martedì 31 agosto 2010
Fiat, al via la selezione della rete di vendita negli Stati Uniti
Nella giornata di ieri, Fiat ha compiuto il primo passo verso l’America. Il legame con Chrysler è già un bel passo compiuto, ma lo sbarco concreto (con vetture e tutto ciò che ne consegue) non è ancora avvenuto. Ed è, probabilmente, la parte più complessa del progetto: forgiare l’America e l’americano sul prodotto italiano. Spetta a Laura J. Soave il compito, amaro e onorevole, di preparare la strada alla piccola Fiat 500, la prima delle automobili del Lingotto che, dopo 25 anni, riporteranno là il brand italiano Fiat. Starà a Soave (ex-Volkswagen) occuparsi di marketing, di vendita, di assistenza: in poche parole, il manager italo-statunitense sarà la responsabile per il Nordamerica di Fiat Group. Un primo passo, dicevamo: ebbene, ieri Soave ha incontrato 400 di 600 concessionari selezionati (quelli che hanno potuto o hanno voluto dare la propria disponibilità) al Detroit Institute of Arts Museum, giocando nella casa delle Big Three, oggi in forte decadenza. Da questo incontro, i possibili dealers sono usciti con tutte le informazioni per presentare una domanda di franchising, vale a dire affiliazione, a Fiat al fine di poter vendere le vetture del Lingotto. Le richieste dovranno essere presentate entro il prossimo 22 settembre e solo più tardi il costruttore annuncerà quale sarà la rete di vendita. Secondo Soave, infatti, è assolutamente necessario che le concessionarie che commercializzeranno le automobili siano formate e altamente selezionate poiché il primo contatto tra il marchio italiano e gli acquirenti statunitensi avverrà tramite il rivenditore.
(Fonte: www.ultimogiro.com - 31/8/2010)
lunedì 30 agosto 2010
Le due incognite di Fabbrica Italia: modelli vincenti e debolezza della ripresa economica
Sergio Marchionne promette investimenti in Italia per 20 miliardi, non chiede più rottamazioni e nemmeno prospetta aumenti di capitale. Tutti tranquilli, sindacati moderati, governo e azionisti. La nuova Fiat può farcela da sola, purché abbia fine la lotta di classe. Come ogni semplificazione d'autore, anche quella di Marchionne esercita il suo fascino indiscreto, ma l'economia non è mai così semplice, nemmeno quella aziendale. E nel caso della Fiat, tra progetti e realtà emergono distanze tutte da capire. La New Fiat (Auto, Powertrain, Marelli, Comau, Teksid e altro tra cui la quota Rcs) investirà 19,7 miliardi tra il 2010 e il 2014. Fiat Industrial, la nuova holding che comprenderà Iveco, Chn e relativi motori, altri 6,3. Se, come si dice, il progetto Fabbrica Italia vale 20 miliardi, agli stabilimenti esteri andranno le briciole, benché diano i risultati migliori. Le joint-venture cinesi, russe, serbe, turche, dove si investiranno 3,3 miliardi per produrre 920 mila pezzi, esigeranno da Torino, che porta il know how, solo il 10% della spesa; in ogni caso, non essendo consolidate integralmente, l'onere non si vedrà nel bilancio. L'Italia, dunque. In casa la Fiat perde, è vero. Ma perde anche perché utilizza troppo poco gli impianti che, per quanto ammortizzati, hanno ingenti costi fissi. Nel 2009, considerando il livello ottimale (280 giorni di lavoro l'anno 24 ore su 24), Mirafiori è stata usata al 64% della capacità produttiva, Cassino al 24%, Melfi al 65%, Pomigliano al 14% e la molisana Sevel al 33%. Tichy viaggiava al 93%, del Brasile non si dice nulla, ma sarà simile alla Polonia. L'insufficiente utilizzo degli impianti non dipende solo dai problemi sindacali: in passato, ci sono stati anni ben diversi. In larga misura deriva dalla difficoltà di vendere le auto nonostante gli incentivi. Nel 2010, a recessione e incentivi finiti, si vende ancora meno, ma la Fiat guarda oltre la transizione e prevede di aumentare capacità produttiva e produzione reale confidando in un ritorno ai livelli pre crisi nel 2014. Per allora, il tasso di utilizzo degli impianti, resi ancor più potenti, dovrebbe salire all'88% a Mirafiori, al 93% a Cassino, al 101% a Melfi, al 90% a Pomigliano (mentre Tichy scenderebbe al 73%) e al 69% ad Atessa. La produzione italiana balzerebbe così da 650 mila a 1,4 milioni di automobili e da 150 mila a 250 mila veicoli commerciali leggeri, il tutto destinato in gran parte all'esportazione, con 300 mila pezzi in America. I marchi del gruppo torinese volerebbero nel quinquennio da 2,2 milioni a 3,8 milioni di vetture. E con Chrysler si raggiungerebbe la produzione di 6 milioni, considerata indispensabile per competere sui mercati globali. Un tale progetto, promette Marchionne, non richiede aumenti di capitale. Certo, quest'anno il debito netto delle attività industriali impennerà fin verso i 6 miliardi, ma poi calerà e tra 5 anni comparirà una liquidità netta di 3,4 miliardi nel 2014. Perfetto. Forse fin troppo perfetto. In Italia stanno la forza e il rischio del progetto. La concentrazione degli investimenti si spiega con il fatto che solo con il pieno sfruttamento degli impianti nazionali l'aggregato Fiat-Chrysler agguanta il traguardo produttivo. Polonia e