliori ne usciranno feriti. Un'ultima occasione da non perdere: approfittare della ripresa per mettere in gioco i talenti di chi, come le donne e i giovani, finora ha giocato solo ai margini del campo.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 7/1/2010)

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