venerdì 30 luglio 2010

Obama in visita all'impianto Chrysler di Jefferson North (Detroit): "Marchionne sta facendo un grande lavoro"


Sergio Marchionne "sta facendo un grande lavoro". Lo ha detto Barack Obama parlando davanti a circa 1.500 operai dell'impianto Chrysler di Jefferson North a Detroit. Il capo della Casa Bianca ha sottolineato come un anno fa due delle tre 'big' dell'auto americana fossero "sull'orlo della liquidazione" e ha riaffermato il valore dell'accordo tra Chrysler e Fiat. Dal canto suo, Sergio Marchionne, amministratore delegato delle due case automobilistiche, ha elogiato il presidente degli Stati Uniti: "Siamo onorati dall'avere il Presidente con noi oggi. E' stato grazie al coraggio delle sue decisione che Chrysler è stata in grado sopravvivere e crescere a poco più di un anno dalla bancarotta". E ha aggiunto di prevedere che tra il 2010 e il 2011 le vendite di Chrysler in Europa e in Sud America raddoppieranno fino a raggiungere le 200.000 unità, facendo leva sulla rete di distribuzione internazionale di Fiat, soprattutto in questi mercati. Proprio in concomitanza con la visita di Obama, l'azienda U.S.A. ha annunciato che l'impianto di Sterling Heights non chiuderà nel 2012, come previsto finora, e che sarà introdotta una seconda linea produttiva con la creazione di 900 posti di lavoro. Nel corso del giro degli impianti, Obama si è rivolto ai dipendenti: "E' stato bello vedere il lavoro che state facendo e le macchine che costruite, pensando anche che solo un anno fa qui il futuro sembrava oscuro". Quindi ha ricordato, tra gli applausi dei lavoratori, che la sua "prima auto nuova è stata una Cherokee". "Salvare l'industria automobilistica americana è stato difficile. Non volevo che il governo entrasse nel settore. Molta gente a Washington era scettica sul salvataggio di Chrysler e diceva che era stupido aiutare questa azienda, ma il governo non poteva rimanere impassibile. Il fatto che siamo qui, che siete qui è la prova che chi criticava gli aiuti a GM e Chrysler sbagliava". Nel bilancio positivo tracciato da Obama, spiccano alcuni dati: l'industria automobilistica è più forte, dalla metà del 2009 sono stati creati nel settore 55.000 posti di lavoro e per la prima volta dal 2004 le tre sorelle di Detroit hanno archiviato il primo trimestre con un utile operativo. La strada per l'industria automobilistica è in ogni caso "ancora lunga", ma le "difficili decisioni prese stanno pagando". "Grazie Sergio per quello che hai fatto", ha detto il capo della Casa Bianca a conclusione del suo intervento riferendosi ancora una volta a Marchionne. Tra i circa 1.500 dipendenti che hanno accolto il presidente, tutti aderenti al sindacato UAW (United Auto Worker) e tutti soddisfatti del "salvataggio" operato da Fiat, molti indossavano magliette celebrative di Obama, altri t-shirt dedicate al 'World Class Manufacturing', il programma introdotto dalla Fiat contro gli sprechi. Altri ancora portavano indumenti con la scritta 'From out of many 1' e in basso il simbolo Noch a significare dedizione in qualsiasi ambito, come la famiglia. In questo caso - hanno spiegato gli interessati - sta a significare dedizione al lavoro.
(Fonte: www.repubblica.it - 30/7/2010)

giovedì 29 luglio 2010

I rischi del Lingotto


Da qualche tempo le mosse di Fiat Auto stanno diventando frenetiche. A fine aprile è arrivato il piano per trasferire a Pomigliano una quota della produzione della Panda che ora si fa in Polonia. Una settimana fa, l'annuncio che un modello di notevole peso industriale e commerciale sarebbe stato costruito in Serbia e non a Mirafiori. Poco dopo si è saputo che è già stata costituita una nuova società per gestire lo stabilimento campano, nonché per assumere con un nuovo contratto i lavoratori che accetteranno in toto di lavorare secondo i drastici standard indicati nel piano di aprile. Infine ieri l'Ad di Fiat ha avanzato come affatto realistica l'ipotesi di uscire dal contratto nazionale dei metalmeccanici ed ha ribadito che ciò che vuole sono comportamenti dei lavoratori che non mettano mai, in nessun modo, a rischio la produzione e l'azienda. In altre parole, niente scioperi, niente vertenze sindacali, assenteismo meglio se vicino a zero, massima disciplina in fabbrica. A queste condizioni Fiat auto potrebbe anche restare in Italia. La sequenza di queste mosse rientra chiaramente in una precisa strategia: portare per quanto possibile nel nostro Paese le condizioni di lavoro dei paesi emergenti, e in prospettiva i salari che in quelli prevalgano, perché ciò appare indispensabile allo scopo di reggere alla competizione internazionale. Se questa come sembra è la strategia Fiat, bisogna chiedersi dove essa potrebbe portare il Paese, ma anche la Fiat, e se la strategia stessa non avesse o non abbia ancora delle alternative. Nel nostro Paese la strategia Fiat potrebbe in realtà non diminuire, grazie agli investimenti promessi, bensì aumentare il rischio di un marcato inasprimento e diffusione del conflitto sociale. Non può esservi dubbio, quali che siano le previsioni in contrario di questo o quel ministro o sindacalista, che migliaia di aziende le quali hanno sussidiarie all'estero chiederanno quasi subito, ove la strategia del Lingotto si affermasse, di adottarle a loro volta. E' vero che c'è la crisi, che ha indebolito allo stesso tempo i sindacati e i singoli lavoratori; per cui molti di questi, dinanzi allo spettro della disoccupazione, accettano qualsiasi condizione pur di mantenere od ottenere un lavoro. Tuttavia non è affatto detto che in tutte le categorie, in tutte le zone industriali, in tutte le fabbriche e in tutti gli uffici, la grande maggioranza dei lavoratori accetti senza fiatare i dettami dell'organizzazione del lavoro "di classe mondiale". Ivi compreso il divieto di far sciopero, di manifestare, di aprire vertenze e perché no di ammalarsi. È questo uno scenario che l'amministratore delegato Sergio Marchionne parrebbe aver notevolmente sottovalutato, nella sua foga di giocatore che punta soprattutto a vincere la partita, quali che siano le conseguenze per gli spettatori. Dovrebbe essere il governo a ricordarglielo con una certa fermezza; ma dove stiano il governo, i ministri competenti, i politici che non si limitino a dire di supporre che tutto finirà bene, nessuno lo sa. Avrebbe potuto adottare altre strategie la Fiat, dinanzi a quella che senza perifrasi va definita come la crisi mondiale dell'autoindustria? La risposta è sì, alla quale è doveroso aggiungere che forse è troppo tardi. In primo luogo, anziché battersi per portare da noi le aspre condizioni di lavoro, i bassi salari, l'assenza di diritti dei paesi emergenti, Fiat avrebbe potuto battersi per addivenire ad accordi internazionali intesi a portare gradualmente in questi ultimi condizioni di lavoro, salari e diritti vigenti nei nostri paesi. Non è roba da fantapolitica. In molti settori, dall'abbigliamento all'industria mineraria, accordi del genere sono stati sottoscritti e miglioramenti non trascurabili conseguiti per i lavoratori di entrambe le sponde. Naturalmente, in una simile operazione strategica Fiat avrebbe dovuto di nuovo avere dietro o accanto un governo capace di muoversi su questa complessa scacchiera. Anche in tema di strategie industriali la Fiat avrebbe potuto imboccare strade diverse. L'autoindustria mondiale soffre di tre gravi problemi: un eccesso enorme di capacità produttiva, un serio ritardo tecnologico e una sostanziale incapacità di affrontare lo snodo cruciale della mobilità sostenibile (ad onta di quel che dice il sito dell'ACEA, l'associazione europea costruttori d'auto). In una simile situazione l'autoindustria avrebbe dovuto scegliere la strada schumpeteriana della concorrenza cooperativa, in luogo della concorrenza distruttiva. La prima prevede lo sviluppo di oligopoli che sappiano mettere in comune piani di produzione e tecnologie, oltre a dividersi saggiamente aree di mercato. La seconda prevede la guerra di tutti contro tutti, nella quale "mors tua vita mea". Anche in questo caso la Fiat non poteva sviluppare da sola forme di cooperazione internazionale, ma con il suo peso industriale e il suo prestigio poteva almeno provarci. Per contro ha imboccato con eccezionale tenacia e durezza la strada della guerra a oltranza dei costruttori. Essere costretti a sperare, come capita ora con le sue ultime mosse, che Fiat nei prossimi anni vinca almeno qualche battaglia, se non la guerra, non aiuta a formarci una visione serena né di quel che resta o potrebbe restare dell'industria italiana, né delle virtù competitive di cui parrebbe doversi universalmente dotare la società in cui viviamo. Quella che si diceva fosse fondata sul lavoro.
(Fonte: www.repubblica.it - 29/7/2010)

mercoledì 28 luglio 2010

L'intervento integrale di Marchionne nell'incontro con governo e sindacati sul futuro di Fabbrica Italia


