martedì 31 luglio 2012

Fiat assumerà 600 operai in Brasile


Fiat Brasil ha annunciato l’assunzione di 600 nuovi operai nell’area di pressatura, battilastra e verniciatura che porteranno la produzione della più grande fabbrica mondiale del gruppo, a Betim, alle periferia di Belo Horizonte, da tremila a 3150 vetture al giorno. Il quadro del personale passerà dagli attuali 18.600 a 19200 dipendenti. «Speriamo che questa sia la prima tappa di un processo di assunzioni di nuovi lavoratori. - ha detto il responsabile di Fiat-Chrysler per il Sudamerica, Cledorvino Belini - Tutto dipenderà dall’andamento del mercato nei prossimi mesi». Il mercato brasiliano ha bisogno di circa 16mila auto nuove al giorno e la Fiat è la prima classificata da quasi 11 anni con una quota del 22% di queste vendite. La domanda vive attualmente un boom sostenuto dalla riduzione dei tassi di interesse, dallo sblocco dei crediti e dalla riduzione delle imposte sui veicoli, misura che durerà fino alla fine di agosto. «Osservando lo scenario internazionale di incertezza - ha concluso Belini durante il lancio a San Paolo di un nuovo modello della Punto - constatiamo che le nazioni che più hanno investito in competitività durante questi anni si trovano ora fuori della zona di rischio della crisi finanziaria e di debito. Questo è l’esempio del Brasile». La fabbrica di Betim, in cui si lavora 24 ore al giorno con tre turni, aumenterà nei prossimi mesi la sua produzione da 750 mila a 950 mila auto e veicoli commerciali leggeri l’anno. Entro il 2014 funzionerà un nuovo stabilimento a Goiana, in Pernambuco, con la produzione prevista di 250 mila auto l’anno.
(Fonte: www.ilsecoloxix.it - 22/7/2012)

lunedì 30 luglio 2012

Volkswagen: Marchionne si dimetta da ACEA


La disputa fra Sergio Marchionne e Volkswagen sale di tono. Dopo l'intervista del manager Fiat, che ha accusato i tedeschi di abbassare i prezzi e di provocare così un bagno di sangue per i bilanci dei concorrenti, la casa tedesca ha ribattuto (già nella serata di giovedì) chiedendo le dimissioni di Marchionne dalla guida dell'ACEA, l'Associazione dei Costruttori Europei di Auto. VW affida la reazione al capo delle relazioni esterne Stephan Gruhsem, il quale definisce «intollerabile» la permanenza di Marchionne al vertice ACEA e minaccia, se non se ne andrà, di uscire dall'associazione. Una presa di posizione durissima a fronte di un paio di battute – quelle di Marchionne – in cui il manager alla guida di Fiat e Chrysler rilanciava l'allarme sullo stato di salute del settore e tornava a chiedere misure a livello europeo. Ieri né Fiat né Volkswagen sono tornate sulla vicenda; fonti vicine all'azienda tedesca sottolineano che il presidente di un'associazione dovrebbe parlare a nome di tutti i membri e non criticare qualcuno di loro. A questo punto un chiarimento decisivo ci sarà alla prossima riunione ACEA, che si terrà al più tardi in occasione del Salone dell'auto di Parigi a fine settembre. E il merito delle accuse di Marchionne? Ieri è arrivata una prima risposta da Bruxelles: Antoine Colombani, portavoce del commissario alla Concorrenza Joaquin Almunia, non ha voluto commentare nello specifico ma ha detto che la Commissione «non è a conoscenza» di pratiche scorrette sui prezzi applicate dalla Volkswagen. Giovedì, nel corso della conferenza con gli analisti sui risultati trimestrali, il direttore commerciale di VW, Christian Klingler, aveva ribattuto: «Non abbiamo l'impressione di essere i più aggressivi sul mercato». Alcuni analisti, come Max Warburton della Bernstein Research, sono convinti che VW sia in effetti diventata più aggressiva; altri, come Michael Tyndall, analista della Barclays Capital, sostengono che «secondo i nostri dati sugli sconti in Germania, Francia e Regno Unito, Volkswagen non ne pratica più dei concorrenti. Il grosso vantaggio di Volkswagen – prosegue l'analista – è sul piano finanziario: attualmente può finanziarsi a costi bassissimi e usa il denaro per fare credito ai clienti a tassi che concorrenti come PSA non possono permettersi». Difficile accusare VW di dumping: è vero che il gruppo ricava utili colossali dalla Cina, ma secondo stime di analisti la marca VW è in attivo anche considerando solo l'Europa (guadagnerà 900 milioni di euro nel 2012 secondo Warburton). Il fattore dei finanziamenti a basso costo può aver pesato in misura rilevante in mercati come quello francese, dove in alcuni mesi la marca VW ha messo a segno incrementi di vendite del 10-20% a fronte di un mercato in calo del 20%. L'effetto di questi vantaggi competitivi si vede sulle quote di mercato: nei primi sei mesi del 2012 il gruppo tedesco ha guadagnato quasi un punto e mezzo di quota (dal 22,7 al 24,1%) di cui lo 0,7% con la sola marca VW. Ma attenzione: una parte del guadagno è puramente aritmetica e deriva dal fatto che il mercato tedesco è andato molto meglio di quelli italiano e francese. La miglior salute dell'economia tedesca, insomma, si rivela un altro vantaggio competitivo. Ieri per Wolfsburg è arrivata un'altra buona notizia: la Porsche, con la quale VW dovrebbe fondersi entro fine anno, ha annunciato un aumento del fatturato del 29% a 6,76 miliardi di euro e dell'utile operativo del 21% a 1,26 miliardi. Una grana potenziale potrebbe invece arrivare dalla Cina: secondo Handelsblatt sarebbe stata vittima di spionaggio industriale dal partner cinese FAW.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 28/7/2012)

domenica 29 luglio 2012

Crisi dell'auto (2): Federauto si scaglia contro i "disincentivi" del Governo


"Pensavamo di aver già visto il peggio dei provvedimenti statali per il nostro settore - accusa Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l'associazione dei concessionari di autoveicoli di tutti i brand commercializzati in Italia, - il Governo Monti, dopo anni di incentivi pregressi, dopo che il Brasile e la Cina li hanno recentemente introdotti per svecchiare il parco auto, ha di fatto inventato i disincentivi auto: aumenti su bolli, introduzione di superbolli, rincari di Iva, accise, RC, pedaggi autostradali, spettacolarizzazione alla lotta all'evasione fiscale, e chi più ne ha più ne metta. Tutti controproducenti e dannosi, è inutile girarci intorno. I risultati sono tangibili: le auto di lusso, molte Made in Italy, scese fino al -70%, i consumi di carburanti del primo semestre ci hanno riportati agli anni '50 e i dati degli autoveicoli sembrano quelli degli anni '80. E così con il miraggio di 'fare cassa' si sta smantellando un settore, quello dell'Automotive, che in Italia pesa 'solo' l'11,6% del Pil, impiega con l'indotto 1.200.000 addetti e partecipa al gettito fiscale nazionale per il 16,6%. E il primo danneggiato è lo Stato stesso perché meno beni e servizi vengono venduti, anche perché gravati da questi fardelli, meno introita di imposte dirette e indirette, in un giro vizioso che porta distruzione di aziende e di posti di lavoro. E poiché una parte degli italiani non paga le tasse la ricetta è di aumentarle a quelli onesti. Oltre il danno la beffa." Il nervosismo sale, insomma, soprattutto per quel Decreto Crescita approvato dalla Camera dei Deputati, all’interno del quale è stato inserito un piano per la diffusione di veicoli a basse emissioni, recependo il testo già approvato dalle Commissioni riunite Trasporti e Attività produttive. Provvedimento che entro il 3 agosto potrebbe essere approvato al Senato. Continua Pavan Bernacchi "E' da quasi 3 anni che inondiamo il Governo e le Commissioni Parlamentari di relazioni, proposte, dati. Abbiamo presentato, tra le altre cose, un piano per svecchiare i 14 milioni di auto che hanno più di 10 anni, che inquinano e non sono dotate di importanti dispositivi per la sicurezza. Stessa cosa per i veicoli commerciali e per gli industriali. La risposta: il Ministro Passera temporeggia, non ci riunisce come più volte promesso per tramite del suo Sottosegretario; il Ministro dell'Economia non se ne occupa; il Premier, anche se gli abbiamo scritto una lettera accorata e dettagliata, neanche, e i Parlamentari hanno messo in piedi una proposta inutile e non adeguata al momento storico. Se passerà il provvedimento - e oramai sembra inevitabile essendo in un contenitore che difficilmente potrà essere emendato - danneggeremo ulteriormente il nostro settore, venderemo meno autoveicoli, e butteremo al vento circa centocinquanta milioni di euro in 3 anni. In un momento dove bisogna, ma a questo punto meglio dire bisognerebbe, stare attenti al singolo euro, specie se pubblico." Interviene il presidente dei concessionari del Gruppo Fiat, Piero Carlomagno: "Come ha spiegato più volte il presidente di Federauto i concessionari italiani di tutti i brand hanno una posizione propria rispetto agli incentivi allo svecchiamento del parco: ci servirebbero come l'aria che respiriamo per non chiudere sedi e non mettere sulla strada decine di migliaia di collaboratori. Ma Pavan Bernacchi aveva spiegato altrettanto bene, in ogni dove, soprattutto ai politici, che gli incentivi dovevano avere tre caratteristiche irrinunciabili: essere triennali, scalari e non essere legati a un fondo ad esaurimento. Senza tutte queste caratteristiche abbiamo detto e scritto di lasciare tutto com'è. E questo per molteplici ragioni perché a noi non servono soldi, ma soldi finalizzati e investiti bene". Conclude il presidente di Federauto: "Per dimostrarvi il nostro senso dello Stato, Signori Ministri, Signori Onorevoli, questi denari destinateli alle Forze dell'Ordine, alla Magistratura, ai terremotati. Anche se noi siamo in forte difficoltà, lasciate in pace gli autoveicoli che hanno già una montagna di problemi, molti dei quali provocati dalla vostra assurda, deprimente, recessiva, politica di disincentivi. Se volete parlare di provvedimenti seri siamo a vostra disposizione. Circa 50 milioni di euro l'anno per l'automobile sono un granello di sabbia nel deserto. La Francia, per esempio, per il 2013 ha appena stanziato 490 milioni di euro: circa 10 volte di più. Ma dichiarare che gli incentivi partiranno tra diversi mesi è assurdo: così si blocca un mercato che, ad oggi, segna un -29% rispetto al già scarso luglio 2011, al netto delle chilometri zero. Ora alla domanda: 'cosa c'è di peggio dei disincentivi'? So cosa rispondere: degli incentivi sbagliati".
(Fonte: www.repubblica.it - 26/7/2012)

sabato 28 luglio 2012

Crisi dell'auto (1): per Mediobanca il lancio di nuovi modelli è un "nonsense"

