Alla fine di questo 2009 niente sarà più come prima. Sergio Marchionne lo ha detto ai membri del consiglio riuniti la scorsa settimana nel salone del quinto piano del Lingotto e lo ha ripetuto nel pomeriggio agli analisti e successivamente ai sindacati. «Sarà l'anno più duro di sempre, che metterà alla prova la nostra capacità di leadership, renderà necessaria un'interazione tra l'industria e i governi con obiettivi condivisi, cambierà in maniera significativa e per sempre lo scenario dell'auto». La «rivoluzione», temuta e annunciata, è cominciata. E' tutto in movimento e la Fiat, uscita miracolosamente dalla sua crisi, è nella corrente di un'altra crisi: quella globale che sta scuotendo dalle fondamenta l'industria mondiale dell'auto. Se è vero dunque che tutto cambierà, il Lingotto sta in questo cambiamento. Con il suo "braccio" storico, ovvero con l'auto, ma anche con il resto. Perché la crisi, come si sta constatando, non risparmia né i camion né i trattori. Al di là delle dichiarazioni dei suoi vertici è difficile dire come ne uscirà. Per adesso ha messo a segno un colpo, quello dell'alleanza con la Chrysler, un'operazione ancora da perfezionare. Ma è un segnale importante, tale da scuotere persino i colossi dell'auto del Sol Levante. Lo scambio di tecnologia contro azioni, con la possibilità per i torinesi di portare a casa "a buon mercato" il 55% (dopo aver esercitato un'opzione del 20 per cento) di Chrysler e di sbarcare in U.S.A. con Alfa Romeo e 500 è stato ben commentato. Ma si è subito capito che la mossa strategica non chiude la partita delle alleanze. Le grandi manovre sono in corso già da alcune settimane. «Se sui mercati tornerà la normalità entro il 2009, il gruppo Fiat sarà in grado di confermare gli obiettivi fissati per il 2010». Quando, sabato 17 gennaio, Sergio Marchionne ha fatto questa affermazione nel corso di un convegno organizzato in Svizzera da Bank Am Bellevue, l'intesa di massima tra Fiat e Chrysler, salvo qualche dettaglio, era già stata raggiunta. Ma essa rimane il punto di partenza dal quale muovere per poter comprendere la mossa del Lingotto e, attraverso questa, provare a entrare nel futuro del gruppo torinese oltre la fine dell'annus horribilis 2009. Ancor meglio se si fa un passo indietro. Poco dopo l'inizio di questo decennio la Fiat entrò nella crisi più dura della sua storia. Fu allora che, tra le tante ipotesi che circolavano sul superamento delle difficoltà, si fece strada anche quella che voleva la separazione del settore auto da quelli dei camion e dei trattori. Come dire che per la prima volta si sarebbero divisi i destini di Fiat Auto da Iveco e CNH, con la possibilità non del tutto sgradita alla famiglia Agnelli di trovare un nuovo padrone, pubblico o privato, che fosse disposto ad acquistare il braccio storico del gruppo, mantenendo gli altri due asset finanziariamente più in salute. Con l'arrivo a Torino di Marchionne non se ne fece più nulla anche perché la cura adottata per la "grande malata" ovvero l'auto capovolse la prospettiva ricollocando il settore al centro degli interessi della società. L'uscita dal guado fu possibile, oltre che per il buon andamento della "provincia" brasiliana, anche per l'apporto dell’Iveco e della CNH. A partire dall'estate scorsa, la grande crisi venuta dall'America ha rimescolato le carte del Lingotto, ha finito per coinvolgere, a differenza del passato, tutti e tre i settori in cui opera il gruppo e ha costretto Marchionne a rivedere ancora una volta la sua strategia. Cosa che ha fatto abbandonando la strada degli accordi industriali e commerciali mirati (ne ha sottoscritti circa trenta in poco più di tre anni) per riprendere quella delle alleanze più globali. Con quali obiettivi? Fare in modo di trovarsi entro i prossimi due anni nel gruppetto ridotto dei sei players mondiali dell'auto in grado di produrre non meno di cinque milioni e mezzo di automobili all'anno: fuori da questo club ristretto, concordano quasi tutti gli analisti, non ci sarebbe alcuna possibilità di sopravvivenza. Al momento, assieme a Chrysler, il conto del nuovo gruppo italo americano, stando alle previsioni di produzione per l’anno appena cominciato, si fermerebbe sotto la soglia dei 4 milioni di cui 2,2 sono le auto prodotte dai torinesi ivi compresi i veicoli commerciali e 1,7 quelle degli alleati di Detroit. Dunque la partita non è chiusa. L'intesa con Chrysler è, come dice Marchionne, una "pietra miliare" ma non basta. Il prossimo passo potrebbe essere quello dell'alleanza con un importante marchio di fascia medio-alta in grado di completare la gamma del nuovo gruppo. Se si trattasse, ad esempio, dei tedeschi di Bmw, nascerebbe un produttore molto forte nel settore delle utilitarie (con l'eredità Fiat), dei fuoristrada (con l'eredità Chrysler) e delle auto sportive e di lusso (con i marchi Bmw, Alfa e Lancia). Un gruppo davvero generalista, che con il milione di auto vendute dai tedeschi raggiungerebbe la soglia critica dei 5,5 milioni di pezzi. Lo scenario sarebbe destinato a mutare in modo significativo se il Lingotto decidesse invece di percorrere la strada che porta in Francia realizzando finalmente un'alleanza di cui si parla da tempo, quella con PSA. In questo caso si arriverebbe a un gruppo da 7 milioni di pezzi venduti anche se si creerebbero non pochi problemi di sovrapposizione di modelli. Un secondo ostacolo da superare sarebbe quello del rapporto con il governo di Parigi. Il piano di aiuti pubblici per 6 miliardi di euro, annunciato di recente da Sarkozy, sembra la premessa per la creazione di un unico produttore francese che nasca dalla fusione tra Renault e PSA.
(Fonte: www.repubblica.it - 26/1/2009)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento