venerdì 23 luglio 2010
Fiat non fa retromarcia e conferma che andrà avanti con il piano-Serbia
L’eco delle polemiche scatenate dalla sua decisione di produrre in Serbia i nuovi minivan inizialmente previsti a Mirafiori lo ha raggiunto ad Auburn Hills, Detroit, nel suo ufficio al quarto piano della torre Chrysler. Ma non lo ha minimamente turbato. Sergio Marchionne, dopo il consiglio di amministrazione Fiat che ha approvato la scissione in due della società, ha deciso di rimanere negli Stati Uniti almeno sino a metà della prossima settimana. Lontano dall’Italia, dal teatrino della sua politica e dai riti un po’ consunti dei suoi sindacati. Chi lo conosce non ha dubbi: inutile piangere ora sul latte versato o invocare nuovi traballanti tavoli di discussione. La decisione su Kragujevac è presa, il piano di investimenti da 1 miliardo di euro avviato. I primi tecnici sono già stati spediti a preparare le linee che sforneranno le sostitute di Idea, Musa e Multipla. L’amministratore delegato di Fiat e di Chrysler non fa mistero di ritrovarsi sempre meno in un sistema parolaio e inconcludente e non manca occasione per rimarcare le differenze con gli Stati Uniti, ma anche con la Polonia, la Serbia, il Brasile: Paesi dove gli investimenti proposti da Fiat vengono benedetti, applauditi e incentivati. Magari gli stessi investimenti che in Italia vengono sbeffeggiati, contrastati e contestati. Il Belpaese dei bizantinismi e della dietrologia, per usare una sua espressione, «lo fa incavolare». Giocatore di poker e di tresette, Marchionne non ama però i bluff. Rivendica di essere un uomo diretto, che mantiene quello che dice e realizza quello che annuncia. «The things we make, make us», «Le cose che facciamo dicono quello che siamo»: è, non a caso, una delle sue frasi preferite, tanto da averne fatto un enorme manifesto che occupa una facciata della torre di Auburn Hills. Pomigliano non garantisce ancora una chiara governabilità? Fiat sospende i piani di Fabbrica Italia e accusa apertamente le rigidità del sindacato. Il che non vuol dire che non si faranno più investimenti in Italia, ma che si procederà «caso per caso». E siccome le auto bisogna pur produrle, via con le prime alternative: Kragujevac invece di Torino, appunto. Centonovantamila vetture l’anno della nuova L0 che dalla fine del 2011 verranno prodotte in Serbia dalla Zastava. Avanti dunque con le riunioni e gli impegni programmati da tempo a Detroit per lavorare al rilancio della casa automobilistica U.S.A. affidata da Barack Obama alle sue cure. La Chrysler è in fase di netta ripresa, a Jefferson è appena partito il secondo turno per la Jeep Grand Cherokee (1.300 assunzioni) e già si pensa a un terzo turno (con relative assunzioni). La strada da fare per completare il risanamento è ancora tanta. Però già oggi gli analisti valutano la società 20 miliardi di dollari e l’obiettivo di quotarla il prossimo anno non appare impossibile. Ma in questa parte d’America depressa e dimentica del glorioso passato industriale, Marchionne e il suo pugno di uomini hanno soprattutto riportato l’orgoglio fra i lavoratori. E qui si ritorna inevitabilmente al confronto con l’Italia. Il manager italo-canadese lo ha confidato anche mercoledì scorso mentre annunciava agli analisti la decisione sulla Serbia: «Qua lavorare è un onore, in Italia a volte sembra una cosa negativa». Ai problemi di Torino, intesa come gruppo Fiat, Marchionne si dedicherà dunque nella seconda parte della settimana. Il che non significa che affronterà necessariamente solo la questione del capoluogo piemontese e del suo futuro produttivo. Secondo Automotive News Europe, Marchionne starebbe meditando di non costruire più a Mirafiori nemmeno la nuova Alfa Romeo Giulia e l’erede della Chrysler Sebring. E qualche ripensamento potrebbe esserci anche sul progetto di realizzare una nuova compatta Chrysler a Cassino. L’ad del Lingotto lo dice spesso: in Italia si fa fatica a comprendere che la Fiat è ormai una multinazionale che ha come mercato il mondo e a questo mercato risponde. «Io non vendo idee - ha spiegato - ma auto, camion e motori. Mi metto in gioco, ma poi, certo, le macchine vanno costruite in un ambiente dove te le fanno costruire». E allora "Let’s go", avanti: gli orizzonti sono ben più ampi - sostengono al Lingotto - del cortile di casa. «Chrysler è l’operazione più importante che abbiamo fatto da quando sono arrivato in Fiat - ha detto Marchionne - Ma non ci fermiamo. A fine settembre, ad esempio, andrò in Cina per siglare un importante accordo».
(Fonte: www.lastampa.it - 23/7/2010)
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