 
Lanciare nuovi modelli in un mercato come quello europeo che è in pieno calo è un "nonsense", una sciocchezza. Lo sostiene un report di Mediobanca che analizza le difficoltà di PSA e Ford nel Vecchio Continente, confermando quanto più volte sostenuto dall'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne. "E' un nonsense investire cassa in nuovi modelli in un mercato europeo in calo", spiegano gli analisti italiani. Secondo il report di Mediobanca, le perdite registrate da Peugeot e Ford, così come quelle previste per Fiat, dimostrano che "dar fondo alla cassa per nuovi modelli non paga in termini di utili e chiaramente aggrava il bilancio". Il giudizio di Mediobanca arriva all'indomani di quello della rivista Forbes che, in un articolo dal titolo "Adesso un bel pasticcio per Ford in Europa", ha scritto che "all'inizio dell'estate Marchionne sembrava essere l'unico CEO europeo a lamentarsi della situazione; in quel momento non sembrava avere sostenitori, mentre invece adesso sembra proprio che avrà un grande seguito".
(Fonte: www.repubblica.it - 26/7/2012)

venerdì 27 luglio 2012

Marchionne, VW e la guerra dei prezzi


Sergio Marchionne attacca Volkswagen e la sua politica di sconti aggressivi. "È un bagno di sangue per i prezzi, è un bagno di sangue per i margini", ha dichiarato l'amministratore delegato di Fiat, nel corso di un'intervista al quotidiano newyorkese Herald Tribune, riferendosi al fatto che il mercato auto in Europa sta vivendo una crisi senza precedenti. Anche altri grandi gruppi del settore automobilistico avevano criticato fortemente la politica dei prezzi di Volkswagen perché questo segmento di mercato sta vivendo in Europa un crollo provocato della crisi economica che continua ad investire questo territorio. A detta di Sergio Marchionne, dovrebbe essere l'Unione Europea a intervenire: "Dovrebbero coordinare una razionalizzazione del settore. Tutti dovrebbero tagliare: quelli che davvero non si sono mossi in questo senso sono i francesi e i tedeschi, che non hanno ridotto minimamente la capacità". Il problema risiede soprattutto nel fatto che in Germania non ci sono solo 3 grandi case automobilistiche nazionali - ovvero Volkswagen, Daimler e Bmw - ma anche importanti impianti di aziende automobilistiche che fanno capo a gruppi esterni, come ad esempio Opel (che fa parte di General Motors). Fiat, Renault e Peugeot-Citroen vorrebbero un aiuto dall'Unione Europea per contrastare questo problema di sovraccapacità produttiva. Volkswagen nel frattempo ha perso la prima posizione nella classifica globale di produttori di aiuto ed è stata sorpassata da Toyota che, dopo le difficoltà dello scorso anno provocate dal terremoto e dallo tsunami (che hanno fortemente ridotto la produzione di auto in Giappone e in Thailandia, a sua volta colpita da forti inondazioni), è tornata a superare General Motors e Volkswagen in termini di auto prodotte. C'è però da dire che l'utile operativo del costruttore di Wolfsburg è aumentato del 6,7%, a 6,49 miliardi di euro nei primi sei mesi del 2012, e sono migliorati anche i ricavi del 23%, raggiungendo quota a 95,4 miliardi. Fiat è in un momento difficile, non solo per la crisi economica ma anche a Piazza Affari le cose non vanno come dovrebbero: il titolo del gruppo italiano ha fatto segnare la peggiore prestazione perdendo il 3,22% e giungendo a 3,67 euro.
(Fonte: www.manageronline.it - 26/7/2012)

giovedì 26 luglio 2012

Automotive News: solo il 20% degli autosaloni Chrysler venderà la SRT Viper


Gli automobilisti interessati alla SRT Viper potranno acquistarne un esemplare nel 20% circa dei punti vendita Chrysler situati in Nord America. La stima viene resa nota da Ralph Gilles, responsabile del marchio SRT - che, ricordiamo, non vanta una rete vendita propria -, secondo cui appena 1 concessionario su 5 riuscirà a soddisfare i requisiti imposti dai vertici SRT. “Ciascun punto vendita avrà modo di candidarsi per ricevere alcuni esemplari della Viper – ha rivelato Gilles, nel corso di un evento stampa con i giornalisti statunitensi –. Tuttavia sarà estremamente difficile soddisfare le nostre richieste. Ogni concessionario dovrà infatti istruire il personale, adattare le strutture e disporre di un sufficiente bagaglio di storia nella vendita di Viper o SRT”. Gilles ha così formulato la previsione del 15-20%, lasciando dunque intendere che solo i ‘dealer’ più attrezzati ed economicamente avvantaggiati potranno ospitare uno o più esemplari della sportiva. Questo, ovviamente, “per garantire ad ogni acquirente la migliore esperienza possibile”. L’auto sarà in vendita da fine 2012 ad un prezzo non ancora comunicato, che tuttavia potrebbe aggirarsi attorno ai 100.000 dollari.
(Fonte: www.autonews.com - 23/7/2012)

mercoledì 25 luglio 2012

La Fiat 500L a settembre: gamma e prezzi


La nuova Fiat 500L inizia a spalancare le sue porte. Nelle concessionarie della casa torinese è infatti possibile richiedere un preventivo della "sorellona" della 500 mentre il prossimo settembre si procederà con il tradizionale "porte aperte" per far conoscere a tutti e provare la nuova vettura che il prossimo anno sbarcherà anche negli U.S.A. . Sul nostro mercato saranno disponibili 4 allestimenti, Pop, Pop Star, Easy e Lounge, con tre motorizzazioni (0.9 TwinAir da 105 Cv, 1.4 Fire 16v da 95 Cv e 1.3 Multijet II da 85 Cv), 11 tinte esterne di carrozzeria, 3 tinte diverse per il tetto (nero, bianco o in tinta con la carrozzeria scelta), 3 colori per i cerchi (nero, bianco, grigio), 13 opzioni diverse di coppe ruota e cerchi in lega, 7 configurazioni d'interni differenti e oltre 140 accessori creati appositamente (attualmente è la vettura del Gruppo con il maggior numero di accessori disponibili). I prezzi partono da 15.550 euro per l'allestimento Pop 1.4 16v da 95 Cv e arrivano fino ai 20.950 euro per il top di gamma Lounge motorizzato 1.3 Multijet II da 85 Cv e, come sempre, ci sarà la possibilità di trovare la soluzione finanziaria più adeguata alle proprie possibilità con le proposte di FGA Capital. Entrando nel dettaglio dei quattro allestimenti, la versione Pop propone di serie 6 airbag (due anteriori, due window-bag e due laterali), Abs con Ebd, proiettori anteriori con funzione luci diurne, sistema ESP per il controllo della stabilità, completo delle funzioni, Hill Holder, anti slittamento in accelerazione e nelle scalate, sterzo elettronico attivo e controllo anti ribaltamento. E poi ancora volante regolabile in altezza e profondità, alzacristalli anteriori elettrici, servosterzo elettrico Dualdrive con funzione "city", sedile guida regolabile in altezza, chiusura centralizzata, telecomando per l'apertura delle porte, sedile posteriore a 3 posti sdoppiato (40/60) scorrevole e richiudibile attraverso la funzione "Fold&Tumble System", vani portaoggetti sulla plancia (uno aperto e due con chiusura a sportello) e "Cargo Magic Space". Il modello Pop Star si arricchisce con fasce paracolpi laterali con inserti cromati, specchi retrovisori esterni con comando elettrico e disappannamento verniciati in tinta carrozzeria, cerchi in lega da 16" nelle colorazioni grigio, bianco o nero, l'irrinunciabile climatizzatore manuale con filtro antipolline e cruise control. La versione Easy, proposta allo stesso prezzo della Pop Star, oltre a quanto offerto dalla versione Pop, include il cruise control, climatizzatore manuale con filtro anti-polline, specchi retrovisori esterni con comando elettrico e disappannamento, sistema Uconnect con radio Cd/Mp3 touch- screen da 5" con bluetooth audio streaming, porta Usb e Aux, anche con radio digitale (optional), volante in pelle con comandi radio e Uconnect e pomello cambio in pelle. Infine, rispetto alla dotazione dell'allestimento Easy, la top di gamma Lounge aggiunge cerchi in lega da 16", fasce paracolpi con inserti cromati, fendinebbia con funzione cornering, fari automatici, poggia braccia posteriore, sensore pioggia, specchio retrovisore interno elettrocromico, tetto in vetro fisso, sedili anteriori con tasca sul retro dello schienale, alzacristalli posteriori elettrici, climatizzatore automatico bizona con filtro antipolline. Disponibili inoltre tre pack che raggruppano in maniera più conveniente alcuni accessori e che sono in vendita a 800 euro ciascuno. Per festeggiare il lancio della nuova 500L (fino a settembre), sarà anche possibile ordinare una edizione limitata della vettura, la "Opening Edition", sviluppata sulla base della Pop Star e che propone ricchi contenuti (del valore di 2.500 euro) a un prezzo promozionale: 17.150 euro con il motore 1.4 da 95 Cv e 19.350 euro per la versione con turbodiesel 1.3 Multijet II da 85 Cv.
(Fonte: www.repubblica.it - 20/7/2012)

martedì 24 luglio 2012

Mirafiori: stop anticipato alla produzione di Fiat Idea e Lancia Musa. Timori per il futuro


Dopo l'annuncio da parte di Fiat che lo stabilimento di Pomigliano d'Arco rimarrà chiuso anche dopo la pausa estiva, e cioè dal 20 al 31 agosto, mandando in quel periodo 2.150 lavoratori in cassa integrazione ordinaria, il Lingotto comunica di terminare oggi, con una settimana di anticipo, la produzione a Mirafori di Idea e Musa. La Carrozzeria di Mirafiori, infatti, sarebbe dovuta rimanere aperta per tutta la prossima settimana. Solo due giorni di lavoro, invece, per gli operai addetti alla produzione della Mito, mentre da settembre solamente le vetture giacenti saranno terminate. "Un altro duro colpo per le lavoratrici e i lavoratori della Carrozzeria Mirafiori" evidenziano Federico Bellono e Edi Lazzi della Fiom-Cgil, sottolineando come "sia ormai praticamente ufficiale che oggi sarà l'ultimo giorno di produzione di Idea e Musa, in quanto da settembre non verranno più prodotte se non quelle da finire giacenti sulla linea". I sindacalisti fanno quindi notare come "la dismissione dell'Idea e della Musa significa che circa 2.600 operai addetti a quelle produzioni saranno collocati in cassa integrazione a zero ore senza, al momento, avere nessuna certezza di rientrare a lavorare", non capacitandosi "dell'incomprensibile silenzio degli altri sindacati, delle istituzioni e delle forze politiche" che perdura "imperterrito a fronte di questo disastro sociale". Già il 18 luglio, dopo l'annuncio della Fiat relativo alla messa in cassa integrazione dei lavoratori di Pomigliano, Giorgio Airaudo, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile per il settore auto, sottolineava che in tal modo "tutti gli stabilimenti di Fiat Auto e Fiat Industrial sono ormai interessati dal ricorso alla cassa", aggiungendo come quindi diventa sempre più evidente che "per mantenere la produzione di autoveicoli in Italia è necessario un nuovo piano, coinvolgendo anche altri produttori". Airaudo della Fiom-Cgil evidenziava infatti che "il piano Fabbrica Italia si è infatti sostanzialmente disciolto nella crisi del mercato dell'auto" e "per questo è necessario avviare una discussione immediata sul futuro del settore auto, cioè di un settore che ha un'importanza strategica per l'occupazione, per il PIL e per il futuro stesso del nostro Paese". La Fiom-Cgil si dice convinta infatti che "per uscire dalla crisi non è possibile limitarsi a intervenire sul debito e sulla finanza, ma occorre anche occuparsi di prodotti reali", invitando il governo ad avviare un confronto "per salvare il settore auto e il suo indotto". Senza contare, conclude oggi sempre la Fiom, che è "giunto il momento di esigere dalla Fiat chiarezza e impegni precisi".
(Fonte: www.mainfatti.it - 20/7/2012)