"Buongiorno a tutti. Abbiamo passato gli ultimi tre mesi, da quando la Fiat ha annunciato i contenuti e gli obiettivi di Fabbrica Italia, tra scioperi, cortei, commenti e dichiarazioni da ogni parte. E temo che potremo andare avanti all'infinito in questo modo. Non voglio usare il tempo che abbiamo questa mattina per alimentare un dibattito che è già così ricco di esperti ed opinionisti. Le parole, per quanto interessanti, non servono a lavorare e a produrre. Per questo vorrei essere estremamente chiaro e diretto con voi oggi. C'è solo una cosa su cui è necessario pronunciarsi. Ed è decidere se vogliamo aggiornare il nostro modo di produrre oppure rimanere tagliati fuori dalle regole della competizione internazionale. Dobbiamo decidere se avere una forte industria dell'auto in Italia oppure lasciare questa prerogativa ad altri Paesi. Non servono fiumi di parole per questo. Ci sono solo due parole che, al punto in cui siamo, richiedono di essere pronunciate. Una è "sì", l'altra è "no". "Sì" vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana per darle la possibilità di competere. "No" vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utili e quindi a conservare o ad aumentare i posti di lavoro. La scorsa settimana, il Consiglio di Amministrazione della Fiat ha approvato i risultati del secondo trimestre. Come avrete avuto modo di vedere, si tratta di risultati che hanno sorpreso il mercato e che ci permetteranno, alla luce dell'andamento del terzo trimestre, di rivedere al rialzo gli obiettivi per l'anno. Quello che non è noto è che l'unica area del mondo in cui l'insieme del sistema industriale e commerciale del Gruppo Fiat è in perdita è l'Italia. Lo è stato nel primo semestre di quest'anno e anche in tutto il 2009. E quando si perde non si possono distribuire premi sui risultati perché l'utile del gruppo proviene dal resto del mondo e non dall'Italia. "Fabbrica Italia" è nata per cambiare questa situazione e per sanare le inefficienze del nostro sistema industriale. I contenuti li conoscete tutti e non è il caso di ripeterli oggi. Li abbiamo ampiamente illustrati il 21 aprile alla comunità finanziaria e ai Sindacati, quando abbiamo specificato il livello degli investimenti, i progetti previsti, le piattaforme produttive e i singoli modelli, compreso anche lo sviluppo congiunto della Fiat e della Chrysler. "Fabbrica Italia" è nata in quell'occasione, come un progetto della Fiat, da una visione dell'azienda, dalla nostra volontà di trasformare l'Italia in una base strategica per la produzione e le esportazioni di vetture. "Fabbrica Italia" non è un accordo. E' un nostro progetto. Non è stato concordato né con il mondo politico né con il sindacato. Per questo è incredibile la pretesa che ho sentito più volte rivolgere alla Fiat di rispettare un presunto "accordo". Non c'è stato nessun accordo, al di là di quello per Pomigliano. A dire il vero, non c'è stata neppure molta fiducia nel bagaglio di conoscenze di cui la Fiat dispone. "Fabbrica Italia" è stata una nostra iniziativa, perché – da azienda multinazionale che opera e gestisce attività industriali in tutto il mondo – conosciamo bene la realtà che sta al di fuori del nostro Paese e la qualità della concorrenza. Non tutte le imprese hanno la possibilità di poter contare su un'esperienza internazionale così ampia. Da qui nasce la volontà di aggiornare il metodo operativo negli stabilimenti italiani e di adeguarli agli standard necessari per competere. Abbiamo definito le condizioni indispensabili per rendere concreto questo progetto. Sarebbe stato molto più semplice – ed anche molto più economico – guardare ai vantaggi sicuri che altri Paesi possono offrire. La corsia per venire in Italia ad aprire un nuovo insediamento è drammaticamente vuota. Questa è la verità. La verità è che la Fiat è l'unica azienda disposta a mettere 20 miliardi di euro in Italia. Una cifra che equivale quasi alla Finanziaria di cui si sta discutendo in questi giorni. Siamo l'unica impresa che ha deciso di investire in questo Paese in modo strutturale. La sola cosa che abbiamo chiesto è di avere più affidabilità e più normalità in fabbrica. Da qualcuno ci siamo sentiti rispondere che stiamo ricattando i lavoratori, violando la legge o addirittura la Costituzione. Non voglio più commentare assurdità del genere. Se questo è un gioco politico, la Fiat non può e non vuole farne parte. Noi non stiamo agendo come soggetto politico e non abbiamo nessuna intenzione di farci coinvolgere. Se invece si tratta solo di pretesti per lasciare le cose come stanno, è bene che ognuno si assuma la propria responsabilità, sapendo che il progetto Fabbrica Italia non può andare avanti e che tutti i piani e gli investimenti previsti per l'Italia verranno ridimensionati. La rete industriale italiana - così com'è strutturata - non può reggere la competizione. Questo è un passo obbligato se vogliamo restare sul mercato. Abbiamo solo bisogno di chiarezza: o "sì" o "no". Qualunque sia la risposta, La Fiat è disposta a gestire entrambe le scelte. Siamo un'impresa internazionale che, grazie al lavoro fatto negli ultimi anni, è capace di modellare le proprie strategie industriali di fronte a qualunque circostanza. Nel fare questo non abbiamo mai chiesto soldi a nessuno e non chiederemo aiuti o incentivi. Stiamo ancora aspettando di ricevere dallo Stato metà dei rimborsi legati agli eco-incentivi che abbiamo finanziato noi direttamente ai clienti nel 2009. Chiediamo solo certezze. Se scegliamo la strada del "sì", deve essere un "sì" definitivo e convinto. Se la maggioranza decide di andare avanti su questo progetto non ci possono essere nuovi ostacoli ogni giorno. Se si firma un accordo con la maggioranza delle organizzazioni sindacali, l'accordo deve poi essere rispettato da tutti, senza distinzioni. In democrazia funziona così e nessuna industria è in grado di sostenere un modello diverso. Rispettare un accordo è un principio sacrosanto di civiltà. Prima di partire con il piano, dobbiamo essere sicuri di poter gestire gli impianti, di rispondere nei tempi e con le condizioni richieste dalle regole della competizione internazionale. Dobbiamo avere la garanzia, ferma e assoluta, che gli stabilimenti possano funzionare. Chiedo solo la certezza di poterlo fare. Decidere di portare la nuova Panda a Pomigliano non è stata una scelta basata su principi economici e razionali. Non era – e non è – la soluzione ottimale da un punto di vista puramente industriale o finanziario. Sarebbe stato molto più conveniente lasciare le cose come stavano e confermare la futura Panda in Polonia, dove è stata prodotta negli ultimi sette anni con livelli di qualità eccezionali. Lo abbiamo fatto considerando la storia della Fiat in Italia, quello che da sempre rappresenta e il rapporto privilegiato che ha con il Paese. La trattativa che ne è scaturita è stata lunga e incerta e a volte ha preso delle pieghe assurde. Durante questo periodo - che ancora non ha visto la fine - abbiamo dovuto prendere una decisione su dove allocare il futuro modello L0 per il marchio Fiat. Assegnarlo a Mirafiori, come era stato anticipato a dicembre nell'incontro di Palazzo Chigi, era una delle tante possibilità sul tavolo. La scelta che abbiamo fatto di portarlo in Serbia è nata considerando i tempi stretti che avevamo a disposizione per iniziare i lavori e adeguare le linee di produzione. Il progetto doveva partire al più presto, sia per ragioni commerciali sia per ragioni industriali. Avevamo la necessità di scegliere un impianto che ci desse la garanzia di rispondere alle esigenze del mercato. Considerando le incertezze in cui si trovava – e ancora si trova – il sistema italiano, era impossibile pensare di impostare questo lavoro in Italia, rispettando le tempistiche richieste dal progetto. Questo, però, non toglie prospettive al futuro di Mirafiori. Ne ha eliminata una fra molte. La gamma dei prodotti prevista nel piano quinquennale del Gruppo è talmente ampia che ci sono altre possibilità a disposizione. Considerando sia i prodotti Fiat sia i modelli Chrysler, esistono altre alternative che possono portare allo stesso risultato e garantire gli stessi volumi di produzione previsti. E' chiaro che più si aspetta, meno possibilità restano. Il punto è decidere se e come garantire condizioni operative che permettano di lavorare in modo continuo e normale. Si è parlato molto di come tradurre in pratica l'accordo raggiunto per Pomigliano. Tutto questo si può concretizzare con la costituzione di una nuova società, che si occuperà anche della componentistica locale di proprietà della Fiat. Inoltre dovremo adottare quelle iniziative necessarie a creare le condizioni per realizzare i nuovi programmi industriali attraverso una corretta applicazione del sistema contrattuale. Si parla molto della possibilità che la Fiat decida la disdetta dalla Confindustria e quindi dal contratto dei metalmeccanici alla sua scadenza. Sono tutte strade praticabili, di cui si discuterà domani al nuovo tavolo convocato col Sindacato nazionale. Se è necessario siamo disposti anche a seguire queste strade. Ma non è questa la sede per entrare nei dettagli. Quello che mi preme sottolineare è che la Fiat non ha nessun preconcetto sul modo in cui rendere praticabile l'accordo. Per noi la cosa importante è raggiungere il risultato e avere la certezza di gestire gli impianti. Produrre a singhiozzo, con livelli ingiustificati di assenteismo o vedere le linee bloccate per giorni interi è un rischio che non possiamo accollarci. Non voglio entrare nei dettagli della realtà che ho trovato a Pomigliano nel 2004 e dell'impegno che la Fiat ha preso per riqualificare l'impianto e i lavoratori, investendo direttamente più di 100 milioni di euro, senza assistenza o sostegni esterni. Non abbiamo mai chiesto riconoscimenti per questo. Ma finora ho sentito soltanto comizi e accuse. Non c'è stato nessuno dei critici – né al tavolo della trattativa né nelle lunghe interviste rilasciate ai giornali – che abbia avanzato una sola proposta operativa concreta. Non una parola è stata spesa per proporre una soluzione alternativa, in grado di far funzionare questo accordo. Quello che vorrei fosse chiaro è che non si fanno gli interessi dei lavoratori rifiutando di modernizzare gli impianti e i metodi di produzione, rifiutando di creare le condizioni per rendere un'azienda competitiva sul mercato globale. Non si fanno gli interessi dei lavoratori difendendo un sistema di relazioni industriali che non è in grado di garantire che gli accordi stipulati vengano effettivamente applicati. Non si proteggono le persone usandole per scopi politici o spingendole al caos nelle fabbriche. E' inammissibile tollerare e difendere alcuni comportamenti, la mancanza di rispetto delle regole, l'abuso di diritti ottenuti in cambio dell'assunzione di un dovere, gli illeciti che in qualche caso sono arrivati anche al sabotaggio. Non è giusto nei confronti dell'azienda ma soprattutto non è giusto nei confronti di tutti gli altri lavoratori. Chi agisce veramente nell'interesse dei lavoratori non passa più di tre mesi a distorcere la realtà, a trovare giustificazioni che non stanno in piedi, a inventare scuse al limite della moralità. Stiamo parlando di uomini e donne della Fiat, di persone che in gran parte hanno capito e apprezzato l'impegno che la loro azienda ha deciso di assumere in Italia. La responsabilità che noi abbiamo è prima di tutto verso di loro. L'appartenenza a una rappresentanza sindacale è una scelta che fanno i singoli e che può essere cambiata. L'appartenenza all'azienda è un dato di fatto che è immutabile. Il rapporto che abbiamo noi, che ha la Fiat con le sue persone è totalmente diverso. E' un rapporto saldo e diretto. Per questo all'inizio del mese ho scritto ai nostri lavoratori una lettera, per parlare loro in modo aperto e per fare chiarezza sulle tante voci e sulle accuse che hanno messo in dubbio la natura e la serietà del nostro progetto. In ballo non ci sono solo venti miliardi di investimenti. In ballo c'è il peso della presenza Fiat in Italia. Potrei anche spingermi ad immaginare quali sarebbero le conseguenze – per il ruolo e la credibilità del Paese – se un'azienda come la Fiat fosse costretta a togliere pezzi di produzione dall'Italia perché le fabbriche sono ingovernabili. Ma non sta a me giudicare né fare previsioni che spettano agli economisti. Io mi limito a gestire un gruppo industriale che deve scegliere le proprie strategie sulla base delle condizioni di cui può disporre e della realtà in cui si trova ad operare. Se in Italia non è possibile contare sul fatto che chi si assume un impegno lo porta avanti fino in fondo – con coerenza e con senso di responsabilità – dovremo andare altrove. Non ci sono alternative. Chi interpreta questa come una minaccia non ha la minima idea di cosa significhi competere sul mercato. Siamo disposti a farci carico di tutti gli investimenti necessari e ad assumerci il rischio d'impresa che è collegato ad un progetto così ambizioso. Non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza dell'azienda. Anche questo va considerato nel momento in cui si sceglie se dire "sì" o "no" a Fabbrica Italia. Vorrei concludere con la stessa riflessione e lo stesso invito che ho rivolto a chi era presente a dicembre dello scorso anno a Palazzo Chigi. Capita di rado nella vita che ti venga data una seconda chance. La crisi che si è abbattuta sul settore dell'auto ha fatto vittime illustri. La colpa di molti costruttori è quella di non aver reagito – per incapacità o per inerzia – ad un mondo che è totalmente cambiato. La colpa è quella di non aver avuto le risorse o il coraggio per affrontare i problemi alla radice. Purtroppo è arrivata la resa dei conti. Ma non è così per la Fiat. E non è così per la Fiat in Italia. Noi oggi – grazie anche all'accordo con Chrysler – abbiamo una seconda possibilità. Possiamo ricostruire una base industriale forte nel nostro Paese. Abbiamo le spalle sufficientemente larghe per sanare quegli handicap produttivi che per troppo tempo ci hanno fatto apparire inefficienti in confronto ad altre nostre realtà all'estero. Possiamo creare le condizioni per qualcosa che non abbia sempre bisogno di interventi d'emergenza. Qualcosa che sia solido e duraturo, da cui partire per immaginare il futuro. Abbiamo l'opportunità di costruire una rete industriale in Italia che sia in grado di aumentare in modo significativo gli attuali volumi di produzione. Non sprechiamo questa opportunità. La sfida è possibile unendo le forze, le intelligenze, le risorse. Lo è dividendo i compiti, i sacrifici e le responsabilità. Vorremmo che, per una volta, fosse l'Italia a diventare l'esempio di come questi cambiamenti si possono realizzare con successo. Grazie per l'attenzione".
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 28/7/2010)

martedì 27 luglio 2010

Automotive News anticipa i dettagli del ritorno di Fiat sul mercato U.S.A.


A dicembre Fiat ritornerà ufficialmente sul mercato U.S.A., dopo ben trent’anni di assenza. L’auto destinata a far rivivere i fasti del Lingotto al di là dell’Atlantico sarà la Fiat 500. Circa 200 concessionarie Chrysler - soprattutto quelle dislocate nelle aree metropolitane - si occuperanno della commercializzazione della citycar torinese. Al momento del lancio, la 500 sarà disponibile negli Stati Uniti solo con il motore 1.4 MultiAir da 105 CV di potenza che garantirà una percorrenza di 40 miglia per gallone, ovvero 16 km al litro. L’auto sarà assemblata nell’impianto messicano di Toluca, mentre il motore sarà prodotto nello stabilimento di Dundee in Michigan. Per il 2011, Fiat prevede di vendere tra le 50.000 e le 100.000 unità di 500, anche perché l’anno prossimo sarà la volta della cabriolet 500C. Nel 2012, invece, debutteranno l’Abarth 500 con il propulsore 1.4 T-Jet da 160 CV e la 500 EV elettrica con batterie agli ioni di litio. Tra l’altro, la Fiat 500 EV sarà un modello esclusivo per il mercato U.S.A. . Il piano industriale prevede che la Fiat 500 sarà disponibile oltreoceano in quattro varianti di carrozzeria. Però, la variante MPV potrebbe arrivare negli U.S.A. in ritardo rispetto alla tabella di marcia, a causa della decisione di Sergio Marchionne di spostare la produzione della vettura dall’impianto italiano di Mirafiori a quello Zastava in Serbia. Infatti, le nuove MPV compatte di Fiat erano attese sul mercato per il 2011, ma lo spostamento della produzione farà slittare il debutto in Europa all’anno successivo che conseguirà un ritardo per gli U.S.A. .
(Fonte: www.autonews.com - 26/7/2010)

lunedì 26 luglio 2010

L'Osservatore Romano: come viene praticata oggi, la delocalizzazione non funziona


Il lettore forse conoscerà la storiella di Henry Ford, il quale, dopo avere sopportato un lungo periodo di conflittualità sindacale, fece progettare e costruire una fabbrica di automobili totalmente automatizzata. Mostrò poi l'impianto senza operai al potente capo dei sindacati e gli disse con scherno: "La fermi ora, se ne è capace". Ma il sindacalista replicò: "Adesso venda lei le auto prodotte, se ne è capace". Sottintendendo che, se non si produce potere di acquisto, non è nemmeno possibile vendere. Il mondo di oggi - globalizzatosi con ritmi troppo accelerati, spesso senza permettere di concepire e realizzare strategie competitive - è pieno di contraddizioni che vanno risolte. La spiegazione di queste contraddizioni sta soprattutto nelle tre dimensioni economiche dell'uomo, ormai in totale conflitto fra loro. L'uomo economico è infatti produttore, compratore, investitore. La prima dimensione è legata al lavoro, che permette di produrre reddito e risparmio; la seconda alla possibilità di comprare qualsiasi prodotto, realizzato ovunque e al prezzo più conveniente; la terza alla capacità di investire i risparmi secondo convenienza. Evidentemente queste tre dimensioni entrano in conflitto se una persona lavora in un'impresa di cui non compra i prodotti perché non li trova competitivi, e nella quale non investe perché essa non offre sufficiente rendimento. Se poi la stessa persona compra prodotti di un'impresa concorrente a quella per cui lavora, investendovi magari anche il proprio capitale, la sua azienda è destinata presto a fallire, lui a restare senza lavoro e di conseguenza a perdere anche le dimensioni di consumatore e di investitore. Il mondo intero ha sotto gli occhi gli effetti della delocalizzazione - soprattutto in Asia - degli ultimi anni, fenomeno che ha prodotto trasferimenti di capitali e tecnologie, orientati soprattutto a ottenere produzioni a basso costo, ma senza basarsi su vere scelte strategiche. Ciò ha generato un nuovo modello economico difficilmente sostenibile, perché ha creato Paesi produttori, ma temporaneamente non consumatori, e Paesi consumatori, ma non più produttori. I primi sono entrati nel ciclo economico della crescita, i secondi ne sono quasi usciti. Si può certamente scegliere di andare a produrre fuori dalla propria area economica, ma si deve avere la consapevolezza che nella regione individuata si dovrà presto anche andare a vendere, perché in quella zona si trasferisce la capacità di acquisto sottratta ai luoghi dove si intendono chiudere le produzioni, magari per gli alti costi o per la rigidità del lavoro. Non è infatti economicamente sostenibile che un'area fornisca soltanto capitali e domanda di beni, ma non mano d'opera. È inoltre illusorio pensare che sia sostenibile disporre di tre aree diverse da gestire: per trasferire il lavoro (perché costa meno), per raccogliere i capitali (perché sono disponibili), per vendere i propri prodotti (perché c'è potere di acquisto). Questa strana tripartizione può stare in piedi solo per brevissimo tempo, perché tutte e tre le scelte sono presto destinate a diventare instabili e volatili. Ogni Paese deve invece essere capace di produrre, vendere e attrarre capitali, almeno in qualche segmento di mercato. Nel mondo globale, così fortemente cambiato e innovato, non ci si può illudere di essere competitivi in tutto, ma è indispensabile avere una certa dose di competitività sostenibile. Altrimenti si rischia di poter quotare in borsa solo l'Empire State Building, la Tour Eiffel o il Colosseo.
(Fonte: www.vatican.va/news_services - 25/7/2010)

venerdì 23 luglio 2010

Fiat non fa retromarcia e conferma che andrà avanti con il piano-Serbia


L’eco delle polemiche scatenate dalla sua decisione di produrre in Serbia i nuovi minivan inizialmente previsti a Mirafiori lo ha raggiunto ad Auburn Hills, Detroit, nel suo ufficio al quarto piano della torre Chrysler. Ma non lo ha minimamente turbato. Sergio Marchionne, dopo il consiglio di amministrazione Fiat che ha approvato la scissione in due della società, ha deciso di rimanere negli Stati Uniti almeno sino a metà della prossima settimana. Lontano dall’Italia, dal teatrino della sua politica e dai riti un po’ consunti dei suoi sindacati. Chi lo conosce non ha dubbi: inutile piangere ora sul latte versato o invocare nuovi traballanti tavoli di discussione. La decisione su Kragujevac è presa, il piano di investimenti da 1 miliardo di euro avviato. I primi tecnici sono già stati spediti a preparare le linee che sforneranno le sostitute di Idea, Musa e Multipla. L’amministratore delegato di Fiat e di Chrysler non fa mistero di ritrovarsi sempre meno in un sistema parolaio e inconcludente e non manca occasione per rimarcare le differenze con gli Stati Uniti, ma anche con la Polonia, la Serbia, il Brasile: Paesi dove gli investimenti proposti da Fiat vengono benedetti, applauditi e incentivati. Magari gli stessi investimenti che in Italia vengono sbeffeggiati, contrastati e contestati. Il Belpaese dei bizantinismi e della dietrologia, per usare una sua espressione, «lo fa incavolare». Giocatore di poker e di tresette, Marchionne non ama però i bluff. Rivendica di essere un uomo diretto, che mantiene quello che dice e realizza quello che annuncia. «The things we make, make us», «Le cose che facciamo dicono quello che siamo»: è, non a caso, una delle sue frasi preferite, tanto da averne fatto un enorme manifesto che occupa una facciata della torre di Auburn Hills. Pomigliano non garantisce ancora una chiara governabilità? Fiat sospende i piani di Fabbrica Italia e accusa apertamente le rigidità del sindacato. Il che non vuol dire che non si faranno più investimenti in Italia, ma che si procederà «caso per caso». E siccome le auto bisogna pur produrle, via con le prime alternative: Kragujevac invece di Torino, appunto. Centonovantamila vetture l’anno della nuova L0 che dalla fine del 2011 verranno prodotte in Serbia dalla Zastava. Avanti dunque con le riunioni e gli impegni programmati da tempo a Detroit per lavorare al rilancio della casa automobilistica U.S.A. affidata da Barack Obama alle sue cure. La Chrysler è in fase di netta ripresa, a Jefferson è appena partito il secondo turno per la Jeep Grand Cherokee (1.300 assunzioni) e già si pensa a un terzo turno (con relative assunzioni). La strada da fare per completare il risanamento è ancora tanta. Però già oggi gli analisti valutano la società 20 miliardi di dollari e l’obiettivo di quotarla il prossimo anno non appare impossibile. Ma in questa parte d’America depressa e dimentica del glorioso passato industriale, Marchionne e il suo pugno di uomini hanno soprattutto riportato l’orgoglio fra i lavoratori. E qui si ritorna inevitabilmente al confronto con l’Italia. Il manager italo-canadese lo ha confidato anche mercoledì scorso mentre annunciava agli analisti la decisione sulla Serbia: «Qua lavorare è un onore, in Italia a volte sembra una cosa negativa». Ai problemi di Torino, intesa come gruppo Fiat, Marchionne si dedicherà dunque nella seconda parte della settimana. Il che non significa che affronterà necessariamente solo la questione del capoluogo piemontese e del suo futuro produttivo. Secondo Automotive News Europe, Marchionne starebbe meditando di non costruire più a Mirafiori nemmeno la nuova Alfa Romeo Giulia e l’erede della Chrysler Sebring. E qualche ripensamento potrebbe esserci anche sul progetto di realizzare una nuova compatta Chrysler a Cassino. L’ad del Lingotto lo dice spesso: in Italia si fa fatica a comprendere che la Fiat è ormai una multinazionale che ha come mercato il mondo e a questo mercato risponde. «Io non vendo idee - ha spiegato - ma auto, camion e motori. Mi metto in gioco, ma poi, certo, le macchine vanno costruite in un ambiente dove te le fanno costruire». E allora "Let’s go", avanti: gli orizzonti sono ben più ampi - sostengono al Lingotto - del cortile di casa. «Chrysler è l’operazione più importante che abbiamo fatto da quando sono arrivato in Fiat - ha detto Marchionne - Ma non ci fermiamo. A fine settembre, ad esempio, andrò in Cina per siglare un importante accordo».
(Fonte: www.lastampa.it - 23/7/2010)

giovedì 22 luglio 2010

Marchionne: l'erede di Idea, Multipla e Musa trasferita da Mirafiori a Kragujevac (!)


C'è un investimento da un miliardo di euro pronto per la Serbia. A finanziarlo saranno la Bei per 400 milioni, il governo di Belgrado per 250 e al resto provvederà la Fiat. Il nuovo insediamento del Lingotto nella ex Jugoslavia partirà subito e sarà destinato alla produzione della L0, un monovolume previsto in due versioni e in 190 mila unità all'anno, che sostituirà la Multipla, la Musa e l'Idea che attualmente vengono prodotte a Mirafiori. "Se non ci fosse stato il problema Pomigliano la L0 l'avremmo prodotta in Italia" dice Sergio Marchionne. E stupisce i consiglieri e anche gli analisti della conference call. Inevitabile la domanda che arriva da più parti: e a Mirafiori che cosa si farà? "A Mirafiori faremo altro, ci stiamo pensando". Nella quiete estiva del quartier generale della Chrysler, adagiato nel verde di Auburn Hills, poco lontano da Lago Michigan, il cda del Lingotto chiamato ad approvare i conti del secondo trimestre 2010 consacra il successo dell'alleanza americana, "senza la quale non sarebbe stata neppure pensabile l'operazione dello spin-off e la nascita delle due Fiat" dice il presidente John Elkann. Ma rimanda subito all'Italia e al pasticcio di Pomigliano d'Arco, costringendo Marchionne a rispondere a una serie di domande che sembrano infastidirlo ma non al punto da fargli cambiare strategia. A cominciare da quella sulla fabbrica serba di Kragujevac.
Perché lì e non in Italia la futura L0?
"Ci fosse stata serietà da parte del sindacato, il riconoscimento dell'importanza del progetto, del lavoro che stiamo facendo e degli obiettivi da raggiungere con la certezza che abbiamo in Serbia la L0 l'avremmo prodotta a Mirafiori. Fiat non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti sugli impianti italiani: dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni dell'attività".
Insomma è questo un effetto indotto di Pomigliano? Potrebbe voler dire che saranno riviste le decisioni prese per lo stabilimento campano?
"A Pomigliano abbiamo deciso di andare avanti e lo faremo con i sindacati che hanno scelto di condividere la responsabilità di fare in modo che la fabbrica sia governabile. Pomigliano è un work in progress, abbiamo scelto di investire 700 milioni e se non funzionerà abbiamo altre alternative non in Italia. Noi vogliamo restare competitivi nel settore dell'auto in un posto dove ci consentono di farlo. Dico questo con tutta la calma possibile e continuo a stupirmi delle interpretazioni che vengono date alle mie parole. Dire che non mi interessa la sorte dei dipendenti è una grandissima cavolata. Comunque, non duplicheremo Pomigliano, ma decideremo impianto per impianto. Dobbiamo, soprattutto, convincere i sindacati della necessità di modernizzare i rapporti industriali in Italia".
Ma se alla rottura di Pomigliano si aggiunge la questione del premio di produzione e i licenziamenti, non si può continuare a pensare che i rapporti siano destinati a migliorare.
L'amministratore delegato del Lingotto non sembra esserne convinto: "Si è creata l'idea che io ce l'abbia con i dipendenti. Questo non è vero, la Fiat non è fatta solo da chi si oppone a Pomigliano. C'è l'appartenenza all'azienda che è importante. Basti guardare al rapporto che c'è qui a Detroit, nella casa Chrysler di cui oggi noi siamo ospiti. Quanto al premio, è curioso notare come l'unica gente che insiste è quella che non ha guadagnato un soldo. L'Italia è l'unico paese nel quale il gruppo ha perduto soldi. Questo nessuno se lo chiede. Nessuno si chiede perché certi discorsi devono andare bene per alcuni e non per altri. E perché si debba tollerare che una persona dice di dover andare a portare la figlia dal medico e poi va a scioperare. Questo è offensivo per l'azienda e non posso tollerarlo".
La nascita delle due Fiat. E' il momento giusto?
"E' cominciata la fase di avvicinamento alla fine del tunnel. Alla fine del 2011 Fiat sarà al 35 per cento di Chrysler, società che entro l'anno prossimo contiamo di riportare in Borsa". Marchionne fa capire di non avere rimpianti per la Opel ma è sul tavolo ha tanti dossier a cominciare da uno sulla Cina che potrebbe andare in porto in autunno. A soddisfarlo nel frattempo sono i conti del Lingotto: "È stato un trimestre eccezionale per il gruppo, ha superato quasi tutte se non tutte le attese del mercato".
Andiamo dunque verso una Fiat Auto e una Fiat Industrial?
"E' quello che stiamo facendo. Entro il primo gennaio 2011, tutti gli azionisti avranno due titoli al posto di quello vecchio posseduto e con gli stessi diritti di prima ma in due società. Il dividendo 2010 verrà pagato regolarmente con riferimento alla vecchia Fiat. E ci sono già otto banche che ci danno un prestito di 4 miliardi destinati a ripagare Fiat dei finanziamenti per la nuova società FI". Lo spin off è un meccanismo al quale Marchionne tiene parecchio perché lo aiuta, come ha ripetuto ieri, a costruire una Fiat sempre più internazionale in un mondo nel quale la grande risacca dell'industria dell'auto da lui annunciata due anni fa, ancora non è finita. "Penso che ci sarà un altro giro di aggregazioni tra quattro cinque anni e coinvolgerà anche Fiat".
(Fonte: www.repubblica.it - 22/7/2010)

mercoledì 21 luglio 2010

A Detroit il cda Fiat conferma la nascita di Fiat Industrial S.p.A. per le attività "non-auto"


Via libera allo spin-off del settore auto, e il mercato premia la decisione facendo volare il titolo in Borsa: lo scorporo è una delle decisioni più importanti prese dal cda di Fiat riunitosi presso la sede di Chrysler ad Auburn Hills, negli Stati Uniti. Il management, infatti, ha approvato i risultati relativi ai primi tre mesi dell'anno, che vedono i ricavi in crescita, l'utile netto positivo rispetto alla perdita dello stesso periodo del 2009 dando appunto il via libera alla scissione dei business veicoli industriali, macchine agricole e per le costruzioni dall'auto. Nel dettaglio, la decisione viene dopo l'annuncio del 21 aprile scorso relativo all'intenzione di procedere ad una scissione dei business veicoli industriali, macchine agricole e per le costruzioni, nel corso della presentazione del Piano 2010-2014 agli analisti a Torino dell'amministratore delegato del Lingotto Sergio Marchionne. La prossima tappa sarà l'assemblea degli azionisti, che si terrà "presumibilmente" il prossimo 16 settembre, che dovrà approvare l'operazione. Con l'operazione Fiat S.p.A. intende trasferire ad una società di nuova costituzione, Fiat Industrial S.p.A., alcuni elementi dell'attivo relativi ai business dei veicoli industriali, motori "industrial and marine", macchine agricole e per le costruzioni. Con la scissione queste attività saranno separate da quelle automobilistiche e dalla relativa componentistica. Dalla data di efficacia della scissione le azioni di Fiat Industrial saranno assegnate agli azionisti Fiat sulla base di un rapporto uno a uno. Per quanto riguarda i conti, gli obiettivi per Fiat sono confermati: ricavi superiori a 50 miliardi di euro, utile della gestione ordinaria tra 1,1 e 1,2 miliardi, risultato netto vicino al break-even, indebitamento netto industriale superiore a 5 miliardi, ma precisa che è probabile che nella seconda parte dell'anno vengano rivisti al rialzo gli obiettivi per il 2010, in occasione della pubblicazione dei risultati del terzo trimestre. Nella conference call con gli analisti, l'ad Sergio Marchionne ha spiegato che dopo lo spin-off in due entità distinte la liquidità attualmente disponibile per il Lingotto sarà divisa in circa 10 miliardi per il business dell'auto e 3 miliardi per la nuova Fiat Industrial. Sui conti, il manager ha spiegato che è stato un trimestre "eccezionale" per il gruppo. E' andato "incredibilmente bene in tutti i settori", ha osservato, precisando che "il lavoro fatto nel 2008-2009 sta portando i suoi frutti". La decisione di Fiat viene comunque premiata in Borsa: mentre la seduta volge al termine, a piazza Affari, il titolo è balzato del 7,12 a 9,7 euro. .
(Fonte: www.agi.it - 21/7/2010)

