sabato 14 maggio 2011
Marchionne e la complicata campagna di Russia
Mentre in Italia l’attenzione sui futuri piani del gruppo Fiat si concentra sulla questione Chrysler, a Mosca ci si interroga se la scadenza di fine maggio per l’annuncio della strategia del Lingotto in Russia non sarà posticipata ulteriormente. La linea aggressiva dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, che finora ha raccolto successi politici e diplomatici sulle due sponde dell’Atlantico, non sembra funzionare con gli orgogliosi interlocutori ex sovietici.
LO STALLO DELLE TRATTATIVE - A tre mesi dalla presentazione alle autorità di un memorandum d’intesa per la localizzazione della produzione e la distribuzione di autovetture e veicoli commerciali, le trattative tra Fiat e i russi languono. Marchionne aveva posto la fine di aprile come tempo massimo per sciogliere l’enigma russo, salvo poi avvertire, il mese scorso, che i tempi si erano allungati fino a maggio. Obiettivo ambizioso, secondo fonti vicine ai negoziati in Russia per le quali è fortemente improbabile che un accordo si possa raggiungere nel giro di tre settimane.
PARTNER LOCALE CERCASI - Dopo il naufragio della joint-venture con Sollers, finita nelle braccia di Ford, non è ancora chiaro se il Lingotto troverà un partner locale per la produzione o se si lancerà effettivamente in un’impresa in solitaria con un nuovo stabilimento che con ogni probabilità dovrebbe sorgere nella zona economica speciale di Lipetsk. In questo distretto industriale a sud di Mosca, sviluppatosi all’ombra della Indesit, è da un po' che si vocifera sull’arrivo di un misterioso «grande gruppo». E più i rumors si moltiplicano, più si fa complesso il lavoro di manager come Roman Smirnof e Silvia Vernetti che, dietro le quinte, tengono le redini dei negoziati per il Lingotto, in mancanza di una rappresentanza ufficiale dell’azienda nel Paese. «Tecnicamente» Fiat potrebbe anche operare da sola in Russia, ma «sarebbe più facile con un partner», ha detto ai giornalisti lo stesso Marchionne. Dei possibili soci locali del gruppo torinese - che al momento preferisce non commentare lo stato delle trattative - si è detto di tutto e di più: dalla TagAz di Taganrog, con cui pare che i colloqui non siano andati a buon fine, alla storica AvtoVaz di Togliatti, che però ha già come partner Renault-Nissan, fino alla possibile alleanza con la Derways di Cherkessk, proposta secondo indiscrezioni stampa dalla Sberbank di German Gref. Lo stesso istituto di credito nel cui consiglio d'amministrazione è in dirittura d’arrivo l’ex Unicredit Alessandro Profumo.
IL "DO UT DES" TRA TORINO E MOSCA - «Fiat vuole vedersi riconoscere il merito di venire in Russia a costruire auto moderne, vuole vedere valorizzati il prestigio del suo marchio e il suo know-how», hanno spiegato le fonti. Secondo le quali, i russi, invece, sentono di avere il coltello dalla parte del manico: «Chiedono le tecnologie straniere per aumentare la loro produttività e il livello di competenza tecnico dei loro specialisti e, come contropartita, ritengono sufficienti gli incentivi statali». In poche parole, i russi pretendono troppo e offrono poco in cambio. Dinamica poco accettabile da Marchionne, abituato a trattare in ‘American English’ dettando le regole del gioco. Senza calcolare che all’orizzonte per Mosca c’è il Wto, l'organizzazione mondiale del commercio.
L'OMBRA DEL WTO SUI DAZI - La prospettiva dell’ingresso della Russia nell’Organizzazione entro il 2020 comporterà una riduzione graduale dei dazi sull’import automobilistico, che dovrebbero passare gradualmente dall’attuale 25% al 15%. La difficoltà di stabilire con esattezza i tempi di entrata in vigore delle nuove misure rende più incerte le previsioni sui margini di profitto per Fiat, che si troverebbe comunque a operare in un quadro di accresciuta concorrenza. Ma al di là degli ostacoli e delle incomprensioni, per Torino la partita è di quelle da non perdere. L’ostinazione del Lingotto è legata alle proiezioni che, insieme a India e Cina, collocano la Russia tra i mercati auto del futuro. E il Paese è destinato a diventare il sesto più importante al mondo entro nove anni. Da Volkswagen a Renault-Nissan fino a Hyundai i grandi produttori stranieri si sono già praticamente tutti piazzati e Fiat non vuole perdere la sua fetta di torta. Anche nell’ottica di una strategia in solitaria, con l’apertura di un nuovo stabilimento, l’obiettivo rimane quello di produrre 300 mila veicoli l’anno, per soddisfare i requisiti richiesti dai nuovi regolamenti per l’assemblaggio industriale di autoveicoli previsti dalla Federazione russa.
OPERAZIONE IN SOLITARIA: 2 MLD DI EURO - Secondo indiscrezioni che circolano da tempo, l’operazione costerebbe sui 2 miliardi di euro. Marchionne ha bisogno di finanziatori e ad aprile ha confermato l’apertura di trattative con la banca pubblica russa Vnesheconombank (Veb). Ma anche qui la strada pare in salita: il recente annuncio da parte del premier Vladimir Putin del credito da 39 miliardi di rubli (circa 1 miliardo di euro) concesso proprio dalla Veb alla joint venture Sollers-Ford e il silenzio che ancora regna sui colloqui con Fiat è stato letto negli ambienti economici a Mosca come l’ennesimo smacco per il gruppo torinese. Secondo gli esperti, però, correre da sola non è un’impresa realizzabile per la casa italiana. Il direttore dell’agenzia d'analisi Avostat, Sergei Tselikov, ha definito i tentativi di Fiat in Russia «simili a un’agonia, che finirà quando si renderà conto di non poter soddisfare i volumi di produzione richiesti» dalla legge.
(Fonte: www.lettera43.it - 9/5/2011)
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