lunedì 23 luglio 2012

Goldman Sachs: per Fiat pareggio di bilancio nel 2014 grazie a Chrysler


Per Goldman Sachs Fiat raggiungerà il break even in Europa nel 2014 grazie alla controllata Chrysler, che aiuterà il Lingotto a ridurre l'esposizione verso l'Europa. Secondo gli esperti, nel secondo semestre la società torinese registrerà una minore perdita operativa in Europa rispetto ai primi sei mesi dell'anno, in contrasto con i volumi dei concorrenti, ad eccezione di Volkswagen. La banca d'affari ritiene che entro 18 mesi Fiat prenderà il pieno controllo della casa di Detroit. Nonostante ciò gli analisti hanno ridotto le stime di ebit per il 2012-2014 di circa il 4% in media, viste le previsioni di profitto più basse per il business dei componenti. Marchionne miete elogi anche in Germania. L'edizione tedesca di Capital lo incensa come il «guaritore di Detroit» spiegando che «è riuscito nell'impossibile: il CEO Fiat ha fatto rivivere la casa automobilistica americana». L'articolo poi ricorda il momento in cui nello stabilimento di Jefferson il capo di Fiat-Chrysler incontrò gli operai prima della rinascita dello stabilimento e disse loro: «Adesso abbiamo di nuovo un futuro e il nostro destino è tornato nuovamente nelle nostre mani».
(Fonte: www.iltempo.it - 21/7/2012)

domenica 22 luglio 2012

Un rebus chiamato Fiat


Giorgio Airaudo, responsabile nazionale della Fiom per l’auto, attacca con la solita litania. “Sergio Marchionne – dice al Foglio – in Fiat non ne ha azzeccata una: piano, tempi, prodotti”. Poi però cambia tono: “Marchionne, che mi è pure simpatico, fa quel che può con quello che ha...”. Carlo Callieri, uno dei grandi protagonisti della Fiat dell’Avvocato nelle battaglie degli anni Ottanta, almeno sotto questo profilo, la vede in maniera quasi simile: “Marchionne è un manager tenuto a stecchetto”, ha commentato ieri in un’intervista a Repubblica. Insomma, il vero problema non è il manager con il maglioncino che quando ha potuto disporre, accanto alle tecnologie Fiat, dei quattrini prestati da Barack Obama, ha saputo fare miracoli in Chrysler. Intanto, per colpa del mercato (ma non solo) la Fiat italiana è deperita a livelli impensati: nell’anno bisesto 2012 in Italia non si produrranno più di 400 mila macchine, un milione in meno di quanto previsto dal piano Fabbrica Italia, 800 mila in meno di quel 2004, pure un anno disgraziato, in cui il manager mise piede al Lingotto per la prima volta. Il problema, insiste Callieri, non è lui, ma la mancanza di quattrini a sua disposizione per gli investimenti che ci vorrebbero. Roba che riguarda la proprietà: “Se c’è batta un colpo – ironizza Callieri – Ma per ora non vedo niente”. “Ormai Exor ha compiuto le sue scelte – commenta Giuseppe Berta, storico dell’economia e grande cultore di Fiat dalle origini a oggi – Basta vedere il portafoglio per capire che la famiglia guarda fuori Italia, anzi fuori Europa”. E allora? Se non ci pensa la famiglia, non resta che pensare alla mano dello stato? Assieme, o in alternativa, “all’ingresso di altri produttori”, come dice il leader della Fiom. L’ipotesi di un coinvolgimento del pubblico, in una qualche forma, insomma non è più un tabù. Per il sindacato non è una novità. Per il mondo politico e per buona parte del mondo degli addetti ai lavori, sì. Proprio ieri lo stesso Corrado Passera (uno che con Marchionne non si è mai preso fino in fondo) si è spinto a dire che “noi del governo dobbiamo seguire con grande attenzione quelle che possono essere le conseguenze sul nostro paese della trasformazione importante del settore dell’automobile”. Messa così la dichiarazione può significare molto o molto poco. Ma c’è molta differenza tra questa posizione e la solidarietà sfoderata dal premier Mario Monti anche dopo la visita lampo in Serbia, dove Fiat ha dirottato l’investimento per la 500L, inizialmente previsto a Mirafiori. Certo, al di là degli umori o delle preoccupazioni, le munizioni finanziarie a disposizione del governo, qualora si volesse metter mano a una qualche forma di incentivo accettabile anche in sede comunitaria (i motori verdi, per esempio, in cui l’Italia conta ancora un discreto vantaggio) sulla falsariga di quanto intende fare Parigi per PSA, sono davvero poca roba. “Per ora – spiega Berta – gli unici soldi sul totale di cui sono a conoscenza sono gli 80 milioni messi a disposizione dalla regione Piemonte: sono pochi pure per aiutare l’industria locale che, mi dicono, sta perdendo rapidamente le competenze accumulate negli anni al punto che non è più in grado di progettare e produrre, in base alle sole competenze locali, una vettura di classe C. Ma in chiave nazionale sono uno sputo nell’oceano”. Vero, ma spesso la volontà in politica conta più dei mezzi. Nel 2008/09, quando Marchionne tirò fuori dal cilindro la carta Chrysler, nessuna forza politica e sindacale italiana era disposta a sborsare un euro per gli “Agnelli che hanno avuto tanto”. E oggi? “Mi viene voglia di lanciare un’idea bizzarra – replica Airaudo – facciamo come in America. Diamo alla Fiat i soldi che chiede all’interesse del 9-10 per cento. Così Marchionne li restituirà il più in fretta possibile, dopo aver fatto gli investimenti. A differenza del passato, quando gli Agnelli non hanno restituito nulla”. Ma non si poteva fare prima, quando magari c’era ancora qualche spicciolo per dare una spinta all’industria dell’auto? “Forse sì, ma in quegli anni anche nei sindacati ha pesato la spinta leghista”. Difficile che certi ragionamenti facciano breccia nel Marchionne pensiero. Il numero uno di casa Fiat-Chrysler è più impegnato a occuparsi della crescita del gruppo in Cina e Russia e a tamponare l’inevitabile frenata del mercato brasiliano, in crescita geometrica ormai da troppi anni che ai tempi di sviluppo e realizzazione dei nuovi prodotti per la vecchia Europa. “Riteniamo – ha detto in occasione del lancio della 500L il responsabile del marketing Olivier François, ribadendo il pensiero del capo – che lanciare oggi altri nuovi modelli su questo mercato sia una grande cazzata”. Meglio godersi i successi della sua Chrysler, ormai beniamina della grande stampa U.S.A. . Il Wall Street Journal ha appena dedicato un servizio affettuoso alla Dart “l’auto che ha salvato Chrysler”, senza dimenticare di far notare che l’ultima nata di Detroit “è stata sviluppata sulla piattaforma dell’Alfa Romeo”. Il che ha il sapore della beffa: in Europa, in attesa delle nuove Alfa (Marchionne ha confidato ad Automotive News di averne bocciate quattro perché troppo "Fiat-style"), il marchio del Biscione venderà quest’anno meno di 100 mila vetture. Intanto gli Stati Uniti si abituano al ritorno della vettura che sarà prodotta in Michigan o in Canada. Piuttosto che ai coupé Alfa che saranno sfornati da Fiat presso gli stabilimenti di Mazda in quel di Hiroshima per poi raggiungere la California. “Secondo voi – è il parere di Airaudo – per l’Italia conta di più un modello Alfa sviluppato da un’azienda a proprietà straniera ma con lavoro italiano od operazioni di questo genere?”. Conta il rispetto della proprietà privata, visto che il marchio Alfa è degli azionisti Fiat. “Vero, Marchionne cerchi di trarre tutto il vantaggio possibile. Ma lo stato non può più essere assente: Fiat ha firmato contratti con il governo in Brasile, Serbia e U.S.A. . Ma da noi non c’è nemmeno un Post-it”. Intanto, proprio oggi, il giorno dopo l’annuncio che, causa l’invenduto di nuove Panda sui piazzali, nello stabilimento gioiello di Pomigliano scatterà dopo le ferie la Cassa integrazione, Volkswagen pianta in forma definitiva la sua bandierina sulla Ducati, dopo il via libera dell’Antitrust. Da Wolfsburg è arrivato un bell’assegno da 860 milioni, tanto per dimostrare che l’ammiraglia dell’auto tedesca, impegnata nella sua scalata al primato mondiale (dieci milioni di vetture nel 2018), non ha paura a puntare sul Bel Paese, dove già contano più di un piede grazie al controllo di Lamborghini, L’Italdesign di Giorgetto Giugiaro e, più ancora, grazie a una fitta rete di fornitori destinata a crescere dopo la sessione di incontri che De Silva, assieme allo stesso Giugiaro, hanno avuto con una fitta schiera di medie e piccole aziende cresciute a suo tempo nell’indotto Fiat. Oltre a una folta schiera di emigrati di lusso che non vedono l’ora di rimetter mano al Biscione. Primo fra tutti Walter De Silva da Como che, prima di sbattere la porta e approdare alla corte di Ferdinand Piech (che gli ha affidato il design di tutti i 12 marchi del gruppo), ha disegnato la linea delle Alfa che ancora caratterizza la Giulietta. “Gli incontri tra Volkswagen e Marchionne a suo tempo ci sono stati – commenta lo storico Berta – Da quel che ne so io i tedeschi erano interessati solo al marchio per cui hanno offerto una bella cifra, un miliardo almeno. Marchionne ha sparato molto più in alto. Non solo, ha posto come condizione la cessione di uno stabilimento in Italia, mentre il gruppo Volkswagen era interessato solo al marchio”. Fin qui le trattative passate. Ma, anche nel mondo dell’auto, non bisogna mai dire mai. Lo stesso De Silva ha fatto notare che Volkswagen ha pure investito in Paesi ad alto costo del lavoro, vedi il Belgio. “Sarebbe un fatto nuovo – riconosce Berta – anche se non penso che i tedeschi siano interessati a uno solo degli stabilimenti Fiat in Italia. Semmai potrebbero aprirne uno nuovo. Ma è presto per parlarne”. Intanto, la casa di Wolfsburg ha appena introdotto per i suoi mille e passa dipendenti italiani il contratto alla tedesca. Se domani si aprisse un tavolo a Palazzo Chigi o presso il ministero di Passera sul futuro dell’auto in Italia, il colosso che affida una bella parte dei componenti dell’Audi ai fornitori del Nordest potrebbe far la parte del convitato di pietra. O anche dell’ospite ufficiale, nel nome di un’amicizia industriale che frau Angela Merkel, a dire il vero, non dimostrò quando scartò l’ipotesi Lingotto per la Opel: visto com’è andata (tre anni dopo aver incassato i contributi governativi, GM si prepara a chiudere almeno uno stabilimento oltre Reno), forse valeva fidarsi di Marchionne, come ha fatto Obama. Ma bando al futuribile. La sensazione è che molte decisioni, le più importanti, dovranno essere prese nei prossimi mesi. “Io mi fido di Marchionne – chiude Airaudo – lui aveva detto che i conti si sarebbero tirati con l’ultimo trimestre. Siamo vicini”. Le prospettive? “E’ stato lui a spiegarci al tavolo delle trattative che con una quota di mercato inferiore al 7 per cento fai fatica a tenere in piedi una rete distributiva e di assistenza a livello continentale”. Non meno drastico lo storico bocconiano Berta: “E’ arrivato il momento delle scelte. Ovvero di tirar fuori un progetto per l’Italia che oggi non c’è. A partire dai suoi attori: la Fiat, il sindacato, il governo e tutti gli altri che sono disposti a mettere quattrini e tecnologie su un progetto integrato. Non escludo nemmeno, in linea di principio, il modello Giugiaro, cioè la collaborazione a livello di indotto e di componenti. Insomma, un progetto in cui sia senz’altro la Fiat ma non solo più la Fiat”. Cosa risponderanno i vertici del Lingotto? La linea è ben nota: finché il mercato dell’auto resta quello che è (le vendite in Italia sono scivolate ai minimi dal ’79, meno di 500 mila vetture) la strategia non cambia: primo non prenderle. La sorpresa sarà relativa: Marchionne ha già fatto sapere che, di questo passo, alla Fiat cresce almeno uno stabilimento in Italia. Quale? Secondo Mediobanca Securities, i candidati più probabili alla chiusura sono Melfi (destinato alla nuova Punto, rinviata a data da destinarsi) e Cassino. Ma, a parte le linee della ex-Bertone di Grugliasco, destinata alla Maserati, l’incertezza regna sovrana, anche in quel di Mirafiori dove gli investimenti per le linee dei primi Suv di casa Fiat, a detta dei sindacati, segnano il passo. Nel frattempo, Marchionne potrà continuare a interpretare la parte del Messia dall’altra parte dell’oceano, dove non passa mese senza che Chrysler non macini qualche nuovo record. E quella di Cassandra a Bruxelles, dove gli altri costruttori (non i tedeschi) stanno prendendo atto che il CEO di Fiat diceva il vero quando aveva previsto che la guerra dei prezzi, in assenza di interventi sulla capacità produttiva, avrebbe mandato all’aria i costruttori che più avrebbero confidato nella ripresa del mercato. Su un punto non è lecito nutrire dubbi: se Marchionne non avesse stretto i cordoni della borsa in Italia, concentrandosi su Chrysler, la Fiat, troppo fragile per reggere alla seconda ondata di crisi dopo aver resistito alla tempesta Lehman Brothers, sarebbe andata all’aria ben prima di Peugeot. E in Italia? La battaglia per assicurare agli impianti italiani condizioni in linea con il resto del mercato è ben lungi dall’essere vinta. La flessibilità, rispetto ai concorrenti, resta un miraggio lontano. Anche perché, come ha ricordato lui stesso, l’ultima vague del mercato è il contratto che le "Unions" inglesi hanno accettato di firmare pur di ottenere il trasferimento ad Ellesmere della produzione della Opel Astra: 51 settimane di lavoro, tre turni, sabato lavorativo a richiesta della direzione aziendale. Un gioco pesante, non c’è che dire. Chissà, però, se dall’altra parte del tavolo il capo-azienda Marchionne, che è un ottimo giocatore di poker, non troverà stavolta un ministro disposto ad andare a vedere le carte del numero uno del Lingotto prima che il baricentro del gruppo non sia del tutto spostato sull’altra riva dell’Atlantico. “Parliamoci chiaro – ha detto ieri sera il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini – il piano Fabbrica Italia non c’è più. Non è possibile che se la Peugeot in Francia annuncia licenziamenti interviene il presidente francese in persona oltre al governo e ai ministri interessati, mentre in Italia il premier Mario Monti ha detto che la Fiat è libera di investire dove vuole”.
(Fonte: www.ilfoglio.it - 20/7/2012)