martedì 20 luglio 2010

In attesa del primo cda Fiat a Detroit: omaggio alla rinascita di una città


L'appuntamento è davanti alla Mount Carmel Missionary Baptist Church. L'ex capitale dell'automobile è diventata una terra da missionari. Intorno alla chiesa c'è un quartiere di villette monofamiliari, qualcuna ancora linda e graziosa, con l'erba del prato tagliata di recente, ultimi fortini di resistenza aggrappati al benessere di una volta. Attorno, stringono l'assedio le case coi vetri rotti, le porte sfondate, i tetti pericolanti, i garage incendiati, uno scenario di distruzione violenta, come se un esercito straniero si fosse fatto largo coi tank e i lanciafiamme. "Immagina cosa succede - mi dice il missionario Jeffrey Jones - quando a fianco a casa tua improvvisamente c'è il vuoto, i vicini scompaiono, qualcuno prima di fare le valigie inchioda alle finestre un asse di legno. È un mondo che crolla. Al posto dei tuoi vicini arrivano i senzatetto e gli spacciatori. E pensare che questo era stato per un secolo un quartiere fantastico. Da una parte c'era la fabbrica della Chevrolet. Dall'altra una solida middle class nera: tecnici industriali, avvocati, medici. E poi un centro di vita culturale, qui c'era Motown, la casa discografica che fu la culla del rythm and blues, della musica soul. Al sabato sera c'era nei locali si faceva la fila per entrare". Ora in quest'angolo depresso della Oakland Avenue, tra il Grand Boulevard e la Woodward, Jones con la sua Next Detroit Neighborhood Initiative è il protagonista di un esperimento unico al mondo. Spopolata dalla crisi industriale e poi da quella immobiliare, devastata dalle tensioni razziali e dalla criminalità, proprio quando sembrava condannata a diventare una città- fantasma, Detroit ha avuto un'illuminazione. Il suo nuovo sindaco, l'ex campione di basket e industriale siderurgico Dave Bing, ha capito che Detroit va "ristretta" drasticamente, come i suoi abitanti. Da due milioni negli anni Cinquanta, sono scesi a 790.000. E allora anche la città deve ritirarsi, "ridurre la sua impronta ambientale", dice Bing. "Non avrò mai più i mezzi - dice il sindaco - per distribuire l'acqua potabile, il gas e la luce, i turni di polizia, su una superficie di 139 miglia quadrate. Diecimila case vanno distrutte, rase al suolo. Chi vuole restare nei quartieri disabitati deve accettare di vivere come nelle campagne più remote, senza servizi pubblici". Questa drammatica ritirata della città, che inverte due secoli di espansione industriale, è l'occasione per rinascere diversi. Jeffrey Jones mi guida a visitare i primi parchi "tascabili" dove il verde pubblico si allarga al posto del cemento e dell'asfalto. Passeggiamo in mezzo agli orti in città dove i pomodori stanno maturando al sole. "Da tre generazioni - dice Jones - noi neri di Detroit non sapevamo più cosa fosse la terra, la natura". Nel cuore dell'industria dell'auto, il centro di Detroit si trasforma a sua volta in una città-giardino: lungo il delta del fiume che sfocia nel lago vedi solo pedoni e ciclisti, una spettacolare ristrutturazione ha cambiato il volto del quartiere direzionale. Niente motori, è tutta pedonale la grande passeggiata panoramica. Ed è solo l'inizio di un progetto visionario, fatto di giardini pensili e boschi a ridosso dei grattacieli. La sfida di Detroit è spericolata. Mai nessuna città ha osato immaginare una "operazione a cuore aperto" così dolorosa. Amputarsi di diversi quartieri, cancellarli dalle carte, è diventato inevitabile. "Noi ci paragoniamo a New Orleans - mi dice Ann Lang che dirige la Downtown Detroit Partnership, un'alleanza di forze sociali e imprenditoriali per salvare la città - però l'uragano Katrina avvenne in un istante, la nostra distruzione si è prolungata per anni. In un certo senso è peggio". Se ci fosse stato un uragano, un terremoto, un disastro ambientale, Detroit sarebbe sulle prime pagine dei giornali, avrebbe conquistato un posto nelle emergenze nazionali. E' vero che la sua crisi è più acuta che a New Orleans. Dopo Katrina il tasso di disoccupazione nella città sommersa raggiunse l'11%, a Detroit è 28,9%. E' un livello da Grande Depressione degli anni Trenta (la media nazionale americana oggi è il 9,5%). La drammatica ritirata dello Stato annunciata dal sindaco Bing è inevitabile: senza una calamità che faccia scattare i soccorsi della protezione civile il Comune non ha davvero più i mezzi per fornire i servizi essenziali su tutto il perimetro cittadino. Deve inventarsi un'altra idea di città. Ma se la sua scommessa è vincente, Detroit potrebbe tornare a ispirare l'America, come altre volte nel suo passato. "Questa città ha avuto una storia gloriosa - mi dice Ralph Gilles, top manager della Chrysler e responsabile del marchio Dodge sotto la gestione Marchionne - qui il sogno dell'auto ha unito tutti. Ha funzionato da motore per la costruzione di una middle class multietnica: neri, immigrati dall'Europa, dai paesi arabi. Fu la terza città più ricca d'America, c'erano più yacht immatricolati qui che a New York e Miami". Il livello di ricchezza che fu raggiunto non si può immaginare né a Torino né a Wolfsburg. Essere metalmeccanico con il contratto sindacale della United Auto Workers voleva dire guadagnare un salario tale da comparsi la seconda casa sul lago, cambiare l'auto ogni due anni, mandare i figli all'università. Dal primo Novecento Detroit è la vetrina del contratto sociale americano, il fordismo. Nel 1914 Henry Ford decide di sua iniziativa un aumento salariale record per quell'epoca, alza a 5 dollari la paga giornaliera, perché "gli operai devono poter comprare il modello Ford-T". La metropoli del Michigan diventa un magnete per i neri che abbandonano il Sud segregazionista: l'80% della popolazione cittadina è afroamericana. Allora viene definita the City of Homeowners (la città dei piccoli proprietari di case) e "l'arsenale della democrazia americana". "Nella sua età dell'oro Detroit è un laboratorio di consenso sociale e aspettative crescenti" dice Gilles. Con il boom degli anni Cinquanta si espande fino a occupare un territorio più largo di Manhattan, Boston e San Francisco messe assieme. In questa dilatazione estrema compaiono i primi segni di crisi di un modello. Gli anni Settanta con la crisi energetica e l'invasione dell'auto giapponese cementano un'alleanza corporativa tra il capitalismo di Gm-Ford-Chrysler e il sindacalismo della Uaw. La forza politica del sindacato è decisiva per far passare al Congresso le barriere protezioniste, poi negli anni Ottanta e Novanta ritarda le normative ambientali. Intanto le crepe sono diventate visibili nell'edificio sociale. Il 1967 è l'anno degli scontri razziali più violenti, 43 morti. I bianchi abbandonano Detroit, si rifugiano nelle cittadine della cintura periferica, dove si ricorda ancora oggi il proclama di un sindaco: "Se un nero prova a traslocare qui interveniamo più rapidamente che per spegnere un incendio". La città elegge nel 1973 il primo sindaco nero, Coleman Young, al potere per vent'anni di seguito con un'idea fissa: vendicarsi dei bianchi. Young ama definirsi M. F. I. C., motherfucker in charge (il figlio di puttana al potere). Detroit si conquista una fama sinistra come capitale della droga, delle gang, con il record nazionale degli omicidi. Il colpo di grazia arriva nella recessione 2008-2009. Epicentro della crisi sono due settori-chiave per la città: l'auto e il valore delle case. Gm e Chrysler finiscono insieme in bancarotta. Licenziamenti e crisi dei mutui si accaniscono contro i proprietari di case. Dall'inizio della crisi 55.000 abitazioni sono state oggetto di pignoramento giudiziario. Il 27,8% delle case di Detroit sono ufficialmente "vacanti": vuote dopo l'espulsione dei proprietari insolventi con le banche, o degli inquilini morosi. E' la fine della parabola. Il destino tragico della città diventa il simbolo di una vicenda ancora più grande, la ritirata dell'industria americana, la fine di un'egemonia mondiale, il tramonto della cultura manifatturiera e dei colletti blu che s'identificavano con i suoi valori. "Ora basta guardare al passato - dice il sindaco Bing - io non mi accontenterò di sopravvivere nella mediocrità. Questa città merita altro". I segni di una rinascita vengono dal mondo della cultura e della scienza. "Le università e i grandi centri di ricerca medica degli ospedali cittadini hanno ripreso ad assumere - dice Gilles - sono due settori che tirano nell'economia cittadina. I generosi sgravi fiscali offerti dal Michigan lanciano Detroit come capitale del cinema lowcost, con spese di produzione molto inferiori a Hollywood". Gran Torino di Clint Eastwood e Tra le nuvole con George Clooney sono stati girati qui. 50 film prodotti nel 2009, 4.200 posti di lavoro stabili, più 4.000 contratti a termine. L'idea più rivoluzionaria del sindaco Bing è "l'agricoltura urbana". Non è più un'utopia da comuni hippy, o una provocazione di ambientalisti radicali. Protagonista di questo progetto è uno dei maggiori capitalisti di Detroit, John Hantz, ex trader dell'American Express, oggi alla guida di una società finanziaria da lui creata, con 500 dipendenti e 1,3 miliardi di patrimonio gestito. Hantz è convinto che nel Terzo millennio "l'agricoltura può riprendersi il territorio che le era stato rubato dall'industria e dall'urbanizzazione". A Detroit, osserva, "abbiamo 200.000 lotti di terreno senza un padrone, derelitti". E' ora di trasformarli in giardini e orti, "un enorme risparmio per il Comune rispetto alle spese di gestione di un tessuto urbano". E chi dice agricoltura urbana non pensi a trattori, fertilizzanti chimici. "Nulla di invasivo - spiega Hantz - qui avremo frutteti agrobiologici, produrremo mele, pesche, prugne, lattughe". E' così che il sindaco pensa di riempire gli enormi spazi lasciati vuoti dal trasferimento di interi pezzi della popolazione verso la nuova Detroit, più piccola e più sana. Leader dei suoi avversari, il reverendo Horace Sheffield lo accusa di voler fare "una pulizia etnica, come il genocidio degli indiani d'America". Ma l'alternativa sono i quartieri fantasma invasi dalle gang della droga, dove il bolletino dei morti continua a crescere. "Siamo un caso estremo - dice Ann Lang - forse proprio perché abbiamo toccato il fondo, possiamo diventare un modello per il futuro di tante altre città". Mi lascio alle spalle il quartiere semidistrutto vicino alla missione, le case sventrate e saccheggiate. La mia visita si conclude sul lungo-fiume dove sorgeranno i giardini pensili. E' un altro mondo, bagnato dalla luce, invaso da una folla ridente che ha imparato a camminare. Come nell'ultima scena del film Gran Torino, l'unica girata sul lago e solare, Detroit sembra girare le spalle al passato e rivolgersi verso questa immensità d'acqua azzurra, alla ricerca di una conferma che il suo sogno è possibile.
(Fonte: www.repubblica.it - 5/7/2010)

lunedì 19 luglio 2010

Il TwinAir presto anche sugli altri marchi del gruppo Fiat


Pare che la dirigenza della Fiat stia seriamente pensando di ampliare la gamma di motori riuniti sotto il marchio TwinAir e di renderli poi disponibili anche per gli altri brand del gruppo. Quasi sicuramente si inizierà con Lancia, ma fonti ben informate all’interno avrebbero suggerito una futura inclusione anche di Alfa Romeo, Abarth e Chrysler. Attualmente il TwinAir conta solamente di un propulsore turbo da 900 cc due cilindri, in grado di sviluppare una potenza di 85 Cv. La prima auto di serie che l’avrà in dotazione, com’è noto sarà la nuova edizione della Fiat 500, in uscita a settembre. Fiat avrebbe in programma la produzione di altre versioni del TwinAir con diverse potenze. La prima sarà leggermente depotenziata e arriverà a 64 Cv, praticamente la stessa potenza garantita dal benzina standard da 1.2 litri. Il secondo motore, finalmente, garantirà più potenza, arrivando sui 105 Cv, leggermente superiore quindi al normale 1.4 litri. Ovviamente i vantaggi di questo TwinAir, più che nella potenza effettiva, sta nei consumi sensibilmente ridotti. Secondo i dati rilasciati dalla casa, infatti, a parità di prestazioni il TwinAir sarebbe in grado di abbassare le emissioni di CO2 fino al 30%. La prossima Fiat 500 TwinAir a 85 Cv dovrebbe immettere nell’atmosfera solamente 92 g/km di CO2, un vero record anche per un city car, toccando persino il 43% di riduzione e mantenendo comunque un’autonomia di un centinaio di chilometri. Il volume di produzione del motore è calcolato in 400.000 unità annuali.
(Fonte: www.motorionline.com - 19/7/2010)