Brasile, insomma, non potrebbero aggiungere più di tanto. Se così è, Marchionne ha varato Fabbrica Italia perché non disponeva di alternative migliori. Avesse preso la Opel, con i finanziamenti pubblici legati alla salvaguardia delle unità produttive locali, avremmo sentito un'altra storia. Ma il governo e i lavoratori tedeschi (che non fanno più la lotta di classe, ma stanno nei consigli di sorveglianza) hanno ritenuto non conveniente il piano Fiat e la General Motors, appoggiata dalla Casa Bianca, si è tenuta infine la Opel. E' vero che Marchionne può andare in Serbia, ma quante Serbie ha sotto mano oggi, per quali quantità e fin dove può gestire la complessità accentrando tutto il potere? La dipendenza della Fiat da Fabbrica Italia restituisce un pò di potere contrattuale al sindacato, al governo e a quanti, nella finanza, perseguono il proprio interesse di lungo periodo in un quadro più generale. Non dimentichiamo che tra il 1993 e il 1998 Mediobanca e Generali affiancarono la famiglia Agnelli nel controllo della Fiat e tra il 2002 e il 2005 le banche convertirono i crediti in azioni. Senza quei soccorsi non ci sarebbe stato Marchionne. Meglio turare le falle o prevenirle? Ebbene, il futuro di Fabbrica Italia è appeso a due fili oggi invisibili ai più: il primo è la capacità mai scontata di progettare modelli vincenti ad alto valore aggiunto, e perciò adatti a essere prodotti in paesi ad alto costo del lavoro; il secondo è il ciclo dell'economia che, rallentando il ritorno degli investimenti, potrebbe minare le finanze aziendali. Nella storia della Fiat, ci sono successi come la Panda, la 500 e la Punto, ma anche promesse mancate come l'Alfa Romeo, la Lancia e l'alto di gamma. Il precedente piano quinquennale prevedeva per il 2009 l'azzeramento del debito, che invece è risalito a 4,4 miliardi. Insomma, tra il dire e il fare ci sono di mezzo incognite vere. Dalle presentazioni agli analisti risulta che nel 2011, quando tenterà di tornare in Borsa a Wall Street, Chrysler sia destinata a rendere più di New Fiat. Già tra un anno avremo un aggregato transatlantico con due fornitori di capitali americani, il sindacato UAW e il Tesoro, determinati a difendere la «U.S. Factory», e un socio italiano, gli Agnelli, che non metterà soldi nell'auto. E' chiaro fin d'ora dove penderà la bilancia delle convenienze per un leader come Marchionne, cittadino del mondo. Il sindacato può (e deve) permettere alla Fiat di far marciare gli impianti con il massimo di flessibilità in cambio di soldi e poteri di controllo, per esempio sui flussi transatlantici delle tecnologie. Ma il quesito più arduo si pone alla classe politica e finanziaria, che è già intervenuta in Telecom e Alitalia e che non può non vedere come le ultime grandi imprese industriali siano fiorite (e sfiorite) sotto l'egida dello Stato e di Mediobanca, ormai fuori gioco da 10-15 anni: se ritiene che la New Fiat interessi ancora al Paese, chi farà da contraltare agli americani? Le banche, le assicurazioni, le fondazioni, la Cassa depositi e prestiti, la Sace? Vecchie idee, si dirà. Ma neanche affidarsi al patriottismo di un uomo solo e delle sue stock option è una gran novità.
(Fonte: www.corriere.it - 30/8/2010)
venerdì 27 agosto 2010
Chrysler festeggia il primo anno di nozze con Fiat con un mega-picnic
Chrysler festeggia un anno di alleanza con Fiat organizzando per i 12.000 dipendenti del quartier generale di Auburn Hills un picnic a base di hamburger e hot dog. A servire i dipendenti sono tutti i primi livelli del management della casa automobilistica americana, incluso l'amministratore delegato Sergio Marchionne. Festeggiamenti analoghi sono previsti anche in vari altri stabilimenti Chrysler. Il picnic si svolge sul prato su cui si affaccia il quartier generale della Chrysler ad Auburn Hills, dove sono esposte - fra l'altro - tutte le vetture Chrysler, la Fiat 500, tre Ferrari, tre Maserati, oltre ai veicoli per l'agricoltura e le costruzioni di Case-New Holland. Era il 10 giugno del 2009 quando la Corte Suprema americana dava il via libera ufficiale all'intesa Fiat-Chrysler, dopo che la casa americana era passata per il Chapter 11, ovvero la bancarotta. Il 4 novembre 2009 Marchionne annunciava il piano industriale per Chrysler. La casa automobilistica americana ha chiuso i primi due trimestri del 2010 in utile operativo e annunciato che dopo il terzo trimestre i target finanziari per l'anno potrebbero essere rivisti significativamente al rialzo. La "cura Marchionne" per Chrysler ha ricevuto l'appoggio e i ringraziamenti da parte dell'amministrazione americana. Il primo a esprimere apprezzamento è stato, alla fine di luglio, il presidente Barack Obama. Nelle ultime ore, invece, è stato il suo vice Joe Biden. Anche il sindacato dei metalmeccanici statunitensi, il United Auto Worker (UAW) apprezza il lavoro di Fiat a Detroit. Il presidente dell'UAW, Bob King, ha riconosciuto nelle ultime ore a Marchionne il merito per l'impianto di Toledo, quello dove viene realizzata la Jeep Wrangler e che ieri è stato visitato da Biden.