sabato 21 luglio 2012

Fiat-Chrysler primo costruttore "apolide"


Capita sempre più spesso che nelle scuole torinesi gli studenti si raccolgano intorno a un loro compagno per salutarlo: tornerà forse tra qualche mese, forse lo rivedranno tra qualche anno. Andrà a vivere in uno dei sobborghi di Detroit, Michigan, perché suo padre o sua madre lavorano per la Fiat. Specialisti in ingegneria e in produzione, si trasferiscono negli U.S.A. e portano il loro sapere alla Chrysler, la casa automobilistica salvata dal gruppo italiano e che ora sta restituendo il favore con gli interessi. Il trasferimento di dirigenti a Detroit è la plastica manifestazione di un profondo cambiamento nel dna della Fiat: sempre più America, sempre meno Europa e sempre meno Italia. Di pochi giorni fa è la notizia che entro fine anno la Fiat Industrial, cioè la parte del gruppo che si occupa di camion con 24 miliardi di fatturato, si fonderà con la CNH (16 miliardi), la società americana che produce trattori e macchine movimento terra. La nuova azienda avrà sede nei Paesi Bassi, sarà quotata a Wall Street e in un altro mercato europeo che però non sarà Milano. È come se una multinazionale lasciasse l’Italia: peccato che si tratti di un pezzo importante della Fiat. Non a caso il suo amministratore Sergio Marchionne si è subito premurato di scrivere ai 19 mila dipendenti in Italia per assicurarli che da un punto di vista produttivo non cambierà nulla. Ma intanto il baricentro si è spostato verso l’America. Scendendo dalle grandi strategie industriali al singolo prodotto, c’è un’altra notizia che mostra il crescente distacco della Fiat dall’Italia, e che avrà fatto venire qualche mal di stomaco ai vecchi alfisti: il nuovo spider Alfa Romeo nascerà dalla collaborazione con la giapponese Mazda. Perfino un ingegnere che fa il consulente per la casa italiana, e che per ovvi motivi vuole rimanere anonimo, alza il sopracciglio e si rammarica: «Alla fine avremo un Duetto, simbolo dello stile italiano, che assomiglierà a una Mazda». Ma questi sono i risultati di una strategia condotta da un uomo che corre come un treno, coglie le opportunità al volo e cita Joseph Schumpeter: la sua è una forza distruttrice. Se conviene unire la CNH all’Iveco, se lo spider lo si produce con chi sa far bene queste vetture, se bisogna andare in America a prendersi il rischio Chrysler o addirittura creare nuove relazioni industriali in Italia scontrandosi con la Confindustria e la Fiom, lo si fa. Un azzardo dietro l’altro, senza avere un soldo dagli azionisti. Distruggendo pratiche consolidate e vecchi sistemi di potere. Uno dei più importanti cacciatori di teste italiani sostiene, anche lui off-record, che Marchionne, dal 2004 alla guida della Fiat, è ancora fermo alla fase uno, quella della ristrutturazione, dell’urgenza e dei ritmi massacranti di lavoro che fanno terra bruciata intorno a lui: manca la fase due, la costruzione di un management forte e di un degno successore «Ha uno stile manageriale distruttivo, non coltiva i talenti» rincara un altro consulente del settore auto. Nel mitico GEC (Group Executive Council), di cui fa parte la prima linea della Fiat, ci sono 25 top manager. Uno di loro potrebbe prendere il posto di Marchionne, ma gli esperti di gestione aziendale non vedono molte personalità cresciute abbastanza: «Tenendo conto dell’età» dice un consulente «sono solo in due che potrebbero giocarsi la partita: Alfredo Altavilla, 49 anni, responsabile dello sviluppo, ottimo negoziatore e “stressatore” di strutture; e Harald Wester, 54 anni, tedesco, capo di Alfa Romeo, Abarth e Maserati, molto dinamico e ambizioso». A 8 anni dall’arrivo alla Fiat, che risultati ha portato Marchionne? Intanto ha più che raddoppiato le dimensioni del gruppo e può vantare un bilancio della Fiat S.p.A. con un utile di 1,7 miliardi. Nel 2004 la Fiat Auto era in rosso, vendeva 1,7 milioni di auto di cui praticamente nessuna negli U.S.A. . Oggi la Fiat S.p.A. vende oltre 4 milioni di vetture di cui la metà in Nord America. «Nel 2004» ricorda Luca Ciferri, Chief Correspondent Europe di Automotive News, «la Fiat poggiava su quattro aree: Europa, Brasile, CNH e Iveco. Le ultime tre, in utile, compensavano il passivo delle attività europee. Nel 2012, dopo lo split della Fiat Industrial, sono venuti meno due pilastri ma si è aggiunta la Chrysler. In sostanza, oggi su 4 milioni di vetture del gruppo circa 2 milioni sono prodotte in Nord America, 800 mila in Brasile. La parte restante, poco più di 1 milione, in Europa che era e resta in sofferenza oggi come nel 2004». Dunque, un gruppo più grande. Che oggi fa il 52 per cento degli utili in America grazie alla straordinaria ripresa della Chrysler, con le vendite che crescono, come è accaduto in maggio, del 30 per cento. Se non ci fosse stata la casa americana, il gruppo avrebbe dovuto contare solo sui profitti brasiliani, visto che in Europa siamo a un risicato pareggio. Il giudizio su Marchionne negli U.S.A. resta molto positivo. Brent Snavely, analista al Detroit Free Press, il quotidiano più importante di Detroit, intervista spesso i sindacati e i dirigenti delle tre big dell’auto U.S.A.: «Pur costretti a turni durissimi, i dirigenti della Chrysler mostrano un sincero rispetto e ammirazione per il boss italo-canadese. Così come i sindacati, che pure hanno dovuto accettare condizioni peggiori rispetto alla Ford o alla General Motors. Ma tutti riconoscono che Marchionne è uno che mantiene quello che promette e che senza di lui la loro azienda sarebbe fallita». Però qualche ombra c’è: la cancellazione di un modello, il Town & Country minivan al posto del Dodge Grand Caravan, viene considerato da alcuni il primo errore del manager venuto dall’Italia. Insieme all’iniziale sopravvalutazione delle vendite della 500 negli U.S.A., ora in forte ripresa. Alle luci che giungono dagli U.S.A. e dal Brasile, dove la Fiat ha una linea di prodotti di successo disegnata per il mercato locale e da dove arriva il 37 per cento degli utili di gruppo, fanno da contrappeso le ombre europee e il vuoto in Asia, dopo la deludente collaborazione con gli indiani della Tata e la perdita del treno cinese. In Europa la Fiat soffre per due ragioni: la decisione di Marchionne di non investire nel lancio di nuove auto, in attesa che la crisi del mercato finisca, e il fatto che il manager non sia un uomo di prodotto, come ripete il designer Giorgetto Giugiaro passato sotto le insegne Volkswagen. Così, a parte la Giulietta, la nuova Panda e l’imminente 500 L, la Fiat non ha presentato alcuna vettura davvero importante. La Punto di nuova generazione è stata ancora rinviata e alcuni dicono che forse una nuova auto del segmento C, come la Bravo, non ci sarà più. Risultato? «Abbiamo una gamma insufficiente con dei prezzi troppo alti» si lamenta il responsabile marketing di uno dei più grandi concessionari Fiat della Lombardia. «La Giulietta, la Panda, la Mito vanno bene, la Freemont viene acquistata soprattutto come auto aziendale, mentre le Lancia derivate dalla Chrysler non si adattano al gusto italiano». I dati di vendita delle grandi Lancia sarebbero imbarazzanti: 486 Thema vendute contro un obiettivo per il 2012 di 10 mila pezzi. E 1.342 Voyager Lancia a fronte di una previsione di 11 mila. Marchionne striglia i responsabili delle vendite, però le quote di mercato in Europa continuano a scendere: ora sono intorno al 6 per cento, tre punti in meno rispetto al 2009. In termini di produzione italiana, i numeri segnalano un netto peggioramento: nel 2004 vennero prodotte in Italia 834 mila vetture. Nel 2011 si è scesi a 485 mila vetture. Per l’anno in corso tutto dipende dai risultati che saprà ottenere la nuova Panda di Pomigliano che, va sottolineato, ha dimostrato la volontà di Marchionne di investire in Italia trasferendo qui una vettura prodotta in Polonia. In teoria la Fiat avrebbe dovuto ridurre la sua capacità produttiva, ma non lo ha fatto: ha chiuso un impianto, Termini Imerese, con una capacità produttiva da 130 mila pezzi, ma ne ha aperto un altro a Kragujevac, in Serbia, da 140 mila vetture, grazie ai forti incentivi pubblici. La capacità produttiva è ancora in eccedenza strutturale. Con l’eccezione di Pomigliano, impianto estremamente flessibile che può produrre vari modelli, in Italia ci sono quattro fabbriche con un potenziale produttivo ciascuna di oltre 200 mila auto, ovvero più del doppio della produzione attuale. È giusto tenere a bagnomaria gli impianti e non lanciare nuovi prodotti quando i concorrenti presentano di tutto, dalle auto ibride a quelle elettriche? Gli esperti ammettono che forse la linea di Marchionne è un po’ estrema. Ma nel pieno di una crisi epocale salvare la cassa invece di buttare soldi al vento non è del tutto sbagliato: i dati trimestrali in Europa dei concorrenti americani (i francesi forniscono solo i semestrali) sono terribili: la Opel della GM perde 256 milioni, la Ford 149 milioni. «E non va dimenticato» aggiunge Giuseppe Berta, docente di storia contemporanea, direttore del Centro di ricerca sull’imprenditorialità e gli imprenditori e autore di quattro libri sulla Fiat, «che la Opel dal 1999 a oggi ha perso 14 miliardi». Con più di metà della produzione negli U.S.A. e un occhio all’Asia alla ricerca di un partner per entrare in Cina, la Fiat ormai ha sempre meno a che fare con l’Italia. E forse è sbagliato continuare a giudicare il manager per i risultati ottenuti in una periferia dell’impero. Anche perché Marchionne, che lascerà il gruppo tra il 2014 e il 2015, ha realizzato qualcosa di inedito: «La General Motors è una multinazionale, ma è americana. La Volkswagen è un’impresa globale, ma è tedesca. Così come la Toyota resta giapponese. La Fiat-Chrysler, invece» dice il professor Berta «sarà la prima casa automobilistica senza una matrice definita». Un’impresa apolide, proprio come Marchionne.
(Fonte: http://economia.panorama.it - 11/6/2012)