venerdì 16 luglio 2010

Il Lingotto pronto allo scorporo. Ecco i numeri del grande riassetto


Riflettori su Auburn Hills. Perché è da lì, mercoledì, che insieme ai conti Fiat arriveranno i primi annunci sulle tappe dello spin-off. E perché è lì, in quella sede Chrysler che ospiterà il consiglio d' amministrazione Fiat, che la partita dello scorporo nasconde una delle sue carte jolly. «Nasconde» nel senso che Chrysler ancora non è quotata (dovrebbe esserlo nei primi mesi del 2011). Ed è iscritta nel portafoglio del Lingotto per quel che Sergio Marchionne l' ha pagata. Cioè zero. Non è zero, però, il valore che gli analisti attribuiscono al gruppo passato un anno fa dal fallimento alla «cura italiana». La scommessa rimane agli inizi, la strada resta lunga. Ma le vendite sono in marcata ripresa ormai da sei mesi, il primo trimestre ha con largo anticipo riportato l' utile operativo in bilancio, persino lo scetticissimo Wall Street Journal parla oggi di «resurrezione Chrysler». E chi, nelle banche d' affari, in questi giorni sta cercando di capire quanto potranno quotare le «due Fiat» che nasceranno dalla scissione, quanto valore potrà davvero essere liberato dalla separazione tra auto e Iveco-Cnh, arrivato al capitolo Detroit confronta i numeri con i parametri di Ford (già quotata) e di Gm (offerta pubblica in agosto, esordio a Wall Street tra ottobre e novembre). Risultato: sempre nei dintorni di quei 20 miliardi di dollari indicati per esempio da Banca Leonardo (uno degli istituti più vicini al Lingotto e che, con Goldman Sachs, dovrebbe essere tra i principali advisor dello spin-off). Se è così, significa che il 20% in capo a Torino vale (almeno teoricamente) 4 miliardi di dollari. E quel 20% non è destinato a restar fermo. È il 51%, la prospettiva finale, ma la tappa più vicina è un altro 15% che Marchionne potrà avere al raggiungimento di obiettivi prefissati con il Tesoro Usa. La sorpresa sarà, di nuovo, un anticipo sui tempi. 2011, ha fatto capire il numero uno Fiat-Chrysler. La prima delle tre tranche del 5%, però, con buona probabilità arriverà già a fine 2010. In parallelo con le fasi operative della scissione e successiva quotazione Fiat Group-Fiat Industrial. Quanto peserà, a quel punto, la partecipazione nell' auto americana? Gli analisti ragionano già sulla quota del 35%. Cui viene attribuito, sulla base dei 20 miliardi di dollari per il 100% (a titolo di confronto: a Gm si dà una capitalizzazione teorica di un' ottantina di miliardi), un valore attorno ai 5,6 miliardi di euro. Troppo? Poco? Lo dirà, ovviamente, il mercato. Che però proprio sulla base di calcoli come questo si sta muovendo, in vista del board e nonostante il -1% che ieri ha interrotto la catena di rialzi, per cercare di anticipare i futuri valori di Fiat Group e Fiat Industrial. Il Lingotto così com' è oggi, holding unica di auto, camion, macchine agricole, mezzi per le costruzioni e quant' altro, capitalizza all' incirca 11 miliardi. Paga il cosiddetto «sconto di holding», di solito indicato intorno al 20%. Ma la scommessa di chi ieri premeva per lo spin-off e oggi lo vede dietro l' angolo è che, nel caso Fiat, sull' altare dell' auto la Borsa abbia sempre (anche quando l' auto girava a pieno ritmo) «sacrificato» un valore ben più elevato. La riprova? Ancora dagli Usa. Cnh è quotata a Wall Street. Capitalizza sui 6 miliardi di dollari. La quota del Lingotto (89%) vale dunque, ai prezzi attuali, 4,3-4,5 miliardi di euro. Da sola, insomma, una delle due società che confluiranno in Fiat Industrial vale borsisticamente più di un terzo dell' intera quotazione Fiat Group. Il che fa dire agli analisti che, considerato lo «zero di bilancio» attribuito ora a Chrysler e i 5,6 miliardi che invece potrebbero essere attribuiti al 35% di Auburn Hills, basterebbero le partecipazioni «americane» a raggiungere i valori oggi espressi da Piazza Affari. O basterebbe il «lato italiano» del gruppo: il consensus - le stime degli operatori - dà a Fiat Auto un valore tra i 2,3 e i 4,2 miliardi di euro, a Ferrari e Maserati tra gli 1,9 e i 2,8, a Iveco tra i 2,7 e i 4, a Magneti Marelli più Comau più Powertrain più Teksid tra i 3 e i 4,5. Totale, considerando anche le attività diversificate (da La Stampa alla partecipazione nel Corriere): da un minimo di 11,1 miliardi, quindi in linea con l' effettiva capitalizzazione attuale, a un massimo di 17,2 per i superottimisti. Non sarà forse il consiglio di mercoledì a dare indicazioni di questo genere. Non è quella la sede e gli stessi analisti si aspettano, da Auburn Hills, soprattutto la stretta sui tempi con la convocazione dell' assemblea per i primi di settembre. I lavori, del resto, a Torino sono in pieno cantiere. Anche sulla ripartizione del debito. I bond resteranno dove sono: quelli di Fiat in Fiat Group, quelli di Cnh in Fiat Industrial. Proprio questo, però, finirebbe con lo sbilanciare in sfavore dell' auto la prevista suddivisione fifty-fifty del resto dei debiti. Le agenzie di rating avrebbero suonato l' allarme preventivo. L' ipotesi ora è 40% Fiat Group, 60% Industrial.
(Fonte: www.corriere.it - 16/7/2010)

giovedì 15 luglio 2010

I nuovi passi di Marchionne verso lo spin-off porteranno a Mazda e Tata?


Prima che anche dalle parti di Milano arrivi la stagione delle trimestrali e prima di venire sommersi di dati, risultati e soprattutto indicazioni sui prossimi mesi c’è ancora qualche settimana di relativa tranquillità per fare il punto su quello che sarà, mercati permettendo, l’evento societario clou del mercato italiano. Dopo ormai qualche mese dall’annuncio a settembre partirà il lungo iter che porterà alla fine dell’anno alla separazione di Fiat auto dal resto del gruppo. Il primo passo verso la separazione sarà l’approvazione dell’assemblea straordinaria a settembre: un appuntamento che non dovrebbe regalare cattive sorprese. Tra tutti quelli che potrebbero avere qualcosa da ridire sullo spin-off siamo sicuri che gli azionisti che si presenteranno a votare non avranno nemmeno la minima idea di bocciare il piano. Il progetto ha troppo senso industriale e finanziario perché i primi beneficiari del suo successo possano mettere i bastoni tra le ruote. Il senso industriale è molto chiaro: Fiat dopo l’operazione su Chrysler crea un player sull’automotive che possa sfruttare tutte le sinergie con l’operatore americano e renderle evidenti al mercato dentro una società dedicata; in futuro una società autonoma verosimilmente renderà più semplice sia una fusione con Chrysler (con diluizione di Exor), la cui realizzazione è solo una questione di tempo, sia eventuali ulteriori aggregazioni con soggetti di dimensioni sub-ottimali (Mazda e l’indiana Tata Motors?). Non è il caso di ripetere che il settore auto ha dinamiche molto particolari con una competizione estrema, in un’attività che richiede forti investimenti e che viene da tutti percepita come un settore critico per l’economia nazionale: non sono idee o opinioni ma numeri, come vedremo dopo, abbastanza indiscutibili. L’altro polo (CNH e Iveco) subirà un destino non troppo dissimile; seppure drammaticamente più in salute della sorella, anche Cnh e Iveco richiedono una maggiore flessibilità strategica. Cnh è uno dei leader in un mercato oligopolistico (come quello dei macchinari per l’agricoltura) e verosimilmente non ha bisogno di grandi stravolgimenti; Iveco necessita di un salto dimensionale che potrebbe preludere a una fusione, altrimenti sarebbe ipotizzabile una cessione. Se queste sono le prospettive che chiariscono il senso industriale alcuni numeri aiutano a comprendere come i mercati stiano accogliendo l’operazione. Quella che sarà la nuova Fiat auto è una società che negli ultimi dieci anni cumulativamente ha registrato un miliardo di “trading profit”, la nuova Fiat Industrial (Iveco e Cnh) nello stesso periodo ha registrato quasi il decuplo dei risultati (circa 9 miliardi). Non solo, il primo misero risultato è arrivato con un rischio decisamente maggiore dato che il rapporto tra investimenti e ricavi è in media del 10% per l’auto, mentre è la metà per Fiat Industrial nel suo complesso. Da un punto di vista meramente finanziario solo il fatto di separare due attività così diverse crea valore; la somma delle due società post spin-off sarà superiore al valore del giorno prima; certe regole “di buon senso” in finanza sembrano eterne. A validare questa apparente stranezza c’è un’altra spiegazione. Se, come accaduto in passato, la “società auto” registra una perdita e l’altra un utile i due risultati si eliderebbero, limitando fortemente o addirittura impedendo la distribuzione del dividendo; dopo lo spin-off la probabilità per gli azionisti (per la grande gioia di Exor e degli Agnelli) di ricevere un dividendo aumenterà notevolmente, visto che sarà del tutto indipendente dal debole business dell’auto. Fiat Industrial darà con molta più costanza un dividendo, mentre l’altra solo negli anni buoni; prima gli “anni cattivi” dell’auto erano sufficienti per impedire qualsiasi distribuzione. Il diavolo però si nasconde nei dettagli. Dopo l’assemblea generale di settembre, i creditori avranno 60 giorni per opporsi al progetto; non sarebbe la prima volta che i creditori hanno idee diverse dagli azionisti (la fusione tra Italcementi e Ciments Francais è fallita proprio per l’opposizione di alcuni obbligazionisti americani). Gli obbligazionisti potrebbero obiettare di ritrovarsi alla fine creditori di una società meno solida dopo la separazione dal florido settore di camion e trattori (Iveco e Cnh). Escludere però a priori qualsiasi problema è diverso dal ritenerlo probabile; gli advisor sono al lavoro da mesi e siamo certi che Marchionne che lavora al progetto da molto prima del suo annuncio ha pensato all’eventualità e a una contromossa (al limite un dividendo straordinario da Cnh?). Se tutto va liscio nel medio-lungo periodo avremo un player concentrato nel settore auto, con più volumi, esposto al Brasile e agli Stati Uniti e molto meno dipendente economicamente e politicamente dall’Italia; libero di provare a vincere la partita per la propria sopravvivenza e autonomia nel mercato dell’auto globale. Dall’altra parte, una realtà già solida che può pensare a consolidare il proprio futuro “sistemando Iveco”. Tutto è nelle mani di Marchionne, che rischia di risolvere definitivamente un problema decennale, quello dell’auto, consegnando agli Agnelli due gruppi, uno solido e uno con buone prospettive, al posto di quello debole e vacillante che conosciamo. Sarà anche per questo che dopo anni di onorato servizio a Torino hanno deciso che con Marchionne bastava John Elkann e non c’era più bisogno di Montezemolo.
(Fonte: www.ilsussidiario.net - 14/7/2010)