(Fonte: www.motori24.ilsole24ore.com - 25/8/2010)
giovedì 26 agosto 2010
Handelsblatt rilancia: "Se Fiat venderà l'Alfa Romeo, Volkswagen non la lascerà ai cinesi"
"Se Fiat mettesse in vendita Alfa Romeo, i tedeschi di Volkswagen non la lascerebbero assolutamente preda dei cinesi". Così il quotidiano tedesco Handelsblatt che, in un commento dal titolo "Un Romeo da Wolfsburg" (la sede del costruttore tedesco ndr), ribadisce che da mesi il numero uno di VW, Martin Winterkorn, corteggia la casa del Biscione "mostrando ai Mediterranei che anche chi viene dalla Bassa Sassonia sa essere galante". Il messaggio è chiaro, rileva il quotidiano: se gli italiani decidessero di cedere il marchio, a Wolfsburg il cliente c'è già. Le profferte estive di VW non sono state tuttavia accolte con entusiasmo dalla Fiat, aggiunge Handelsblatt, che definisce "un po' nervose" le reiterate repliche del management del Lingotto sul fatto che Alfa non è in vendita. Del resto "gli italiani stessi hanno colpa del fatto che, proprio nell'anno del suo centesimo anniversario, Alfa sia oggetto di voci di indiscrezioni in quanto finora dei progetti iniziali è stato realizzato poco", spiega il giornale, ricordando che nel 2006 il gran capo della Fiat, Sergio Marchionne, aveva annunciato agli analisti un obiettivo di vendite per Alfa pari a 300mila unità circa nel 2010. Un piano "fallito miseramente". Handelsblatt paragona così il caso Alfa al caso Saab, la casa svedese che GM ha ceduto a inizio anno alla Spyker: "l'immagine è certamente buona, ma il marchio è troppo piccolo per vivere e troppo grande per morire". Il giornale sottolinea comunque che Marchionne sbaglierebbe a cedere Alfa in quanto, dopo l'ingresso di Fiat nella Chrysler, il mercato americano riveste molta importanza per il costruttore torinese e Alfa possiede una forza di attrazione e di vendita sufficienti per entrarvi. Separarsi da Alfa sarebbe pertanto "un atto dettato dalla disperazione e niente fa trapelare che una simile iniziativa sia necessaria per Torino", conclude Handelsblatt, osservando del resto che "la fantasia di espandersi di VW non ha ancora raggiunto i propri limiti: Wolfsburg ha ancora fame e il suo boss, Martin Winterkorn, ha già dimostrato di essere molto paziente".
(Fonte: www.handelsblatt.com - 24/8/2010)
mercoledì 25 agosto 2010
Dopo Obama, anche il vicepresidente Biden visita uno stabilimento Jeep e ringrazia Marchionne: “Hai fatto un gran lavoro"
Mentre a Melfi si infiamma lo scontro fra la Fiat e la Fiom sui tre operai licenziati e poi reintagrati con decreto del giudice del lavoro, negli U.S.A. l'amministratore delegato del Lingotto Sergio Marchionne riceve il vicepresidente americano, Joe Biden, dal quale incassa un ulteriore riconoscimento per il lavoro svolto in Chrysler. Meriti gli vengono riconosciuti anche dalle tute blu americane: "Vedete questa fabbrica? E' merito di questo signore: Sergio Marchionne", osservano il presidente e il vice presidente del sindacato dei metalmeccanici UAW (United Auto Worker), Bob King e General Holiefield. "Lavoro in Chrysler da oltre 20 anni e questa è la prima volta che lavoriamo secondo criteri intelligenti", afferma un operaio dell'impianto di Toledo (Ohio) riferendosi al World Class Manufacturing, il programma contro gli sprechi introdotto da Fiat in Chrysler. La visita di Biden nello stabilimento Chrysler di Toledo fa seguito a quella del presidente americano Barack Obama nell'impianto di Jefferson North a Detroit. E cade a poco più di un anno dalla presa di controllo di Chrysler da parte di Fiat, avvenuta con l'uscita della società dalla bancarotta nel giugno 2009. "Congratulazioni Sergio. L'ultima volta che ci siamo visti era a Venezia. E' bello vederti qui e vedere il rapporto che hanno Fiat e Chrysler. Noi, tutti i lavoratori e tutti gli americani, ti ringraziamo per il buon lavoro che fai" afferma Biden, ricordando le proprie origini di figlio di un rivenditore di auto e il fatto di aver parcheggiata "sin dal 1973 una Jeep in garage, una Wrangler nera. Purtroppo però i servizi segreti mi impediscono ormai di guidare". "Sergio - aggiunge - hai fatto un gran lavoro qui e, tenendo conto dell'importanza dei fornitori, hai realizzato importanti sinergie ed efficienze. Inoltre, stai realizzando un gran prodotto", aggiunge Biden, riferendosi al Toledo Assembly Complex, dove viene realizzato il modello 2011 della Jeep Wrangler grazie a un innovativo progetto manifatturiero che conta sull'appoggio di tre fornitori come partner. Elogiando le misure prese dall'amministrazione Obama a favore dell'industria automobilistica, Biden cita l'articolo comparso sull'Economist a sostegno del successo del presidente nel ristrutturare il settore delle quattro ruote. Un articolo in cui si ammette che, grazie a Washington, "General Motors è di nuovo redditizia e Chrysler, gestita da Fiat, sta compiendo progressi". La più piccola delle tre sorelle di Detroit ha chiuso la prima metà dell'anno con un utile operativo di 326 milioni di dollari, a fronte di una perdita netta di 369 milioni nello stesso periodo del 2009. Marchionne, dichiarandosi soddisfatto e ribadendo il proprio impegno a voler restituire entro il 2014 i fondi ottenuti dal governo americano, precisa comunque che chiudere il 2010 in utile netto "sarà difficile". L'amministratore delegato di Fiat precisa, inoltre, che oltre 200 concessionari Chrysler hanno fatto richiesta per la vendita dei marchi del Lingotto negli U.S.A. .
(Fonte: www.americaoggi.info - 24/8/2010)
martedì 24 agosto 2010
Automobilwoche insiste: Volkswagen è interessata ad Alfa Romeo
Secondo Automobilwoche, Volkswagen vuole "portarsi a casa" Alfa Romeo. Dopo Lamborghini e l'ultimo acquisto Italdesign (famiglia Giugiaro), Volkswagen ha preso l'Italia come un supermercato dello stile automobilistico. Se, da una parte, il fatto non può che lusingare i più patriottici da un'altra, invece, infastidisce una certa malcelata arroganza nelle affermazioni di un alto dirigente tedesco: "Alfa è un marchio riconosciuto a livello mondiale con geni sportivi e una grande tradizione. Qualora potessimo avere un simile tesoro, non dovremmo assolutamente esitare troppo a lungo: potrebbe ulteriormente rafforzare la nostra strategia di crescita". Forse i tedeschi sono stati colpiti dalle buone pagelle ricevute dall'Alfa Romeo Giulietta nei vari test svolti in Germania e, visti i risultati non all'altezza delle ultime versioni Golf, stanno pensando di affidarsi allo stile italiano. Che per altro è già ben inserito nella casa tedesca, dove Walter de' Silva è responsabile dello stile mentre Luca De Meo è responsabile marketing da poco più di un anno. Il Gruppo VW inoltre avrebbe già individuato le future vetture Alfa Romeo che finirebbe per contrastare l'acerrima rivale BMW. Si tratterebbe di bozzetti, realizzati da de' Silva, relativi a due vetture su base A1 ed A3, una spider ed una coupè derivate dalla concept BlueSport, un'ammiraglia di segmento E, una berlina medio-grande anche in versione station-wagon e per finire una supercar a motore centrale, al posto della 8C Competizione, su base Audi R8. Il Financial Times ancora lo scorso dicembre sosteneva che “è improbabile che Marchionne butti via Alfa Romeo o che la venda a un concorrente in quanto sta dando al marchio un’ultima chance, integrandola più strettamente con Chrysler, producendo le auto più grandi sulle piattaforme Chrysler e tenendo in Italia i modelli più piccoli”. Quindi in Fiat non c'è alcuna intenzione di privarsi dello storico marchio milanese. Almeno per il momento.
