Gli italiani non smettono mai di stupire i cugini d'Oltralpe: «Fiat o l'eterno miracolo italiano» titola Les Echos. In un'analisi dai toni piuttosto positivi il quotidiano economico francese esamina le prospettive aperte dall'accordo con l'americana Chrysler, senza dimenticare le voci sui negoziati con la francese Psa, la casa di Peugeot e Citroën: «Il costruttore italiano lancia il ballo delle alleanze». «Il miracolo italiano avrà sempre la forma di un vasetto di yogurt», la 500, esordisce l'articolo. Negli anni '60 è stata la Cinquecento a permettere a tutta una generazione di «giovani transalpini» di emanciparsi e al Paese di avviarsi verso la modernità. Oggi è ancora la piccola 500, scrive les Echos, che sembra tirare la Fiat fuori dall'impasse e autorizzarle ogni audacia. Un'audacia «come quella di acquistare Chrysler, per esempio!» esclama il quotidiano, iniziativa ambiziosa «per un'impresa di cui a intervalli regolari si prevede la sparizione». Citando un saggio sulla «lenta decomposizione» della dinastia Agnelli di Pierre de Gasquet, l'articolo ricorda che dalla fine degli anni ‘90 la maggior parte dei dirigenti dell'azienda e dei banchieri italiani si pongono il problema della vendita del costruttore automobilistico a un concorrente straniero. «Troppo piccola, troppo italiana, Fiat è da tempo condannata da tutti gli specialisti, compreso il clan Agnelli». Eppure, «con il suo cocktail di nuovi prodotti e di muscolosa ristrutturazione», Sergio Marchionne è riuscito a «ridare fiato e speranza alla vecchia signora di Torino». Fiat esce con onore, grazie alla 500, perfino da una fine 2008 catastrofica per l'industria automobilistica mondiale. «Resta da vedere quale sia la solidità di un tale ritorno in forma», continua Les Echos, ricordando che l'indebitamento della Fiat è in rialzo e i profitti sono in calo. «Fedele a una certa teatralizzazione degli affari», Marchionne ha dichiarato, in una «stupefacente» intervista ad Automotive News, che la Fiat non ha un avvenire da sola e che un costruttore automobilistico per avere un futuro deve poter produrre almeno 6 milioni di veicoli all'anno. Il mondo dell'automobile sta già attuando la condivisione di piattaforme. La novità di Marchionne, secondo Les Echos, è che «introduce l'idea che questo modello si generalizzerà a tutta la gamma e che la crisi accelera il fenomeno, obbligando tutti coloro che sono al di sotto della massa critica a raggrupparsi». Di qui l'alleanza con Chrysler e «le voci sempre più insistenti» di negoziati con Psa, partner regolare della Fiat. Per Les Echos, la crisi ha rivelato «una sorta di bolla dell'automobile»: si sono costruite troppe capacità produttive, troppe fabbriche. Con un consumo rallentato, più sensibile ai vincoli ambientali e in cerca di prodotti più personalizzati, «bisogna massificare dal lato della produzione e frammentare dal lato della vendita». Di qui, continua il quotidiano, la possibile comparsa di «costruttori quasi senza fabbrica», che si accontentano di fare del design, del marketing e della vendita. E' quello che Marchionne chiama «il modello Apple». L'aspetto doloroso dello schema è che implica chiusure di fabbriche. Marchionne, conducendo il ballo, tenta di avvantaggiarsi «appoggiandosi paradossalmente sulle sue debolezze». La Fiat, spiega Les Echos, è uno degli ultimi al mondo a essere un conglomerato meccanico, come erano i suoi concorrenti una ventina d'anni fa. L'automobile rappresenta solo metà del giro d'affari, il resto si divide tra macchine agricole e di lavori pubblici (Case, New Holland) e i mezzi pesanti (Iveco) – «due attività cicliche per ora redditizie» - la componentistica auto (Magneti Marelli), i motori e le macchine (Comau). E anche nell'automobile ha separato la filiera generalista – con i marchi Fiat, Alfa Romeo e Lancia – dalle «pepite di lusso», Ferrari e Maserati (queste ultime rappresentano il 7% delle vendite e il 30% del risultato operativo e non sono toccate dal grande gioco). Il gruppo Fiat, secondo il quotidiano francese, può quindi più facilmente di altri sacrificare il suo ramo auto sull'altare della modernizzazione del settore. Per di più, ha il vantaggio di controllare il 25% del mercato brasiliano, un punto di forza per parlare con gli americani come Chrysler, «anche se la crisi rallenta seriamente le vendite in questo promettente Paese». Ultimo vantaggio nei negoziati, la sua specializzazione nelle "piccole". I segmenti A e B rappresentano oltre il 60% delle sue vendite, «a lungo considerata una tara, oggi è un vantaggio». «Fiat può essere una piattaforma mondiale di fabbricazione di piccole vetture». Inoltre, ha un portafoglio di marchi di prestigio come Alfa Romeo. In conclusione, con «l'aureola del successo della bella 500», confrontato con il baratro del crollo del mercato, Marchionne «sa che gli resta poco tempo per salvare l'ultimo costruttore italiano dal disastro e che non sarà mai così ben piazzato come oggi per fare delle sue debolezze un vantaggio» e per fare dei suoi «vasetti di yogurt» la promessa di giorni felici.
(Fonte: www.lesechos.fr - 28/1/2009)
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