mercoledì 28 gennaio 2009

Case New Holland: un precedente di successo per Fiat negli U.S.A


Un'aquila testa bianca appollaiata su un mappamondo segnala la potenza globale. Una trebbiatrice in legno in bella mostra tra i pezzi pregiati del museo aziendale racconta le origini. Il simbolo degli Usa dal 1872 e la storia di una lunga evoluzione industriale sono il biglietto da visita all' ingresso del quartier generale della CNH di Racine, cittadina affacciata sulle rive del Lago Michigan a metà strada tra Chicago e Milwaukee, in quel crocevia americano che introduce alle sterminate praterie della «Corn Belt» per dire la cintura del mais che oggi può guardare con aria di superiorità i dirimpettai dell' impero mondiale dell' auto in decadenza. Qui il Lingotto è padrone di casa da quando nel 1999 Fiat è arrivata dopo aver acquisito la Case Corporation attraverso la New Holland NV. Ma non è stata una grande partenza tant'è che oggi Sergio Marchionne, ripercorrendo quei nove anni, tiene a sottolineare subito che i primi sei furono poco più che un disastro. «Erano stati spesi 5 miliardi di dollari per l'acquisizione ma si era fatto poco per rimettere a posto la baracca. Le macchine avevano perduto competitività sui mercati, la clientela era confusa e si è continuato per molto tempo a bruciare cassa». Insomma sei anni di purgatorio per mettere assieme quella che ora l'ad della Fiat può esibire come «il più grande business del Gruppo». Col rimpianto di «non aver chiamato tutto questo Fiat». Perché almeno così si sarebbe saputo che quell' azienda di Torino, che fatica a riportare l'Alfa Romeo in un paese dove il suo prestigio è affidato alla Ferrari e alla Maserati, è ai primi posti della top ten mondiale dei produttori di trattori e macchine movimento terra. Un colosso che, dopo aver conquistato le Americhe, l'Europa Occidentale e parte dell'Asia guarda al resto del mondo e lo fa rapidamente. Guadagnando ovunque. Anche per questo, vista dai piazzali di Burr Ridge, poco lontano da Racine, affollati di giganteschi trattori, la crisi finanziaria che si sta abbattendo sull'industria dell' automobile, senza risparmiare i grandi nomi del settore, non sembra il mostro ingovernabile contro il quale combattono governi e istituzioni di tutto il mondo. «Queste macchine» assicura Marchionne «sono tutte vendute e se ne avessimo di più le venderemmo. Perciò dobbiamo darci da fare per rispondere alla domanda del mercato». Con l'aria che tira, anche da queste parti, sembra veramente che parli di un pianeta sconosciuto che lui però conosce bene perché passa parecchi giorni al mese in questi uffici e in queste fabbriche per occuparsi da vicino dell' isola felice della Fiat dove gli stabilimenti lavorano a pieno ritmo e gli affari vanno bene sfidando il vento che spira da Wall Street. «Perché l'auto sarà più sexy di una mietitrebbia» scherza Marchionne «ma queste macchine hanno messo assieme un fatturato che è passato da 12 a 20 miliardi di dollari tra il 2004 e il 2008 e nei prossimi cinque anni potrebbero puntare al raddoppio». L'ad della Fiat tende sempre a cominciare dal 2005 perché è da quella data che prende avvio il risanamento del Gruppo. Anche qui in America parte dal riordino del 2005 ovvero dalla vasta operazione che ha messo in tiro un impero governato da Torino e formato da oltre 28 mila dipendenti, 39 stabilimenti, 27 centri di ricerca e sviluppo in cinque continenti con una rete di oltre 11 mila concessionari. Insomma una realtà globale in 160 paesi con un fatturato 2008 prossimo ai 20 miliardi realizzato per un 37% in Nord America, 33% in Europa Occidentale, 12% in America Latina e 18% nel resto del mondo. Dopo la riorganizzazione che l'ha riportata all'onore del mondo oggi la CNH può operare con sei diversi marchi di cui quattro (New Holland Agriculture e Case IH Agriculture, New Holland Construction e Case Construction) a livello globale e due (Steyr per le macchine agricole e Kobelco per le costruzioni) a livello regionale. Questa globalità Marchionne la riassume ricordando che «un trattore su tre venduti nel mondo reca il marchio della CNH e lo stesso vale per le mietitrebbia». Che poi vuol dire che CNH è il numero due al mondo nel settore delle macchine agricole e il numero tre in quello della macchine per costruzioni. Non è un caso che in uscita dalla crisi e ancora adesso che è alle prese con la flessione dei mercati auto il Lingotto abbia nella CNH una solida rete di protezione. Un'azienda che va e promette di andare meglio. Con un trend che fa dire a Marchionne che «bisogna fare di tutto per stare dietro alla domanda». Del resto che ci sia questa urgenza lo si capisce benissimo a Grand Island, cuore agricolo degli Usa nelle pianure del Nebraska dove a fare gli onori di casa è Rinaldo Tondelli, un ingegnere di Parma che gira il mondo occupandosi del migliore funzionamento delle fabbriche CNH. Tondelli si presenta dichiarando tutto il suo «orgoglio di lavorare per l'agricoltura, produrre macchine che servono per lavorare la terra che dà da mangiare all'uomo». Come dire che i «derivati» e le altre magagne dell' ingegneria finanziaria sono altra cosa. Il suo problema è di far salire la produzione in questo stabilimento che lavora tutto l' anno senza pause, orari di 89 ore al giorno, a volte anche al sabato. Erano 22 le macchine prodotte giornalmente, sono salite a 33 e Tondelli è qui perché vuole alzare l'asticella fino a quota 50, forse anche 60. La media dei salari nell' America rurale è sui 1200 dollari ma la Fiat paga meglio e può chiedere di più a questi lavoratori, molto motivati ma «free union» (in pratica non c'è sindacato). Ottenendo risultati che nessuno dei suoi settori è in grado di assicurare.
(Fonte: www.repubblica.it - 3/11/2008)

Nessun commento:

Posta un commento