venerdì 20 luglio 2012

U.S.A.: Chrysler torna ad assumere


Se in Europa non passa quasi giorno senza l’annuncio di qualche ulteriore chiusura di impianto o uscita di scena di qualche produttore automobilistico (dopo la cessione per un simbolico euro a NedCar di una fabbrica, l’unica in Europa, di Mitsubishi in Olanda ieri Peugeot ha annunciato altri 8 mila esuberi che si sommano ai 6 mila già previsti dallo scorso anno e preannunciato la chiusura dell’impianto di Aulnay, alle porte di Parigi), negli Stati Uniti proprio il settore auto potrebbe dare una mano a Barack Obama impegnato nella corsa per un secondo mandato alla Casa Bianca. A sorpresa, ma non troppo, tra i gruppi in decisa ripresa e che sono tornati ad assumere personale vi è Chrysler, la controllata del gruppo Fiat in cui il produttore italiano è appena salito al 61,8% e il cui peso appare destinato a crescere sempre di più in termini di fatturato e utili sui conti del gruppo guidato da Sergio Marchionne (che invece in Italia ha già fatto sapere di poter essere costretto a chiudere un altro impianto se il mercato non si riprenderà). L’impianto di Belvidere, in Illinois, in particolare, dopo aver visto la manodopera scendere fino a un minimo di 200 persone solo tre anni fa, quando il gruppo finì in bancarotta e lo stesso Obama sponsorizzò un “salvataggio” da parte di Fiat, è ormai a pieni giri e sforna 300 Dodge Dart al giorno dopo aver completato le assunzioni per un terzo turno questo mese, che porterà 4.500 lavoratori a sfornare veicoli per 120 ore settimanali (ossia 40 ore settimanali per ciascuno dei tre turni). Condizioni simili a quelle che in Italia sono state adottate dallo scorso anno nello stabilimento di Pomigliano, dove circa 4.600 persone lavorano organizzate su tre turni quotidiani da lunedì a sabato, per un’attività di 24 ore al giorno 6 giorni su 7 con un orario individuale di 40 ore settimanali (48 contando gli straordinari, che potranno arrivare a un massimo di 120 ore all’anno). Ma mentre in Italia attorno a Pomigliano è nata una lunga diatriba, tuttora in corso, con i sindacati (Fiom Cgil in testa) e parte del mondo politico, negli U.S.A. Obama può citare proprio il caso di Belvidere come uno dei risultati migliori e più concreti del suo primo mandato, tra l’altro rispedendo al mittente l’accusa mossagli dallo sfidante repubblicano Mitt Romney di aver sperperato il denaro dei contribuenti finanziando piani di ristrutturazione di un “capitalismo clientelare” che sarebbe servito solo ad aiutare i sindacati alleati. Di certo negli U.S.A. al momento proprio il settore auto sta tornando a dare un contributo alla graduale ripresa del mercato del lavoro: secondo l’ufficio statistico americano, gli occupati nel comparto sono cresciuti del 35% (155.400 nuovi posti di lavoro) dal minimo ciclico del giugno 2009 (quando anche General Motors riemerse dalla procedura di bancarotta pilotata) ad oggi. Così mentre in Italia il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, deve tentare di “convincere Marchionne che l’Italia è un Paese nel quale vale la pena di investire”, negli U.S.A. Barack Obama sembra aver già risolto, con reciproca soddisfazione, il problema.
(Fonte: http://affaritaliani.libero.it - 13/7/2012)

giovedì 19 luglio 2012

Mercato europeo: Fiat-Chrysler in calo a causa della flessione in Italia


Nono calo consecutivo a giugno per il mercato dell'auto in Europa. Secondo quanto comunicato dall'ACEA, nei 27 Paesi dell'Unione Europea più quelli EFTA il mese scorso sono state immatricolate 1.254.052 nuove vetture, in flessione dell'1,7% rispetto a 1.275.734 segnato un anno fa. A maggio il mercato era sceso dell'8,4%. Nel primo semestre del 2012 le immatricolazioni hanno ceduto il 6,3% attestandosi a 6.896.348 contro i 7.360.690 dello stesso periodo del 2011. A giugno le immatricolazioni di Fiat Group Automobiles in Europa (UE a 27 + EFTA) hanno subito un calo del 16,7% attestandosi a 79.927 unità, contro le 95.900 di un anno fa. Nel mese di maggio le vendite in Europa del gruppo torinese avevano ceduto il 12,1%. Nel primo semestre del 2012 il Lingotto ha immatricolato in Europa 456.191 unità, in calo del 16,5% rispetto alle 546.629 dello stesso periodo del 2011. Riguardo ai singoli brand del gruppo torinese, a giugno in Europa Fiat ha immatricolato 57.839 nuove vetture, in calo del 17,9% rispetto ad un anno fa. In flessione anche il marchio alfa Romeo (-30,2% a 8.963 unità). Sostanzialmente stabile, invece, Lancia/Chrysler che a giugno ha venduto 9.669 vetture (+0,2% rispetto a giugno 2011), mentre le immatricolazioni di Jeep sono cresciute del 19,4% a 2.709 unità. Nel primo semestre dell'anno, Fiat ha venduto in Europa 327.647 unità, in flessione del 17,5% rispetto ad un anno fa e Alfa Romeo ha ceduto il 31,1% a 54.097 unità. In progresso, Lancia/Chrysler (+1% a 56.073 unità) e Jeep (+41,4% a 15.168 unità). A giugno Fiat Group Automobiles ha segnato in Europa (UE 27 + EFTA) una quota di mercato del 6,4%, in calo rispetto al 7,5% di un anno fa e rispetto al 7,2% di maggio. Nel primo semestre del 2012 il gruppo torinese ha segnato in Europa il 6,6% di quota, in calo rispetto al 7,4% dello stesso periodo del 2011. Riguardo ai singoli brand del gruppo torinese, la quota di Fiat a giugno in Europa si è attestata al 4,6%, in calo rispetto al 5,5% di un anno fa. In flessione anche la quota di Alfa Romeo, passata allo 0,7% dall'1% di giugno 2011 e stabile quella di Lancia/Chrysler (allo 0,8%) e Jeep (allo 0,2%). Nel primo semestre dell'anno, la quota di Fiat a giugno è scesa al 4,8% dal 5,4% di un anno fa. In calo anche la quota di Alfa Romeo (allo 0,8% dal precedente 1,1%). Lancia/Chrysler è stabile allo 0,8% e Jeep è cresciuta allo 0,2% dallo 0,1% dello stesso periodo di un anno fa. In giugno il Gruppo Fiat è stato "penalizzato dal pessimo risultato complessivo del mercato italiano". Così in una nota la società torinese commenta i dati ACEA sulle vendite di giugno in Europa. L'Italia è infatti il fanalino di coda tra le maggiori economie della UE a 27 per le immatricolazioni di automobili. A giugno l'ACEA rileva un calo del 24,4% e nei primi sei mesi di quest'anno di -19,7%. Le migliori performances invece 12,1%, e la Francia è stabile con -0,6%. Tra i vari Paesi dell'Unione, peggio dell'Italia vanno la Grecia con -43,3%, l'Irlanda - 42,1% e il Portogallo - 37%.
(Fonte: www.repubblica.it - 17/7/2012)

mercoledì 18 luglio 2012

Fiat cederà a PSA il 50% di Sevel Nord


Fiat Group Automobiles trasferirà a PSA Peugeot-Citroën la quota detenuta in Sevel Nord, la fabbrica di Valenciennes dove venivano prodotte Citroën C8, Fiat Ulysse, Lancia Phedra e Peugeot 807, oltre ai commerciali Citroën Jumpy, Fiat Scudo e Peugeot Expert.
Un'intesa di 34 anni fa - La joint venture, costituita nel 1978, portò alla realizzazione di due fabbriche: oltre a quella francese, c'è anche quella nella Val di Sangro, che venne inaugurata nel 1981. L'accordo preliminare per la chiusura della collaborazione, che terminerà il 31 dicembre di quest'anno, è stato presentato al Comitato dei lavoratori di Sevel Nord.
Tutto immutato in Val di Sangro - In base all'accordo, l'impianto francese continuerà a produrre veicoli commerciali leggeri per entrambi i gruppi fino all'entrata in vigore degli standard Euro 6 a fine 2016. L'intesa riguardante Sevel Nord non avrà ricadute sugli altri accordi di collaborazione che legano i costruttori francesi a quello italiano: la Sevel Sud in Val di Sangro continuerà a produrre per la joint venture i modelli Fiat Ducato, Citroën Jumper e Peugeot Boxer.
(Fonte: www.quattroruote.it - 11/7/2012)