(Fonte: www.automobilwoche.de - 23/8/2010)
lunedì 23 agosto 2010
Ancora sull'ipotesi di vendita di Alfa Romeo a Volkswagen
Fiat Group Automobiles ha bisogno di crescere. E deve farlo in maniera globale, non può basarsi sul mercato interno, le cui prospettive sono a dir poco grigie, e neppure sul solo mercato brasiliano, da dove Fiat oggi trae le più belle soddisfazioni, essendo il marchio best-seller. La crescita deve prevedere un miglioramento della performance di tutti i marchi: Fiat, Lancia, Alfa Romeo. Lancia dovrebbe sfruttare piattaforme e rete Chrysler, in Europa, e questo potrebbe dare al marchio un nuovo impulso, dopo essersi progressivamente ritirata da tutti i mercati tranne quello domestico (ovvero: peggio di così non può andare). Una strategia tutta da confermare, ma pur sempre una (specie di) strategia. Fiat si prepara allo sbarco nel Nordamerica, con il modello 500, che dovrebbe aggiungere 100-130mila unità alla produzione attuale, con l'assemblaggio in Messico. E Alfa Romeo? Il marchio deve trovare il modo di fare un salto di qualità (e di quantità) e – secondo gli obiettivi assegnati da Sergio Marchionne (che non sarebbe il primo AD Fiat a spazientirsi di fronte alle performance sottotono di Alfa Romeo) – passare dalle 102.000 unità del 2009 ad almeno 500.000 nel 2014 (quando le vetture vendute negli Stati Uniti dovrebbero essere 85mila), e – parallelamente – migliorare il margine operativo dal 1,8% dello scorso anno ad oltre il 4,1%. È – il marchio del biscione – in grado di modificare lo status quo in 5 anni, quadruplicando le vendite in Europa? Sono pochi a crederci veramente, anche perché ad oggi velocità e capacità di rinnovamento del Marchio sono assolutamente insufficienti: Alfa Romeo Giulietta sostituisce un modello ormai decotto, come l'Alfa 147, i segmenti superiori sono stati abbandonati dalla Alfa 166 da tempo, mancano i prodotti che sembrano attirare di più il pubblico, come SUV e cabrio. Tutto questo fa sì che in Europa il Marchio Alfa Romeo nei primi sei mesi dell'anno (e nello stesso mese di giugno) abbia perso volumi, invece di guadagnarne: 53.096 vetture vendute nel primo semestre 2010, contro le 59.309 dell'anno precedente e 10.534 veicoli venduti a giugno dell'anno in corso, contro gli 11.551 del 2009 (fonte: InterautoNews). Da come sono andate le cose in Italia, la pubblicazione dei dati del mese di luglio non prospetta un grosso miglioramento. Alfa Romeo – che sembrerebbe aver perso dai 200 ai 400 milioni all'anno nell'ultima decade (i dati non sono pubblici) – in mani italiane ha sempre fallito nello sfruttare le occasioni avute, soprattutto perché non è mai stata in grado di mettere in piedi una gamma credibile, capace di rappresentare un vero è proprio competitor nei confronti dei marchi premium tedeschi (Audi e BMW in primis, Mercedes in secondo luogo). Può il Gruppo VW dare delle garanzie in più? Sicuramente i tedeschi hanno dato prova di saper gestire i marchi in loro possesso, a partire da Audi fino a Skoda. Seat, rappresenta il solo “caso di insuccesso” del gruppo, in termini di raggiungimento degli obiettivi, anche se il marchio iberico vende pur sempre 3 volte quanto l'Alfa Romeo. Mentre le voci corrono, VW continua la campagna acquisti in Fiat, che ha portato a cambiar squadra prima Walter de' Silva (capo del Design Alfa), poi Luca De Meo (ex CEO di Alfa Romeo) e in tempi più recenti Giovanni Perosino (ex-Fiat Brand Communication Director, vecchia conoscenza di De Meo già ai tempi di Lancia), che prenderà possesso del suo ufficio a Wolfsburg a partire dal 1° settembre 2010. Coincidenze? Secondo alcuni Alfa Romeo rientrerebbe nei piani che vogliono portare il Gruppo Volkswagen a diventare numero uno al mondo, nel 2018. FGA non sembra avere le idee chiarissime su come portare a casa un obiettivo a dir poco ambizioso di quintuplicare le vendite entro il 2014 ma, nel frattempo, smentisce ogni voce di dismissione del marchio Alfa Romeo. In tempi di mercato d'agosto, c'è ancora chi crede alle secche smentite?
(Fonte: www.paid2write.org - 23/8/2010)
venerdì 20 agosto 2010
Fiat ancora prima in Brasile, ormai quarto mercato mondiale
Il Brasile corre e Fiat corre con il Brasile. Lo stato sudamericano ha superato la Germania diventando quest'anno il quarto mercato automobilistico al mondo, dietro a Cina, Stati Uniti e Giappone. Un consolidamento che ha spinto le principali industrie dell'auto a prevedere undici miliardi di dollari di investimenti in Brasile per i prossimi due anni. E' l'inizio di una nuova parentesi nella storia economica dell'auto e un ottimo trampolino di lancio per Fiat. Il Gruppo italiano, infatti, è da lunga data in Brasile ed è ormai così radicato nel territorio da essersene appena stato riconfermato leader. Nella prima metà di agosto il Gruppo torinese ha raggiunto il 23,78% della quota di mercato, superando colossi come Volkswagen e GM. Il Brasile è del resto già diventato da tempo il suo primo mercato di riferimento, scalzando l'Italia dopo 111 anni di primato. E' dunque qui che pulsa il cuore strategico del Lingotto, proteso verso quella globalizzazione tanto agognata da Sergio Marchionne. Il momento per espandersi è quello giusto. Di fronte alla continua crescita di Fiat in Brasile anche gli analisti di Banca IMI hanno cominciato a credere nel costruttore italiano ed hanno confermato la raccomandazione buy sul titolo Fiat (che comunque ieri ha chiuso in calo del 2,09%), con un prezzo obiettivo a 15,3 euro. E se la situazione sul versante europeo rimane incerta (i dati ufficiali sulle immatricolazioni di luglio e agosto usciranno a settembre, ma già si parla di un crollo a due cifre per entrambe le mensilità), ci sono ottimi progetti di rafforzamento in Cina, India e negli Stati Uniti, dove presto ci sarà il ritorno del marchio italiano grazie all'Alleanza con Chrysler.
(Fonte: www.omniauto.it - 20/8/2010)
giovedì 19 agosto 2010
Jeep presenta la Wrangler 2011
La Jeep Wrangler si rifà un po' il trucco per l'edizione 2011. Gli interventi sono soprattutto nell'abitacolo perché fuori, a parte le nuove tinte, tutto è come prima, o meglio come sempre, visto che la Wrangler si mantiene fedele a se stessa da anni. E per questo è diventata un classico del panorama 4x4 mondiale. Vediamo come è cambiata dentro la Jeep Wrangler: cruscotto, console e pannelli delle porte sono realizzati con plastiche morbide e materiali di qualità superiore rispetto alla precedente serie. Si notano i particolari ben rifiniti del quadro comandi e della plancia, entrambi completamente ridisegnati. Insomma, la Jeep Wrangler si è un po' imborghesita per offrire più confort aggiungendo anche alla dotazione sfiziosi gadget, tra i quali la presa Usb e il Bluetooth, ma senza cedere alcunché sotto il profilo tecnico. Sotto pelle, infatti, non ci sono novità degne di nota. I piccoli cambiamenti della Jeep Wrangler, però, non vanno sottovalutati. In questo momento, infatti, il marchio americano della scuderia Fiat punta a recuperare la qualità e, in questo senso, un primo importante passo è stato fatto con la nuova lussuosa Jeep Grand Cherokee, già lanciata negli U.S.A. (in Europa debutterà l'anno prossimo). Del resto le novità più importanti marchiate Jeep arriveranno nel 2013: ci saranno una "piccola" Suv e una media, che sostituirà sia la Patriot sia la Compass. Entrambi i modelli saranno realizzati su base meccanica Fiat. Che rivoluzione!
(Fonte: www.quattroruote.it - 19/8/2010)
mercoledì 18 agosto 2010
Il vuoto cinese di Mr. Marchionne
Nel solo mese di luglio, in Cina si sono vendute quasi tutte le auto che quest’anno si venderanno in Italia. 1,2 milioni contro gli 1,7 stimati dai costruttori nel nostro Paese, dopo la fine degli incentivi statali. «Abbiamo tanta ambizione di svilupparci molto in questa parte del mondo», ha detto il 2 giugno scorso il presidente della Fiat, John Elkann, partecipando alla festa della repubblica all’Expo di Shangai. Il gruppo italiano è di fatto fuori da questo immenso mercato, considerando che la controllata Magneti Marelli ha appena inaugurato la sua fabbrica alla presenza di Elkann. Solo alla fine del 2011 comincerà in Cina la produzione di una berlina italiana, la Linea, e dei suoi motori, in uno stabilimento nel Guangdong per l’accordo di joint venture siglato dal Lingotto con Guangzhou. L’intesa è arrivata dopo diversi scacchi con altri partner locali, con i quali le intese (una delle quali prevedeva la produzione dell’Alfa Romeo in Cina) si sono via via bloccate. Oggi la «tanta ambizione» del gruppo deve accontentarsi di un accordo limitato: gli obiettivi sono la produzione di 140.000 vetture e 220.000 motori nel 2012, da portare rispettivamente fino a 250.000 e 300.000 entro il 2014. Meglio tardi che mai, certo, benché sia un ritardo che si può già definire storico rispetto alla concorrenza europea e asiatica di Fiat. Basti pensare che i francesi di PSA (Peugeot-Citroen) hanno appena firmato per una seconda joint venture e che Renault-Nissan ha siglato un progetto per l’auto elettrica a Wuhan, politicamente oltre che automobilisticamente importante, considerando la forte accelerazione agli investimenti data dal governo di Pechino al tema dell’auto a zero emissioni negli ultimi sei mesi. La Fiat non può contare nemmeno sulla controllata Chrysler, assente dalla Cina dopo un avvicinamento nel 2007 con Chery, mentre i concorrenti General Motors e Ford traggono proprio da questo mercato i loro profitti più grandi, come si è visto negli spettacolari risultati delle trimestrali rese note nei giorni scorsi che evidenziano anche come l’altro aumento delle vendite sia stato sul proprio mercato nordamericano, maggiore per le due big rispetto a quello della più piccola Chrysler. Negli obiettivi dell’amministratore delegato del gruppo Fiat-Chrysler, i numeri piuttosto ambiziosi annunciati per il 2014 (ricordiamoli, 3,8 milioni di auto «italiane» e 2,8 «americane») tengono conto della Cina soltanto per le circa 300.000 vetture del Guangdong. Questo mercato, peraltro, sta premiando più i marchi di lusso che i generalisti come Fiat. In luglio, Audi ha aumentato le vendite del 53%, BMW dell’82, Mercedes ha triplicato le vendite. Non che le cose vadano male per tutti gli altri: in Cina ci sono ancora soltanto 20 automobili per 1.000 abitanti. Se nel 2009 le vendite sono aumentate complessivamente del 46% - un anno boom, spinto anche dalla detassazione del governo del 50% per chi acquistava automobili con una cilindrata massima di 1600 centimetri cubici - quest’anno l’associazione dei costruttori in Cina prevede una crescita del 17%, con un mercato fatto da circa 16 milioni di vendite nuove. E’ un rallentamento se non fosse che la parola suona strana nel depresso occidente e se non fosse che, a guardare meglio i dati degli ultimi quindici anni, la crescita media del mercato cinese si è attestata fra il 12 e il 22%. Gli analisti prevedono una piccola frenata in agosto e un settembre così così, per poi chiudere in bellezza il 2010 negli ultimi tre mesi.