mercoledì 14 luglio 2010

Marchionne conferma: la prossima Panda sarà prodotta a Pomigliano


La futura Fiat Panda sarà prodotta a Pomigliano d'Arco: lo ha confermato l'amministratore delegato del Gruppo Fiat Sergio Marchionne a seguito dell'incontro di venerdì 9 luglio con i rappresentanti di Cisl, Fim, Uil e Fismic. Alla riunione non erano presenti il segretario della Cgil e i rappresentanti della Fiom, la sigla che non ha firmato l'intesa del 15 giugno scorso. Si sblocca, dunque, l'investimento di 700 milioni di euro previsto per lo stabilimento campano, che attualmente produce le Alfa Romeo 147 e 159 e la Fiat Bravo. Secondo un'elaborazione compiuta da "Il Sole 24 Ore", la Panda a Pomigliano porterà, nel complesso, una ricchezza pari al 15% del Pil della provincia di Napoli e darà lavoro, fra operai e indotto, a circa 12.000 persone. Il presidente della Fiat, John Elkann, ha dichiarato che "la decisione di procedere con gli investimenti programmati è un importante segnale di fiducia. Significa che crediamo nell'Italia e intendiamo fare fino in fondo la nostra parte". Soddisfatto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che parla di una "decisione altamente significativa per l'interesse nazionale e per quello in particolare del Mezzogiorno, perché rappresenta un consistente investimento destinato a garantire grandi volumi di lavoro". Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, ha invece dichiarato che "la Fiom considera un atto grave e sbagliato non aver voluto ricercare soluzioni contrattuali condivise da tutte le organizzazioni sindacali". Sergio Marchionne ha indirizzato una lunga lettera aperta "a tutte le persone del Gruppo Fiat in Italia" per spiegare il significato del cosiddetto progetto "Fabbrica Italia" e per difenderlo dalle critiche. In quattro pagine, il manager italo-canadese parla della situazione molto delicata del nostro Paese e della "drammatica debolezza della struttura industriale italiana". "Stiamo cercando di invertire questa tendenza" concentrando nel Paese grandi investimenti, aumentando il numero di veicoli prodotti in Italia e facendo crescere le esportazioni. Per fare ciò, dice Marchionne, "non ci sono alternative: la Fiat è una multinazionale che opera sui mercati di tutto il mondo, le regole della competizione non le abbiamo scelte noi, dobbiamo decidere se stare dentro o fuori dal gioco. Non c'è niente di straordinario", prosegue Marchionne, "nel voler aggiornare il sistema di gestione per adeguarlo a quello che succede a livello mondiale. Eccezionale semmai - per un'azienda - è la scelta di compiere questo sforzo in Italia, rinunciando ai vantaggi sicuri che altri Paesi potrebbero offrire". Intanto, a Torino proseguono le riunioni con le banche e con gli istituti che dovranno gestire lo spin-off, vale a dire lo scorporo delle attività auto dal resto del Gruppo Fiat e dunque la doppia quotazione in Borsa.
(Fonte: www.quattroruote.it - 12/7/2010)

martedì 13 luglio 2010

Fiat lancia negli U.S.A. la 500 "Prima Edizione"


In occasione dell'annuale raduno del Fiat-Lancia Unlimited, il più grande club di appassionati del Gruppo italiano del Nord America, a sorpresa la Casa del Lingotto ha annunciato la vendita di un'edizione limitata della nuova 500, che anticiperà lo sbarco della piccola Fiat negli States e il ritorno del marchio dopo 27 anni di assenza. Questa versione speciale, denominata "Prima Edizione", sarà realizzata in soli 500 esemplari e monterà il 1.4 MultiAir da 102 CV, abbinato a un cambio manuale. Disponibile in tre colorazioni (bianco, rosso e grigio), è un'auto pensata per i collezionisti e ogni esemplare sarà contraddistinto dalla targhetta celebrativa "Prima Edizione" e da una numerazione sequenziale visibile accanto al numero di telaio. Come dichiarato da Laura J. Soave, responsabile del marchio Fiat per il Nord America: "Fiat ha deciso di premiare gli appassionati del Fiat-Lancia Unlimited con la possibilità di prenotare una "Prima Edizione". Da oltre un quarto di secolo, infatti, i membri di questo club hanno mantenuto lo spirito del brand Fiat e Lancia vivo nel Nord America attraverso il loro sostegno e la loro passione". La 500 "Prima Edizione" è già prenotabile sull'apposito sito web www.ciaofiat.com.
(Fonte: www.quattroruote.it - 12/7/2010)

lunedì 12 luglio 2010

Jeep entra nelle concessionarie Fiat


Per la prima volta nella sua storia settantennale il marchio Jeep entra nella rete delle concessionarie del gruppo Fiat e lo fa nella maniera più spettacolare, debuttando nella maxi concessionaria parigina “Motor Village”. SUV e fuoristrada Jeep sono da pochi giorni in esposizione e vendita nel grande centro di Fiat Group Automobiles inaugurato sugli Champs-Élysées di Parigi, il secondo dopo il Mirafiori Motor Village aperto 4 anni fa a Torino. Le vetture Fiat, Alfa Romeo, Lancia, Abarth, Maserati e Jeep convivono in questa location e invitano i visitatori a godere di una “New Italy Experience“ fra prodotti italiani, design, moda, cucina del nostro paese e intrattenimento, in una struttura creata dall’architetto Jean-Michel Wilmotte come punto d’incontro fra un teatro italiano e un garage aperto al pubblico. Su 5 piani del Motor Village ii visitatori possono fare acquisti di ogni tipo, fermarsi nel caffè all’aperto Terrazza o passeggiare lungo il tubo centrale in vetro di 14 metri di altezza che espone le auto dei marchi del Gruppo Fiat. Le vetture, Jeep comprese, sono su una piattaforma di sollevamento che possono salire e scendere silenziosamente, cambiando punto di vista e riflettendosi in grandi specchi retrovisori. Fra installazioni multimediali, opere d’arte, il ristorante NoLita aperto fino a tarda notte e showroom di automobili c’è spazio anche per mostre tematiche nello spazio seminterrato Galleria, con un calendario che vede protagonista, dal 10 luglio al 15 agosto 2010, la serie speciale Lancia Ypsilon ELLE, un’esposizione dedicata ai 100 anni Alfa Romeo dal 16 agosto al 26 settembre e la presentazione del nuovo motore bicilindrico TwinAir, in programma dal 27 settembre al 30 ottobre.
(Fonte: www.omniauto.it - 9/7/2010)

venerdì 9 luglio 2010

Fiat 500 festeggia tre anni con TwinAir, "il motore più verde del mondo”


Fiat ha accolto la stampa nel Parco del Valentino di Torino per la presentazione del nuovo motore bicilindrico TwinAir (in coincidenza con le celebrazioni del terzo anniversario della seconda generazione della 500) che da settembre farà il suo debutto sulla 500 berlina e sulla 500 Cabriolet. Recentemente insignito del prestigioso riconoscimento di miglior nuovo motore dell'anno, il TwinAir entrerà nella storia come il propulsore a benzina più parsimonioso di sempre. Inizialmente le 500 e 500C TwinAir erogheranno una potenza di 85 CV, ma il bicilindrico inaugura quella che sarà una vera e propria nuova famiglia motoristica con potenze comprese tra 65 e 105 CV. Sviluppato da Fiat Powertrain Technologies, il TwinAir impiega il rivoluzionario sistema MultiAir associato ad una fluidodinamica specifica ed ottimizzata per il massimo rendimento di combustione ed è frutto dell'estremizzazione del concetto di downsizing. In abbinamento agli 85 CV, il bicilindrico turbo di 875 cmc della Fiat vanta il miglior livello di CO2 per un propulsore a benzina (si parte dai 92 g/km con il cambio robotizzato Dualogic, 95 g/km con la trasmissione manuale) e uno dei livelli più bassi per quanto riguarda i consumi (4,1 litri/100 km nel ciclo combinato, soltanto 3,6 litri in quello extraurbano) senza per questo inficiare in alcun modo le prestazioni (173 km/h di velocità massima e accelerazione da 0 a 100 orari in 11 secondi). Non a caso le 500 e 500C TwinAir saranno apprezzate soprattutto dai giovani per il divertimento alla guida. In sostanza, a fronte di performance decisamente migliorate (+23% di potenza) rispetto al motore 8 valvole di 1,2 litri, il nuovo TwinAir da 85 CV consente un risparmio del 30% nei consumi. Non bastassero questi dati, è disponibile il tasto Eco, posizionato sulla plancia, che permette di ridurre ulteriormente i consumi in città garantendo una guida assolutamente amica dell'ambiente. Nel funzionamento normale il propulsore sviluppa la massima coppia disponibile (145 Nm) per una guida più disinvolta, mentre premendo il tasto Eco, la guida diventa più ecologica considerando che la coppia viene limitata a 100 Nm a 1.750 giri. Sono così abbattuti i consumi e, in presenza del cambio Dualogic, anche la strategia di cambiata entra in modalità Eco. Grazie al TwinAir, i clienti delle 500 e 500C potranno risparmiare carburante fino a 200 Euro l'anno rispetto alle dirette concorrenti Mini, Smart ForTwo e Toyota iQ e (in alcuni Paesi) fino a 400 Euro sul costo del bollo. Il bicilindrico apre inoltre la strada ad ulteriori sviluppi che si concretizzeranno a breve in una versione a metano e più avanti in un'ibrida. Infatti, proprio per le sue dimensioni ridotte, il TwinAir si presta ad essere abbinato ad un propulsore elettrico e più in generale a un dispositivo in grado di recuperare ed immagazzinare l'energia che viene normalmente dissipata in fase di frenata. Il 2 cilindri da 85 CV ha di serie la funzione Start&Stop, alla quale è associato il Gear Shift Indicator, vero "copilota" che suggerisce al guidatore quando effettuare la cambiata. Il TwinAir rappresenta dunque un autentico gioiello motoristico, ecologico ma anche tecnologico, e debutterà sulla 500 perché è sexy e risparmiosa, definita la "City Saver". I prezzi della 500 berlina TwinAir partiranno da 13.250 Euro, quello della 500 Cabriolet TwinAir da 16.750 Euro. Con il lancio del nuovo bicilindrico TwinAir, il Gruppo Fiat non fa altro che confermare la sua leadership in campo tecnologico, testimoniata nell'ultimo trentennio da innovazioni quali il primo motore Fire, il primo diesel ad iniezione diretta, il Common Rail, il Multijet e il MultiAir. E ad accogliere per prima l'ultimo salto tecnologico del Lingotto non poteva che essere la 500, vera icona dell'industria auto italiana che a tre anni esatti dal ritorno sulle scene rimane la citycar più esclusiva e allo stesso tempo più accessibile presente sul mercato, con innumerevoli possibilità di personalizzazione. Ogni compleanno della 500 è stato festeggiato con una novità: a luglio 2008 ha esordito la Abarth, a luglio 2009 la Cabriolet e ora tocca alla TwinAir. L'andamento delle vendite non ha deluso le aspettative. Lo scorso marzo la 500 ha infatti raggiunto il traguardo del mezzo milione di unità immatricolate e il 2010 dovrebbe chiudersi in linea con il bilancio 2009 (195 mila esemplari). Ora siamo già arrivati a 550 mila, circa 30 mila delle quali Cabriolet, con grande successo in Italia, ma anche in Francia, Germania e GB. La 500 TwinAir (per la quale Fiat ha investito 350 milioni di Euro) è prodotta nel sito polacco di Tychy che vanta una capacità di circa 450 mila vetture l'anno e rappresenterà il 20% delle vendite. Vanno bene anche le serie speciali. La 500 by Diesel ha toccato le 7.000 unità e in questi giorni sono iniziate le consegne della 500C by Diesel.
(Fonte: www.lastampa.it - 8/7/2010)

giovedì 8 luglio 2010

Chrysler lancia il "Soddisfatti o rimborsati"