martedì 17 luglio 2012

Enrico Atanasio (Fiat India): ipotesi export verso l'area Asia-Pacifico


La filiale indiana del gruppo Fiat prenderà in considerazione l'esportazione di veicoli verso i Paesi della regione Asia-Pacifico entro la fine del 2013 per compensare la debolezza delle vendite in India. Lo ha affermato Enrico Atanasio, responsabile commerciale di Fiat India Automobiles, la joint venture paritetica del Lingotto con gli indiani di Tata Motors. "I Paesi con guida a destra dell'Asia-Pacifico sono promettenti", ha affermato Atanasio. Il progetto della società indiana segue la decisione dello scorso maggio di ridefinire l'alleanza di sei anni con Tata Motors che affidava agli indiani la responsabilità della distribuzione e dell'assistenza delle vetture Fiat in India. La joint venture, che continuerà a produrre auto e motori, ha finora registrato vendite deboli a causa di un'offerta non molto forte e della concorrenza delle altre case. Nell'esercizio fiscale al 31 marzo scorso Fiat India Automobiles ha subito un calo delle vendite del 24% a 16.073 unità, a fronte di un mercato in crescita del 4,7% a 2,62 milioni. Atanasio ha quindi rivelato che Fiat è in procinto di istituire una nuova società commerciale in India, che opererà indipendente dalla joint venture con Tata Motors. Il Lingotto sta anche considerando il lancio di modelli di altri brand del gruppo Fiat-Chrysler: "Abbiamo 11 marchi a livello globale. Stiamo monitorando le tendenze attuali e future del mercato indiano e conseguentemente decideremo la loro introduzione", ha proseguito Atanasio, aggiungendo che Jeep potrebbe essere il primo dei marchi a essere lanciato nel Paese. Atanasio ha concluso affermando che i nuovi marchi saranno lanciati solo quando sarà completato l'attuale piano di espansione, che prevede la realizzazione di 80 showroom entro il prossimo mese di marzo.
(Fonte: http://borsaitaliana.it - 10/7/2012)

lunedì 16 luglio 2012

Financial Times: ora è Fiat ad avere bisogno di una "trasfusione di sangue" da Chrysler


Adesso è Chrysler a dare una mano a Fiat. Secondo il Financial Times nell'ora del bisogno è anche giunto il momento di ribaltare i ruoli, ricordando quando, nel 2009, fu appunto la Casa torinese a correre in aiuto della Chrysler con il risultato che oggi è sotto gli occhi di tutti. L'autorevole quotidiano economico londinese rincara la dose aggiungendo che al Lingotto occorre "una trasfusione di sangue proveniente dall'altra sponda dell'Atlantico per cercare di risollevarsi dalla crisi in cui è precipitata a causa dell'eccessiva dipendenza dal mercato italiano, per quanto riguarda sia la produzione che le vendite". Il giornale della City continua analizzando la produzione del Gruppo: "Gli stabilimenti Fiat in Italia lavorano al 53% della loro capacità produttiva, la più bassa tra gli stabilimenti presenti in Europa. Inoltre è troppo esposta su un mercato depresso come quello europeo, è quasi del tutto invisibile in Asia e anche se è adeguatamente posizionata in America Latina, non è comunque ai vertici assoluti". L'indagine sulle multinazionali del centro studi Mediobanca conferma in effetti che il mercato nordamericano vale il 36%, ma con il pieno consolidamento di Chrysler potrà arrivare anche al 50%. L'Europa vale il 37%, suddiviso in 16% Italia e 21% per il resto del Vecchio Continente, con il Sud America che rappresenta il 19%. Per cui, scrive l'FT, il vero jolly di Fiat adesso è il mercato nordamericano, con Chrysler passata al Lingotto per il 61,8%: "Se arriva all'80% - si legge sul Financial Times - Marchionne può sbloccare il tesoro di Chrysler e mettere le mani su otto miliardi di ricavi, un sogno per un'azienda che sta bruciando soldi in Europa". Certo, aggiunge il giornale economico, il Lingotto deve fare anche i conti con le pressioni politiche, sociali e legali per poter investire i soldi di Chrysler in Italia. "Marchionne sostiene che Fiat non può continuare a fare eccezioni per il sistema Italia, ma un giorno queste parole - conclude il FT - si riveleranno o aria fritta o la dichiarazione più coraggiosa mai fatta da un imprenditore italiano". Fiat comunque può contare su una disponibilità di 18 miliardi, decisamente superiore al valore di Borsa di altre Case automobilistiche straniere sia in Europa sia in Asia, come emerge dalla ricerca sulle multinazionali del centro studi Mediobanca. Il capitale in mano a Sergio Marchionne risulta più del doppio rispetto al valore di Renault (7,9 miliardi di capitalizzazione) e oltre sei volte quello di Peugeot (2,8 miliardi). È superiore anche a Mitsubishi (5 miliardi) e all'indiana Tata. Lo scenario automobilistico mondiale, sulla scorta dei dati di Mediobanca, è dominato dai grandi produttori giapponesi e tedeschi mentre appaiono escluse le società statunitensi, che una volta avevano le prime posizioni (nel 2001 GM e Ford erano rispettivamente in terza e quarta posizione) e che adesso navigano nelle retrovie. I primi sei giganti mondiali dell'automotive (con un attivo totale di oltre i 100 miliardi di euro) sono tre giapponesi e tre tedeschi (settima è la coreana Hyundai che invece nel 2004 era solo 12esima dietro alla Fiat). Nel 2011 Fiat Auto, dopo l'acquisizione di Chrysler, è in 12esima posizione, ormai alla pari con Peugeot che però naviga in pessime acque.
(Fonte: www.ft.com - 12/7/2012)

domenica 15 luglio 2012

Fiat-Chrysler: la holding Exor vicina al primo posto tra le multinazionali italiane


Con l'ingresso in Chrysler, la holding controllante Exor contende ad Eni il primo posto tra le multinazionali manifatturiere italiane. E' quanto nota R&S nella sua ultima analisi. Con sette mesi di consolidamento di Detroit nel 2011, Exor si è infatti portata l'anno scorso a 84,4 miliardi di fatturato, che con un anno intero di Detroit in perimetro potrebbe facilmente salire a quota 100 miliardi, non lontani dai 109,6 realizzati da Eni, dodicesima multinazionale mondiale. Torino ha così superato Enel, ora al terzo posto con 77,6 miliardi di ricavi e seguita, ad una certa distanza, a Telecom (29,3 miliardi) e Finmeccanica. Un altro balzo è stato compiuto da Tenaris, passata dal quattordicesimo all'ottavo posto delle multinazionali domestiche con l'acquisizione dell'olandese Draka, ch l'ha portata a 7,6 miliardi di fatturato. Le multinazionali con sede ed azionariato italiano sono al 53% imprese pubbliche ed al 47% private, detenute soprattutto da famiglie.
(Fonte: www.ilmondo.it - 12/7/2012)

sabato 14 luglio 2012

Automotive News Europe: Luca Ciferri, il reporter di Fiat-Chrysler, nuovo direttore


E’ un torinese il nuovo direttore di Automotive News Europe, la testata europea della rivista specializzata con sede in Gratiot Avenue, a Detroit. Luca Ciferri, 53 anni, vive a Torino da 30 ed è stato nominato il 26 giugno. La sua ascesa alla guida di ANE è una delle vicende simbolo dell’integrazione tra le due sponde dell’Atlantico dopo lo sbarco della Fiat a Detroit. «Mi trovo oggi ad indossare due cappelli - spiega Ciferri - uno come reporter per Fiat-Chrysler e l’altro come direttore di Automotive News Europa». Come giudica le prospettive del Lingotto? «Credo che senza l’alleanza con Chrysler la Fiat sarebbe già stata costretta a chiudere o almeno ad accettare una nazionalizzazione per salvare i posti di lavoro. Insomma, non sarebbe sopravvissuta da sola a questa crisi. Penso invece che con la mossa di Marchionne e gli utili fatti in Nordamerica, per questa volta il gruppo si sia salvato. In ogni caso, per quanto possano andare male le cose in Europa, Fiat ha sempre il 61 per cento di Chrysler e non il contrario». In futuro, secondo Ciferri, «il gruppo dovrà consolidare molto la sua presenza in Asia. Lo stabilimento cinese inaugurato di recente è un punto di partenza ma certo non ci si può accontentare di 150 mila auto in un mercato da 17 milioni. Solo con la gamba asiatica il gruppo Fiat-Chrysler potrà uscire dalla terra di mezzo in cui si trova oggi con 4 milioni di auto vendute. Ne mancano ancora almeno due milioni per competere con gli altri costruttori generalisti». E l’Europa? «Oggi i due mercati principali del gruppo sono il Nordamerica e il Brasile. In Europa Fiat è ormai al sesto posto».
(Fonte: www.repubblica.it - 9/7/2012)

venerdì 13 luglio 2012

Fiat-Chrysler e Mazda: solo un... Duetto?


Finalmente il Duetto tornerà nel suo spirito originario, spider compatto e sportivo a trazione posteriore, grazie all'accordo appena sottoscritto tra Mazda e Fiat-Chrysler per la produzione comune entro il 2015 delle eredi di due spider mito, come la MX-5 e la storica Duetto. Il ritorno dello spider Alfa è reso possibile dal pianale sviluppato per la prossima generazione della MX-5 e la vettura verrà assemblata nello stabilimento di Hiroshima. Finalmente sarà possibile, grazie all'accordo, far rivivere un classico di Alfa Romeo, adatto a tutti i mercati, che altrimenti sarebbe stato difficile far nascere. Ottimo, ma il Duetto sarà comunque un prodotto dai numeri relativamente contenuti, anche se commercializzato in Europa, Cina e Stati Uniti. Dunque tutto qui tra Mazda e Fiat? Molti segnali dicono di no e lasciano intendere che questo sia solo il primo passo di una collaborazione più ampia e più profonda. Perché due problemi possono trovare una soluzione soddisfacente con un accordo tra il costruttore giapponese e quello italo-americano. Fiat ha - come tutti i produttori europei eccetto, per ora, Volkswagen - problemi di sovraccapacità produttiva in un mercato continentale che è e resterà recessivo almeno per i prossimi due anni. Fiat potrebbe produrre con i suoi impianti italiani, polacchi e serbi oltre il doppio di quello che riesce a far assorbire attualmente dai mercati europei, inclusi quelli dell'Est. Mazda esce da un anno in cui tra crisi giapponese, con costi di produzione elevati e non più competitivi, e recessione del mercato europeo ha venduto complessivamente 1.250.000 vetture e accumulato una perdita di 1,13 miliardi di euro. Ha uno stabilimento europeo in Germania, a Leverkusen, per il quale ha già annunciato 100 licenziamenti e che chiuderebbe volentieri. Punta le sue carte per il futuro prossimo su SUV compatti e sulla nuova Mazda 6, berlina dalla linea emozionante, già anticipata da una riuscita concept a Ginevra e la cui versione definitiva sarà a Parigi ad ottobre. Una collaborazione per l'utilizzo di pianali e meccaniche Fiat per le sue compatte, serie 2 e 3 ad esempio, le darebbe buoni margini di competitività e abbatterebbe drasticamente i costi di produzione. Per Fiat sarebbe una vantaggiosa saturazione o comunque una migliore utilizzazione degli impianti europei, senza contare che anche nei SUV e crossover i pianali e meccaniche Fiat-Jeep sarebbero pronti, convenienti e avanzati tecnologicamente. Insomma, si prospetta molto più di un Duetto: un'intesa più ampia che converrebbe ad entrambi i partner. La cautela si spiega con l'amara esperienza vissuta dal costruttore giapponese nella sterile partnership con Ford, che dal 1979 era salito nel possesso delle quote azionarie fino al 33,4%, - limite del controllo totale - per ridursi oggi ad un marginale 3,5%, che peraltro il produttore americano cederebbe volentieri. Anche per Fiat, impegnata su tanti fronti e in pieno impegno di integrazione con Chrysler, molto meglio procedere passo per passo e sulla base di considerazioni strettamente economiche. Entro quest'anno, magari già a Parigi in ottobre, si potrebbe assistere alla tappa successiva.
(Fonte: www.motori.it - 4/7/2012)