(Fonte: www.ilmanifesto.it - 15/8/2010)
martedì 17 agosto 2010
Dodge diffonde le prime immagini della nuova Durango
Dodge sta iniziando a rivelare, pezzo dopo pezzo, l'aspetto della nuova Durango, la grande Suv per il mercato americano annunciata dall'amministratore delegato di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, come "Cuv - vale a dire 'crossover utility vehicle' - a sette posti". Forse non era ancora stato deciso di conservare il nome con cui gli statunitensi conoscono il modello dal 2004. La nuova Durango entrerà in produzione alla fine di quest'anno nell'impianto Jefferson North Assembly Plant di Detroit dove già nasce la Jeep Grand Cherokee, svelata al pubblico la scorsa primavera. Il Gruppo ha investito 700 milioni di dollari per allestire le due nuove linee produttive, che hanno una capacità complessiva di 250 mila vetture l'anno. La nuova Durango dovrebbe nascere sulla stessa piattaforma della Jeep Grand Cherokee e dovrebbe quindi abbandonare la vecchia struttura con telaio a longheroni in favore di una moderna scocca portante con sospensioni a ruote indipendenti.
(Fonte: www.quattroruote.it - 17/8/2010)
lunedì 16 agosto 2010
Chrysler investirà nell'impianto di Etobicoke (Canada)
Chrysler Group LLC intende investire 27,2 milioni di dollari nell'impianto Etobicoke di Toronto per la produzione di traverse anteriori e posteriori per i veicoli Chrysler che saranno lanciati sul mercato a partire dal terzo trimestre 2011. L'investimento, informa una nota, consentirà di mantenere i 280 posti di lavoro e sarà finalizzato ad ammodernare l'impianto per migliorarne la capacità produttiva e ad implementare nuove tecnologie per incrementare i livelli qualitativi, le fasi di collaudo e quelle di controllo. L'impianto Etobicoke, realizzato nel 1942 e acquisito nel 1964 dalla casa statunitense ora controllata dalla Fiat, produce attualmente stampi in alluminio pressofuso e pistoni per diversi veicoli Chrysler. "Accogliamo con favore questo investimento sull'impianto Etobicoke. Si tratta di un riconoscimento delle componenti di alta qualità prodotte dalla nostra forza lavoro per molti anni", ha detto Michael Butz, responsabile dello stabilimento. "Essere in grado di ampliare il nostro portafoglio componenti è in linea con la strategia di prodotto di lungo termine della Chrysler, che garantisce il futuro di questa struttura". "Siamo entusiasti del fatto che Chrysler abbia deciso di investire nell'impianto Etobicoke e sulla sua forza lavoro", ha affermato Ken Lewenza, presidente nazionale del Caw, il sindacato canadese del settore automobilistico. "Questo aiuterà a conservare e valorizzare l'occupazione in città e a dare un maggiore grado di sicurezza ai nostri soci e alle loro famiglie per il futuro".
(Fonte: www.borsaitaliana.it - 13/8/2010)
venerdì 13 agosto 2010
Tata pronta a far crescere Fiat in India
Conquistati gli Stati Uniti con Chrysler, Fiat punta ad aumentare la propria presenza in Asia. Le notizie positive arrivano dall'India, dove l'amministratore delegato di Tata, Carl-Peter Forster, ha affermato l'intenzione di rafforzare la collaborazione della società con il Lingotto, in particolare aumentando la presenza del marchio italiano nel subcontinente. "Attualmente stiamo studiando un rafforzamento del marchio Fiat sul mercato indiano - ha affermato, Foster -. Intendiamo espandere la gamma di prodotti Fiat, le vendite e il marketing". Ricordiamo che in India i due gruppi contano una joint-venture paritetica, Fiat India Automobiles, che distribuisce modelli del Lingotto tramite una alleanza su vendite e marketing. In un impianto a Ranjangaon, nella regione occidentale del Maharashtra, la joint venture produce la Grande Punto, la Linea e la Palio, assieme a propulsori Fiat a benzina da 1,2 e 1,4 litri e a un diesel da 1,3 litri. "Nei veicoli commerciali siamo un attore dominante in India. Tata ha tutti gli ingredienti per essere, come è nelle nostre ambizioni, un grosso player a livello globale", ha detto Forster. Secondo Forster, il manager arrivato dalla General Motors all'inizio di quest'anno per rafforzare i progetti internazionali del gruppo, gli ultimi prodotti nel segmento lusso sono stati ben accolti dal mercato.