Pur di sconfiggere la crisi dell’auto che affligge il mercato internazionale e per liberarsi anche dalla brutta reputazione creatasi dopo i recenti ritiri di alcuni modelli dal mercato per motivi di sicurezza, Chrysler ha varato oggi un’inedita offerta che potrebbe essere denominata “Soddisfatti o rimborsati”. In pratica la casa automobilistica americana, controllata dalla Fiat al 35%, offre ai clienti 60 giorni per restituire il veicolo se non contenti dell'acquisto effettuato. In questo lasso di tempo, la Chrysler contribuirà anche ai pagamenti per il cliente (fino a un massimo di 1000 euro). Il programma prende il via oggi e i modelli interessati dall’offerta sono anche quelli del 2010 di Chrysler, Jeep, Dodge e Ram Truck. A spiegare l’iniziativa Fred Diaz, amministratore delegato di Ram Truck e responsabile per le vendite negli U.S.A. . “Produciamo delle grandi vetture per ogni tipo di vita e con questo impegno i consumatori potranno accertarsi di aver effettuato l'acquisto giusto o potranno restituire la vettura senza alcuna domanda”. Oltre a tale opportunità, fino al 2 agosto Chrysler si è premunita anche di agevolare l’accesso ai finanziamenti a tasso zero per i clienti che inoltreranno la domanda al GMAC Financial Services.
(Fonte: http://libero-news.it - 8/7/2010)

mercoledì 7 luglio 2010

Un tour negli impianti Fiat in Europa galvanizza i sindacati canadesi


L'efficienza e la produttività delle fabbriche Fiat in Italia e in Polonia hanno galvanizzato i rappresentanti dei lavoratori della Chrysler in Canada. "Siamo rimasti fortemente colpiti dai sistemi produttivi di prima classe utilizzati in tutti gli impianti che abbiamo visitato e dai processi di controllo sulla qualità che l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, intende esportare negli impianti Chrysler del Nord America", ha commentato al termine del recente tour di quattro giorni nelle fabbriche Fiat, Rick Laporte, presidente del Local 444, il sidacato affiliato al Canadian Auto Workers che rappresenta i lavoratori della Chrysler in Canada. "E' indubbio che noi siamo decisamente indietro in termini di efficienza e di procedure per il controllo della qualità - ha aggiuto - ed è elettrizzante sapere che la Fiat porterà questi sistemi nelle nostre fabbriche". Laporte ha poi detto di auspicare una visita di Marchionne nell'impianto Chrysler di Brampton prima del lancio della nuova Chrysler 300, il prossimo autunno. "Si tratta della prima Chrysler realizzata con il coinvolgimento della Fiat dal punto di vista del design e noi ci aspettiamo che la casa di Torino venga e celebrare il lancio".
(Fonte: www.agi.it - 7/7/2010)

martedì 6 luglio 2010

Fiat, 200 concessionari negli U.S.A. per la 500


La Fiat sceglierà entro settembre 200 concessionari negli U.S.A. selezionandogli tra i 2.320 della Chrysler, ma questi dovranno essere in grado di assicurare una netta separazione dei brand in termini di strutture e personale di vendita e postvendita con piani autonomi di sostenibilità del business. Il piano di Fiat è assai mirato e non riguarda tutte le zone del paese. Saranno infatti 41 stati e 125 aree metropolitane gli obiettivi, scelti accuratamente tra quelli che presentano le maggiori opportunità di mercato per una vettura piccola e modaiola qual è la 500. Una volta selezionati, questi concessionari riceveranno tutta l’assistenza possibile da parte del team che sta preparando il terreno per il ritorno di Fiat al di là dell’Oceano, capitanato da Laura J. Soave. A essere commercializzata sarà alla fine del 2010 la versione berlina della 500 seguita nel 2011 dalla versione cabriolet. Un’offerta dunque ristretta, ma di grande personalità per un business che la casa italiana vuole però preprarare nei minimi particolari ben sapendo che sarà nel mirino se solo dovesse ripresentarsi uno dei problemi per i quali la Fiat si guadagnò negli anni ’70 una divertente libera interpretazione del suo acronimo: Fix It Again Tony ovvero “Tony, riaggiustala di nuovo”. Per questo, ai concessionari viene chiesta una chiara identificazione del brand da quelli di Jeep, Dodge e Chrysler, ma anche capacità finanziaria e gestionale diversa da quella che impiegano con gli altri marchi. In questo il portavoce di Chrysler, Ralph Kisiel è stato chiarissimo: “I concessionari dovranno dimostrare come commercializzare, vendere e seguire i veicoli Fiat attraverso un nuovo modello di assistenza”. Entro due mesi la mappa della nuova rete Fiat sarà completa e vedremo se la nuova organizzazione metterà in grado la 500 di conquistare anche gli americani.
(Fonte: www.omniauto.it - 6/7/2010)

lunedì 5 luglio 2010

Cala il sipario sulla Viper: l'erede prevista nel 2012


E' calato il sipario su una delle icone dell'automobilismo a stelle e strisce. Dopo 18 anni di produzione, ieri, dalle linee di montaggio dedicate di Detroit battezzate in maniera efficace "Snake Pit" (la "Tana del serpente"), è uscita l'ultima Dodge Viper SRT10. Come annunciato dalla stessa Chrysler nei mesi scorsi, il destino della supercar che ha segnato un'epoca era già scritto: sarebbe stata tolta di produzione a luglio. E così è stato. Una breve cerimonia, alla quale ha partecipato una rappresentanza di 400 proprietari di altrettanti esemplari. L'amministratore delegato Dodge, Ralph Gilles, ha salutato la delibera dell'ultima Viper, dipinta in un aggressivo color oro antico metallizzato. Inevitabile, per la Viper dell'addio, un destino adeguato all'importanza dell'esemplare: andrà, infatti, ad arricchire il parco auto di D'Ann Rauh, una facoltosa appassionata texana che possiede nel proprio garage la bellezza di 40 Viper: la più vasta collezione di questo modello al mondo. La Dodge Viper, che in Europa (eccetto che in Germania) nella sua prima serie (1992-2002) veniva venduta con il marchio Chrysler, va in pensione... una volta superata la maggiore età. Venne fatta, infatti, sviluppare a cavallo fra gli anni '80 e '90 dall'allora numero uno della Chrysler Bob Lutz. All'inizio doveva essere un "giocattolo" per pochi ricchi, ma il successo ottenuto nei suoi anni di produzione (aiutato anche dai numerosi risultati sportivi) ne hanno reso una icona del motorismo "duro e puro" made in U.S.A. . L'addio alla Viper, in ogni caso, era segnato da tempo. Già nel 2009, al momento della caduta di Chrysler verso la bancarotta, i vertici dell'azienda erano intenzionati a liberarsene. Sotto l'amministrazione Fiat, poi, era stato deciso di prorogarne la vita commerciale ancora per un anno. Le ultime versioni prodotte, le serie speciali 1:33 Edition, VooDoo e ACR-X, sono state sviluppate come declinazioni estreme della GT di Detroit. Adesso, per la Chrysler, è tempo di pensare alla sua erede. Se, nel prossimo futuro, saranno confermate le voci dei mesi scorsi, la Viper del nuovo corso targato Fiat è attesa per il 2012.
(Fonte: www.motori.it - 5/7/2010)

venerdì 2 luglio 2010

La sfida di Marchionne: Chrysler a gas per il mercato U.S.A.


Le Chrysler a gas alla conquista degli U.S.A. . E' l'ultima sfida dell'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, che ha avviato una vera e propria campagna per promuovere i veicoli a gas negli Stati Uniti sollecitando anche il sostegno del governo federale con incentivi e per la costruzione delle infrastrutture necessarie. Il CNG (Compressed Natural Gas) rappresenta "la soluzione più efficace in termini di costi e tempistica per ridurre la dipendenza degli U.S.A. dal petrolio e per ridurre in maniera significativa le emissioni inquinanti", ha detto Marchionne durante un incontro con rappresentanti del mondo dell'industria e della politica sull'isola di Mackinac, in Michigan. "Oggi il gas naturale rappresenta un'alternativa razionale alla benzina ed è in grado di fornire una soluzione di breve termine per l'ambiente sulla strada dell'elettrificazione dei veicoli - ha incalzato Marchionne - il CNG è infatti un carburante eco-friendly, con il 25% in meno di emissioni di CO2 rispetto alla benzina. E' anche conveniente per i clienti perchè rispetto alla benzina costa il 25% in meno". Il manager del Lingotto ha dunque ricordato come Fiat abbia introdotto già un decennio fa la gamma "Natural Power", a doppia alimentazione metano-benzina, assumendo così una posizione di leadership nella costruzione di auto a gas. "Il CNG è una tecnologia già disponibile che non richiede lunghi tempi di sviluppo e dispendio di risorse - ha sottolineato Marchionne - Fiat già dispone di un portafoglio di motori CNG e vanta dei successi nella crescita di questo segmento in Italia dove ci sono 700 stazioni di rifornimento. I veicoli CNG sono poi diffusi sui mercati sudamericani come in Brasile, dove la Fiat ha introdotto le auto Tetrafuel che possono andare sia solo a benzina, sia solo a etanolo, utilizzando una combinazione di benzina ed etanolo o essere alimentate a gas". Negli Stati Uniti poi la fornitura domestica di metano è sostanziosa, "considerando anche il grande potenziale di gas naturale nelle formazioni shale di Uica. Non a caso solo il mese scorso - ha osservato l'ad di Chrysler - società energetiche hanno pagato 178 milioni di dollari per aggiudicarsi licenze di sviluppo di risorse minararie in 22 contee del Michigan". La divisione Powertrain della Chrysler, guidata da Paolo Ferrero, è al lavoro sulle possibili applicazioni del CNG e sta elaborando soluzioni per lanciare questa tecnologia negli U.S.A. . Uno degli ostacoli è rappresentato dalla carenza di infrastrutture per il rifornimento. "Ma non si tratta di un problema insormontabile - ha detto Marchionne - perché ci sono già molti gasdotti e con delle unità a casa molti clienti potrebbero riuscire a fare il pieno nei loro garage". Se manca invece "una visione condivisa per cui il governo assiste l'industria, ad esempio con incentivi per i clienti e con lo sviluppo delle infrastrutture - ha concluso Marchionne - allora le potenzialità del metano continueranno ad essere limitate. Il progetto richiede un'attenzione adeguata e deve diventare una priorità dell'agenda federale e degli Stati".
(Fonte: www.agi.it - 1/7/2010)