giovedì 12 luglio 2012

Motor Trend: la gamma SRT avrà 3 modelli


Possibile terzo modello in via di sviluppo nel gruppo Chrysler, da aggiungere alla gamma del nuovo marchio SRT, che dovrebbe essere lanciato a fine anno con la Viper 2013. La nuova generazione Barracuda dovrebbe essere, a quanto riferisce Motor Trend, il secondo modello del marchio SRT. Negli ultimi dieci anni la Chrysler ha lanciato i modelli Street & Racing Technology (SRT) come versioni ad alte prestazioni dei modelli già esistenti. Con la Viper SRT 2013 il marchio Dodge dovrebbe uscire di scena. Lo scorso gennaio sarebbe stata confermata la notizia che la Viper SRT farà parte di una gamma di nuove auto potenti ad alte prestazioni, nel mercato U.S.A. . La Barracuda SRT non richiederebbe quindi il rilancio del marchio Plymouth ma finirebbe per sostituire la Dodge Challenger. Il modello Barracuda SRT dovrebbe arrivare entro l'anno 2015, insieme alle prossime generazioni Ford Mustang e Chevrolet Camaro, mentre la Challenger potrebbe essere lanciata con il model year 2017. La nuova Barracuda dovrebbe essere assemblata sulla nuova piattaforma Chrysler LA a trazione posteriore, derivata dalla piattaforma full-size LY, delle Chrysler 300 e Dodge Charger, o dalla piattaforma LX a trazione posteriore della precedente generazione Challenger. Anche Fiat potrebbe utilizzare la piattaforma LA per assemblare alcune delle sue vetture. Per la sostituzione, ad esempio, dell'Alfa Romeo 159 a trazione anteriore e forse per un successore più grande, come la trazione anteriore Alfa 166 prodotta dal 1998 al 2007. Su quale potrebbe essere la terza SRT ci sono due possibili ipotesi. Una potrebbe essere un successore della Dodge Ram SRT10 e l'altra una piccola sportiva due posti. Entrambe le ipotesi creerebbero problemi. Ford ha avuto un gran successo con l'F-150 SVT Raptor. Un'auto derivata dal Ram SRT, progettata per il fuoristrada estremo, sarebbe una buona prospettiva. Tuttavia finirebbe insieme al Ford F-150 e sarebbe difficile immaginare il Ram come un modello diverso. Per quanto riguarda la sportiva, invece, la Chrysler ha presentato nel 2007 la concept Dodge Demon, progettata per diventare una concorrente della Mazda Miata, ma ora sarebbe un problema. Infatti Mazda e Fiat hanno annunciato i piani per costruire a Hiroshima, in Giappone, una nuova auto sportiva Alfa Romeo Spyder a trazione posteriore sulla stessa linea della prossima Miata MX-5. La prossima Miata, prevista per il 2014, e l'Alfa, il cui lancio dovrebbe avvenire un anno dopo, non saranno in concorrenza diretta perché Fiat sta cercando di realizzare un progetto Alfa che sia concorrente della BMW. La piattaforma Miata potrebbe anche rivelarsi ideale per una sportiva SRT, ma il prodotto Chrysler, per evitare di competere con l'Alfa, diventerebbe concorrente del prodotto Mazda per prezzo e posizionamento. Mentre l'AD di Fiat e Chrysler Sergio Marchionne indica la possibilità di ulteriori alleanze strategiche con Mazda, la sportiva SRT non sembra avere particolare importanza strategica. Inoltre non ci sarebbe abbastanza spazio, nel mercato mondiale delle piccole sportive, per poter condividere la piattaforma MX-5 con altri due modelli.
(Fonte: www.motortrend.com - 3/7/2012)

mercoledì 11 luglio 2012

Fiat Bravo 2014: sarà una Viaggio a 5 porte?


Lo scorso gennaio, subito dopo l'apertura del Salone di Detroit, vi avevamo anticipato la notizia che la futura Fiat Bravo potrebbe nascere da una variante a due volumi derivata dalla berlina Viaggio prodotta in Cina assieme al partner Guangzhou: siamo ora in grado di mostrarvi un'ipotesi piuttosto realistica di come potrebbe essere il suo aspetto definitivo, realizzato partendo dai disegni di brevetto della variante a cinque porte della cugina Dodge Dart.
Grande quasi come la Delta - Rispetto alla Viaggio, che misura 4,68 metri, la variante hatchback dovrebbe perdere almeno una ventina di centimetri di lunghezza e attestarsi quindi appena sotto i quattro metri e mezzo, un valore assimilabile a quello dell'Opel Astra, della Mazda 3 e dell'attuale Lancia Delta, e sempre con un passo di 2,70 metri. Le modifiche alla sola parte posteriore, ovvero la riduzione dello sbalzo e l'introduzione del portellone, consentirebbero alla Fiat-Gac di realizzare significativi risparmi sulle linee di produzione e di offrire un prodotto con ottime doti di abitabilità.
Specifiche europee - Secondo quanto riportato da Jack Cheng, il general manager della joint- venture tra Fiat e Gac che Quattroruote ha intervistato a Pechino lo scorso aprile, la Viaggio a due volumi sarà prodotta a partire dal 2014, quando l'ampliamento dello stabilimento di Changsha, necessario per portare la capacità produttiva a 300.000 unità l'anno, sarà completato. Il passo successivo, dunque, potrebbe essere proprio l'esportazione in Europa. A questo proposito, va detto che alla Fiat hanno lavorato sulla Viaggio utilizzando le più stringenti normative europee, segno evidente della volontà di ampliare l'orizzonte commerciale di questo modello oltre i confini del grande Paese asiatico. Naturalmente salvo ripensamenti, dal momento che la situazione economica in Europa è tutt'altro che chiara.
(Fonte: www.quattroruote.it - 26/6/2012)

martedì 10 luglio 2012

Chrysler: da gennaio il diesel negli U.S.A.


Le Chrysler a gasolio stanno per arrivare negli Stati Uniti: i modelli che porteranno al debutto il 3.0 V6 della VM di Cento (FE) saranno la Jeep Grand Cherokee e la Chrysler 300, prime a fregiarsi della nuova denominazione EcoDiesel. Dopo di loro, se la risposta del mercato dovesse essere positiva, anche altre proposte del Gruppo potranno essere equipaggiate col sei cilindri italiano.
Non solo diesel - La nuova gamma EcoDiesel, il cui logo è stato registrato a fine giugno e svelato oggi dal sito MotorAuthority, rientra nei piani della Casa americana per ottemperare alle normative anti-inquinamento che entreranno in vigore nel 2025 negli Stati Uniti. Oltre che sul gasolio, la Chrysler punterà sull'ibrido e sul downsizing per ridurre le emissioni della propria gamma attuale.
Appuntamento a gennaio - Il turbodiesel italiano è già stato lanciato da noi sulla Grand Cherokee e sulla Lancia Thema, modelli sui quali viene offerto nel powerstep da 190 CV e 440 Nm e in quello da 240 CV e 550 Nm, entrambi abbinati a un cambio automatico cinque marce. Il lancio del diesel negli U.S.A. dovrebbe avvenire in concomitanza con il debutto della Grand Cherokee Model Year 2014, attesa per il prossimo mese di gennaio.
Aspettando l'otto marce - Il leggero ritardo rispetto alle tempistiche inizialmente previste consentirà di abbinare al debutto americano della nuova unità, quello del cambio automatico a otto marce prodotto dalla ZF, che garantirà valori di consumi ed emissioni migliori rispetto a quelli della trasmissione attuale.
(Fonte: www.quattroruote.it - 9/7/2012)

lunedì 9 luglio 2012

Fiat-Mazda: tecnici giapponesi a Pomigliano


Non più tardi di qualche settimana fa Sergio Marchionne aveva accennato alla possibilità di affittare – in gergo tecnico si chiama plant sharing – le fabbriche del Lingotto ad altre case automobilistiche per la produzione di vetture. Sarà un caso, ma da venerdì, e ancora per qualche giorno - come confermano voci sindacali -, sono in giro per lo stabilimento di Pomigliano manager e tecnici della Mazda che, lo ricordiamo, ha appena siglato un accordo con la Fiat per la produzione di uno spider da commercializzare in Italia col marchio Alfa Romeo.
Tre modelli diversi - Per il momento la fabbrica campana sforna solo la Panda, ma lo stesso amministratore delegato della Casa torinese ha affermato che al Vico si potrebbero produrre contemporaneamente tre modelli diversi grazie anche all'elevata tecnologia che ne fa l'impianto più avanzato d'Europa e proprio per questo oggetto di frequenti visite da parte di tecnici stranieri. Il Lingotto non è nuovo al plant sharing: Tichy produce la Ford Ka accanto alla 500 che ne condivide pianale e parti della carrozzeria. Alla Suzuki di Esztergom, in Ungheria, la casa nipponica realizza la Sedici per Fiat le cui differenze sono praticamente impercettibili. Si sa che la Fiat si sta muovendo proprio in quest'ottica, anche per scongiurare la minaccia della chiusura di un impianto, ventilata qualche giorno fa da Marchionne "un passaggio obbligato se il mercato continuerà così per altri due anni".
I sindacati - Se Pomigliano dovesse ospitare la produzione di un'altra vettura sarebbe anche una boccata d'ossigeno per i tremila cassintegrati che la Fiat ha ancora parcheggiati dopo l'ingresso dei primi 2.200 addetti alla Panda. I sindacati, per il momento preferiscono però stare alla finestra: per Giuseppe Terracciano della Fim Cisl occorrono urgentemente soluzioni strutturali, come gli incentivi all'acquisto, Luigi Mercogliano della Fismic invoca la produzione di un altro modello, Maurizio Mascoli della Fiom chiede contratti di solidarietà per aumentare l'occupazione.
(Fonte: www.quattroruote.it - 8/7/2012)

domenica 8 luglio 2012

Marchionne e l'Italia (2): è delocalizzazione?