(Fonte: www.trend-online.com - 12/8/2010)
giovedì 12 agosto 2010
Marchionne a tappe forzate
Soltanto qualche anno fa nessuno avrebbe scommesso sulla capacità delle grandi case automobilistiche di Detroit di fare profitti in un mercato delle dimensioni attuali. Il collasso delle Big Three era avvenuto al momento in cui, nell'autunno del 2008, cadde la domanda di automobili in U.S.A. con una rapidità tale da mettere alle corde General Motors, Ford e Chrysler, dopo un periodo di prolungato declino delle loro performance. Gli ultimi dati mostrano ora i segni indiscutibili di un'inversione di tendenza: la Ford, che era stata giudicata nelle condizioni di un malato terminale, è ritornata all'utile con risultati significativi che hanno fatto apprezzare la svolta apportata da Alan Mulally al più antico dei grandi produttori americani, l'unico a non dover ricorrere a capitali del Tesoro. Intanto prosegue la marcia a ritmi forzati per il recupero di General Motors e Chrysler. Sergio Marchionne, pur senza nascondere le difficoltà e gli ostacoli che ancora lastricano il cammino verso il risanamento, ha già indicato i tempi per riportare in attivo il bilancio della casa di Auburn Hills. Segno, appunto, che ciò che sembrava impossibile, quando il mercato americano assorbiva tra i 16 e i 17 milioni di autovetture all'anno, può diventare realtà quando esso si ferma a 11 milioni di vetture, come avverrà nel 2010. Per tutti i produttori s'impone oggi l'adozione di politiche in grado di generare profitti pur in presenza di una domanda assai lontana dai picchi raggiunti quando l'economia americana ancora tirava. Non solo: le case automobilistiche si stanno attrezzando per reggere di fronte a un mercato alquanto più ristretto e povero rispetto al passato. Vero è che il consumo elevato dei primi anni del 2000 non aveva fatto bene a Detroit, che aveva creduto di poter rimandare i conti con la crisi del proprio modello industriale grazie alla tenuta del mercato interno. La fortuna in patria di Suv e pick-up aveva permesso così di eludere quell'analisi impietosa dei metodi di gestione che la crisi doveva poi imporre con brutalità. Proprio sulla capacità di garantire la redditività d'impresa con volumi produttivi assai contenuti è basato il successo manageriale di Marchionne. In un certo senso, affrontando la crisi Fiat prima che emergessero in pieno le difficoltà strutturali del sistema dell'auto, Marchionne ha messo a punto criteri di gestione via via seguiti anche dalle altre case. Pur indicando il traguardo di un raddoppio della produzione di Fiat e Chrysler, il manager italo-canadese bada soprattutto, nell'immediato, a recuperare margini attraverso un feroce contenimento dei costi. Ed è chiaro che, nella sua prospettiva operativa, è già presente la dimensione di un mercato volto a consumi meno vivaci del recente passato. In questa logica rientra naturalmente anche la spinta ad assicurarsi il più pieno utilizzo possibile degli impianti, specie là dove si concentreranno le produzioni considerate più strategiche. Di qui le ricadute sul sistema di relazioni industriali che hanno tenuto banco nella discussione pubblica degli ultimi mesi in Italia. La riorganizzazione di Chrysler e Fiat a cui sta attendendo Marchionne prevede una sequenza rigidissima di tempi, soprattutto per quanto concerne lo scenario americano. Si tratta di assicurare, entro pochi mesi, le condizioni che possono riportare la Chrysler sul listino di Wall Street, aumentando nel medesimo tempo la quota delle azioni detenuta dalla Fiat. L'agenda è molto stretta e, come si è visto nei giorni scorsi, le attese sono semmai che Marchionne riesca ad accelerare ulteriormente i passaggi del risanamento della Chrysler. Questa concatenazione ha evidentemente un riflesso anche sul nostro paese, che risente ormai della continua comparazione con l'ambiente industriale nordamericano. Nelle fabbriche Chrysler, il sindacato U.S.A. dell'automobile non trova scandaloso che possano lavorare fianco a fianco operai i quali, pur compiendo le stesse operazioni, sono remunerati con livelli salariali estremamente differenti. Non così da noi, ove differenziali retributivi così ampi non sono ammessi, né esiste una tale varietà di condizioni contrattuali all'interno di un medesimo stabilimento. Più in generale, il processo di avvicinamento tra Chrysler e Fiat sta facendo risaltare la distanza fra i sistemi di regolazione della prestazione del lavoro che contraddistinguono le due realtà. Ciò non rappresenta nulla di nuovo, per certi versi, perché la situazione sindacale che vige nelle fabbriche di Stoccarda non è certo analoga a quella dei trasnplant americani di Bmw e Volkswagen, dove ben inferiori risultano i diritti dei lavoratori. Ma nel caso Fiat-Chrysler si è davanti a una fusione che dovrà sfociare nella creazione di un nuovo soggetto d'impresa, non a un'acquisizione né alla creazione di unità produttive all'estero: ecco perché Marchionne, nei suoi interventi, torna continuamente sulla comparazione fra U.S.A. e Italia. Ed è un confronto che va a vantaggio dell'America.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 12/8/2010)
mercoledì 11 agosto 2010
Norges Bank punta sull'Italia e rileva il 2% di Fiat
Norges Bank, la Banca Centrale di Norvegia, è entrata tra gli azionisti Fiat, acquisendo il 2,024% del capitale. La notizia è stata ufficializzata dalla Consob che data l'ingresso al 4 agosto scorso. La notizia ha fatto ripartire il titolo Fiat, dopo un'apertura in negativo sull'onda dello scivolone seguito ieri ai dati positivi dell'andamento di Chrysler. La Banca centrale norvegese mostra dunque fiducia verso il Lingotto e in generale verso i titoli italiani, visto che dall'inizio dell'anno ha messo in portafoglio il 2,031% di Parmalat, il 2,05% di Atlantia, il 2,08% di Maire Tecnimont, il 2,033% di Basicnet e l'1,96% di Impregilo.
(Fonte: www.repubblica.it - 10/8/2010)
martedì 10 agosto 2010
Chrysler invita 600 concessionari a briefing su Fiat
Chrysler Group ha invitato per il 30 agosto prossimo circa 600 dei suoi concessionari per un briefing su Fiat nell'ambito del piano per la ritorno del Lingotto sul suolo nordamericano entro la fine dell'anno. Ai circa 600 concessionari, si legge in una nota, è stata inviata una notifica nella quale la casa controllata dalla Fiat li informa di essere in uno dei 119 mercati individuati come ad alto potenziale per la vendita delle small-car nei prossimi 5 anni. Durante il briefing ai concessionari, che nel corso del mese di settembre dovranno presentare un'offerta per diventare rivenditori Fiat, sarà presentato un quadro completo dei piani della Chrysler per il ritorno della Fiat in U.S.A. . "I requisiti per la Fiat sono semplici: vendite separate ed esposizione dei prodotti al momento del lancio, transizione ad un format distributivo completo in funzione della crescita dei volumi", ha affermato Peter Grady, vicepresidente di Chrysler Group con delega allo sviluppo della rete e alle flotte. "Il nostro obiettivo è quello di creare una rete di vendita al dettaglio di dimensioni adeguate a cogliere le opportunità di mercato". Nel selezionare i concessionari Chrysler prenderà in considerazione alcuni requisiti, tra cui l'andamento delle vendite, il piano per le vendite separate, un piano marketing completo, rispetto degli standard imposti dalla casa per i dealer, adeguata patrimonializzazione. I concessionari definitivi saranno scelti nel quarto trimestre. Al momento Chrysler ha individuato 119 mercati: Birmingham in Alabama; Little Rock in Arkansas; Phoenix e Tucson in Arizona; Los Angeles, Orange County, Palm Springs, Riverside, San Diego, San Fernando San Gabriel, Ventura County, Oakland, Sacramento, San Francisco, San Jose e San Rafael in California; Denver in Colorado; Bristol, Hartford, Bridgeport, Stamford e New Haven nel Connecticut; Wilmington e Concord nel Delaware; Daytona Beach, Ft. Lauderdale-Broward, Fort Myers, Jacksonville, Miami-Dade, Orlando, Sarasota, St. Petersburg, Tampa, New Port Richey, Winter Haven, Palm Beach, Bradenton, Venice e Melbourne in Florida; Atlanta e Newnan in Georgia; Honolulu nelle Hawaii; Chicago South, Chicago Central, Chicago North, Chicago West e Collinsville in Illinois; Indianapolis e Gary in Indiana; Kansas City in Kansas; Luisville in Kentucky; New Orleans in Louisiana; Boston, Springfield e Worcester in Massachusetts; Baltimore, Frederick e Washington in Maryland; Portland nel Maine; Detroit nel Michigan; Minneapolis nel Minnesota; St. Louis nel Missouri; Omaha nel Nebraska; Bergen Passaic, Essex N.Union, Mid Union, Morris e Flemington nel New Jersey; Albuquerque nel New Mexico; Bronx, Brooklyn, Manhattan, Nassau, Queens, South Hampton, Spring Valley, Staten Island, Suffolk, Westchester, Albany, Buffalo, Rochester e Newburgh nello Stato di New York; Charlotte e Raleigh/Durham nel North Carolina; Cincinnati, Columbus, Dayton, Cleveland, Akron e Toledo in Ohio; Oklahoma City e Tulsa in Oklahoma: Portland in Oregon; Allentown, Philadelphia, Greensburg e Pittsburgh in Pennsylvania; Puerto Rico; Providence in Rhode Island; Chattanooga, Memphis e Nashville in Tennessee; Austin, Houston, San Antonio, Dallas, Fort Worth ed El Paso in Texas; Salt Lake City in Utah; Fredericksburg, Hampton, Norfolk, Richmond e Fairfax in Virginia; Seattle e Tacoma nello Stato di Washington; Milwaukee nel Wisconsin.
(Fonte: www.borsaitaliana.it - 10/8/2010)
lunedì 9 agosto 2010
Utili di Chrysler in crescita nel secondo trimestre 2010
Il Gruppo Chrysler ha chiuso il secondo trimestre con un utile operativo di 184 milioni di dollari, 40 in più rispetto al periodo gennaio-marzo. Da aprile a giugno, la perdita netta è calata a 172 milioni di dollari, contro i 197 milioni del primo trimestre. Il Gruppo americano prevede di restituire il prestito governativo che l'ha salvato dalla bancarotta entro il 2014. Le vendite mondiali solo salite di circa 47 mila unità rispetto ai primi tre mesi dell'anno, a 407.000 unità. Nello stesso periodo, la quota di mercato negli States è passata dal 9,1 al 9,4%. Per ora, il Gruppo ha confermato gli obiettivi dell'anno, ma non è escluso che in autunno siano rivisti al rialzo.
Si parte con la Grand Cherokee - I risultati del secondo trimestre "confermano che il Gruppo Chrylser è sulla via giusta per raggiungere i risultati che si è fissata, anche se c'è ancora una quantità straordinaria di lavoro da fare", ha dichiarato l'amministratore delegato Sergio Marchionne. "L'affluenza dei clienti nelle nostre concessionarie e la fiducia nel futuro dell'azienda ha continuato a crescere con il lancio della nuova Jeep Grand Cherokee, un vero simbolo per Chrysler", ha proseguito Marchionne parlando del primo modello totalmente nuovo presentato da quando, nel gannaio 2009, i Gruppi di Torino e Auburn Hills hanno stretto un'alleanza strategica. La nascita dello stesso modello era stata l'occasione, la settimana scorsa, per una visita del presidente Barack Obama allo stabilimento di Jefferson North Detroit. Da maggio a oggi, i concessionari hanno raccolto circa 70.000 ordini per la nuova Jeep.
Sedici novità per gli U.S.A. - "Il 2010 è un anno di transizione e di stabilizzazione. Con i 16 lanci previsti entro dicembre - fra modelli nuovi e restyling - il Gruppo continuerà a puntare in maniera rigorosa al raggiungimento degli obiettivi", ha detto ancora Sergio Marchionne. Nell'ultimo trimestre dell'anno, vale a dire da ottobre e novembre, si concentrano la maggior parte delle novità Chrysler per il 2010. In particolare, inizierà la produzione di una nuova crossover Dodge a sette posti e della nuova Charger, così come della nuova Chrysler 300. Ammodernamenti per molti altri modelli, fra cui la Chrysler Sebring, la Dodge Journey e le Dodge Grand Caravan/Chrysler Town&Country (la nostra Voyager).
Arriva anche la 500 - Sempre alla fine dell'anno, debutterà negli U.S.A. il primo modello a marchio Fiat, la 500, nella versione prodotta nell'impianto di Toluca, Messico, secondo le specifiche nordamericane. La selezione per la formazione di una rete di concessionarie Fiat è a buon punto: saranno 125 in circa quaranta Stati americani.
(Fonte: www.quattroruote.it - 9/8/2010)
domenica 1 agosto 2010
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