Uno stabilimento che apre in Cina, la cassa integrazione per quasi due anni a Torino. Succede alla Fiat ma succede anche alle altre case automobilistiche. È il sorpasso nella produzione, non solo nei consumi, che i paesi del Bric - Brasile, Russia, India e Cina - hanno ormai fatto alla vecchia Europa. È di due mesi fa la rivolta dei sindacati francesi contro l'ipotesi che le case d'oltralpe trasferissero fuori dall'Europa le loro produzioni. È di oggi l'annuncio che Peugeot-Citroën ridurrà del 10 per cento la sua forza lavoro. Succede anche negli U.S.A., con i costruttori di Detroit che nel momento più grave della crisi, due anni fa, ottennero grandi concessioni dai sindacati sulla minaccia di trasferire la produzione proprio in Cina. Ancora lo scorso anno alla Chrysler i sindacalisti spiegavano: "Se non facciamo così, la produzione fugge in Oriente". Nel frattempo Fiat vende sempre meno auto in Italia (meno 24 per cento) e in Europa (meno 12), però Marchionne acquista un altro 3,3 per cento di Chrysler, salendo al 61 per cento del capitale. Il motivo è presto detto: negli Stati Uniti le vendite del gruppo controllato dall'azienda torinese a maggio registrano un incremento del 30,1 per cento rispetto al 2011. Per non parlare del boom della 500: negli U.S.A. (dove venne lanciata nel marzo dello scorso anno) le vendite sono schizzate del 122 per cento rispetto allo stesso mese del 2011. E oggi (a Torino) è stata presentata la versione Suv della ex piccola utilitaria. Nel gioco della lepre l'ultimo che corre è destinato a soccombere. Nel mese di giugno 2012 l'unico gruppo che ha guadagnato quote di vendita in Italia è stato quello coreano della Hyundai. Bassi costi di produzione - per il vantaggio di essere la lepre che viene inseguita - alti margini e alta competitività anche sui mercati depressi d'Europa (che vivono con lo svantaggio di inseguire). Non è solo o tanto una questione di costo del lavoro, una favola alla quale non crede più nessuno da quando si è scoperto che la Volkswagen ha i salari più alti d'Europa. È un problema di sistema: il business, e di conseguenza anche il mercato dell'auto e i posti di lavoro collegati, vanno dove l'investimento rende. Perché non è vero che l'auto è in crisi dappertutto. In Oriente, ma anche nelle Americhe, il mercato tira, e bene. In Asia l'auto produce posti di lavoro a salari sideralmente inferiori ai nostri (200-300 euro al mese) ma immensamente più alti di quelli che percepivano gli attuali operai prima di entrare in fabbrica. La globalizzazione crea certamente molti problemi in giro per il mondo, a cominciare dalla vecchia Europa, ma ne risolve qualcuno altrove. Se negli ultimi dieci anni un miliardo di persone è salito sopra la soglia della povertà, non vorrà dire che stanno bene, ma certo stanno meglio di prima e qualcuno, nel suo piccolo, comincia anche a consumare. Naturalmente il mercato ha le sue regole interne. Quello cinese è assai particolare perché gioca su numeri impressionanti. Se la Cina è tuttora un paese povero, basta che l'uno per cento dei suoi abitanti sia ricco per avere un mercato potenziale di auto di lusso paragonabile a quello europeo. In misura minore è quel che è accaduto per anni in America Latina. Ed è quel che spiega perché lo scorso anno la Cina è diventato il secondo mercato della Ferrari dopo gli Stati Uniti. Un discorso analogo vale per la dimensione della classe media. Altrimenti non si spiega perché nel 2012 la Volkswagen ha venduto nella sola Cina due milioni di auto, equivalenti all'intera produzione del gruppo Fiat. Ora però il fenomeno delle due velocità sta aprendo una nuova frontiera: quella delle auto prodotte in un solo paese. Sfida temeraria con i costi di trasporto di oggi. Ma la differenza di benefit tra i paesi emergenti e quelli a economia matura rende quasi giustificabile la scommessa. Nello stabilimento cinese inaugurato nei giorni scorsi, la Fiat produrrà anche un modello dell'Alfa Romeo destinato al mercato europeo. E già da tempo l'80 per cento delle auto prodotte in Polonia dal gruppo di Torino sono destinate al mercato italiano. È decisivo il ruolo della politica in queste scelte. Gli operai serbi di Kragujevac possono finalmente tornare al lavoro dopo gli anni dura della guerra e della ricostruzione perché la Serbia è fuori dalle regole europee, ha ottenuto importanti finanziamenti dalla Bce ed ha potuto permettersi di offrire alla Fiat uno stabilimento quasi a costo zero. Ed è questo il motivo per cui a Mirafiori la cassa integrazione è stata prolungata di un anno, in attesa di un nuovo modello in sostituzione di quello serbo.
(Fonte: www.repubblica.it - 3/7/2012)

sabato 7 luglio 2012

Marchionne e l'Italia (1): i nodi irrisolti


L'ultimo scenario disegnato da Sergio Marchionne, con la possibilità di chiudere uno stabilimento in Italia se dovesse perdurare l'attuale crisi del mercato auto, rappresenta l'apice estremo nel rapporto sempre più incerto tra l'amministratore delegato del Lingotto e il Paese. Non si tratta, infatti, solo di relazioni sindacali rese complicate e spesso conflittuali dalle scelte recenti del manager. Le stesse difficoltà e le incomprensioni segnano i rapporti con la politica, la magistratura e persino le leggi italiane, non adeguate, secondo Marchionne, al resto dell'Occidente industrializzato, al punto da essere "folcloristiche". Con la sua dichiarazione sull'esistenza di "uno stabilimento a rischio in Italia se non si riuscirà a produrre per gli Stati Uniti" il manager italo-canadese ha riacceso la polemica, creando qualche irritazione anche negli ambienti di governo, finora rimasti abbastanza alla finestra rispetto alle "guerre" dell'a.d. . Marchionne, del resto, conferma la sua abitudine di fare discorsi ipotetici e di scenario possibile - perché sempre riferiti all'andamento del mercato -, che però lasciano i suoi interlocutori "istituzionali" davanti a una costante incertezza. Ecco dunque i nodi irrisolti e i principali punti interrogativi, sul futuro della Fiat in Italia, rimasti senza risposta.
Fabbrica Italia - Lanciato nell'aprile del 2010, poco più di due anni fa, il piano di investimenti avrebbe dovuto garantire tra due anni la produzione negli stabilimenti italiani di 1,4 milioni di auto. A oggi ne mancano all'appello circa 900mila, mentre da più parti si contesta al gruppo l'assenza in termini di nuovi modelli.
Il caso Pomigliano - Lo stabilimento campano di FIP (Fabbrica Italia Pomigliano), dove si produce la nuova Panda, è il terreno di scontro principale con la Fiom perché da qui è stata determinata l'uscita di Fiat da Confindustria e sperimentata la nascita di una fabbrica scientificamente costruita senza i metalmeccanici della Cgil. La garanzia di riassunzione di tutti i 5.000 cassintegrati del vecchio stabilimento è scritta nell'accordo con i sindacati, ma non viene rispettata "perché al momento il mercato non lo consente". Restano fuori a oggi circa 2.000 lavoratori.
Termini Imerese - La chiusura dello stabilimento siciliano è avvenuta il 31 dicembre scorso, ma ufficialmente i cassintegrati di Termini Imerese sono ancora dipendenti del Lingotto fino a fine anno. Il programma di rinconversione del polo auto, però, sta segnando il passo e Regione e governo chiedono che la Fiat non si tiri indietro di fronte all'assai probabile fallimento del tentativo dell'imprenditore Di Risio di rilevare la fabbrica siciliana e riassorbire gli operai.
Il futuro di Mirafiori - Il destino dello stabilimento-madre sembra al momento il più incerto. Era stata programmata la riconversione delle linee produttive per ospitare la produzione di un modello Jeep per il mercato europeo. Due giorni fa l'azienda ha annunciato tre settimane di cassa integrazione per 5mila dipendenti, in massima parte impiegati e tecnici e 500 operai. Il polo torinese, poi, teme il possibile trasferimento della sede legale che ritorna periodicamente nei ragionamenti di Sergio Marchionne. Timori efficacemente riassunti oggi da Giorgio Airaudo, responsabile auto per la Fiom, nello scenario di Mirafiori come "un teatro di posa per produzioni fatte altrove".
Il rapporto con i sindacati - Con la Fiom ormai la Fiat parla solo nei tribunali. Sono quasi venti i giudici del lavoro sparsi per l'Italia chiamati a decidere sui ricorsi dei metalmeccanici Cgil contro la violazione dei diritti sindacali e costituzionali nelle fabbriche del gruppo dove, sulla base dello stesso Statuto dei lavoratori, l'azienda nega alla Fiom la possibilità di svolgere attività sindacale e rifiuta di operare le trattenute in busta paga per la quota sindacale degli iscritti Fiom. Ma anche con gli altri sindacati, quelli che hanno accettato di firmare l'accordo di gruppo, il rapporto è meno idilliaco di qualche tempo fa. Fim, Uilm e Fismic hanno appoggiato l'azienda nel chiedere ai lavoratori sacrifici in cambio di prodotti e occupazione. Ora che scarseggiano sia gli uni che l'altra anche i sindacati del sì si preparano a chiedere il conto.
Il dialogo con il governo - Nei mesi scorsi, al termine di un lungo colloquio con Sergio Marchionne, Mario Monti aveva detto che nessuno può costringere un'azienda a rimanere in un territorio. Era un'apertura di credito davanti alle assicurazioni fornite dal manager. Ma oggi praticamente tutte le forze politiche chiedono che Palazzo Chigi convochi la Fiat per avere chiarezza sulle mosse future.
Lo "scontro" con la magistratura - Più della metà dei giudici chiamati a decidere sui ricorsi della Fiom ha dato ragione al sindacato. Ma la giustizia del lavoro si è divisa, tanto che alla fine è stata investita della questione la Corte costituzionale. Sarà dunque la Consulta, probabilmente, a decidere se l'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, come applicato nel gruppo Fiat - con l'esclusione dall'attività sindacale delle sigle che non hanno firmato il contratto di gruppo - contrasti o meno con gli articoli della Costituzione che vietano la discriminazione dei lavoratori sulla base dell'appartenenza a un sindacato. Intanto, però, Fiat ha trovato modo di "aggirare" la sentenza sul caso Melfi, riassumendo i tre licenziati (due delegati Fiom) ma relegandoli in uno stanzino e fuori da ogni attività produttiva; ed ha impugnato il verdetto che imponeva, stavolta a Pomigliano, la riassunzione di 145 lavoratori (tutti iscritti Fiom) minacciando, in caso di esecutività della sentenza, di metterne altrettanti in cassa integrazione o in mobilità.
Le regole "folcloristiche" - Il problema è che, rispetto all'esperienza fatta in Chrysler e negli U.S.A., Marchionne in Italia ha a che fare con una "elasticità" assai minore anche delle leggi in fatto di libertà d'impresa, soprattutto se questa finisce per confliggere con i diritti dei lavoratori. Commentando dalla Cina il verdetto che gli imponeva la riassunzione dei 145 operai Fiom, l'a.d. di Fiat e Chrysler ha annunciato il ricorso parlando di "un evento unico che interessa un particolare paese che ha regole particolari che sono folcloristicamente locali". "Le implicazioni sulla situazione del business in Italia - aveva aggiunto - sono drastiche, perché l'Italia ha un livello di complessità nella gestione del mondo industriale che è assente nelle altre giurisdizioni. Tutto diventa puramente italiano, facendo diventare tutto difficile da gestire". Per questo, secondo Marchionne, non c'è la fila per venire a investire in Italia.
Il nodo della "tranquillità industriale" - "Il problema in Italia - ha detto ancora ieri Sergio Marchionne - è che fino a quando non riusciamo a trovare un accordo per mantenere un livello di tranquillità industriale per produrre vetture e anche per esportarle, diventa difficile guardare agli impianti italiani come risposta al mercato europeo". Cosa vuol dire "tranquillità industriale"? In parte Fiat l'aveva spiegato nella nota in cui annunciava il ricorso contro il verdetto dei 145 (la predominanza delle esigenze del mercato sui diritti dei lavoratori). Ieri il supermanager ne ha dato un'idea citando il recente accordo per la produzione della Vauxhall (GM) in Gran Bretagna: 51 settimane lavorative, tre turni e sabato obbligatorio quando lo richiede il mercato.
(Fonte: www.repubblica.it - 4/7/2012)