mercoledì 30 settembre 2009

WSJ: Marchionne non affiderà più a Magna la produzione di alcuni modelli Chrysler


Sergio Marchionne, amministratore delegato di Chrysler, avrebbe preso la decisione di interrompere gli ordinativi diretti a Magna International. La notizia-bomba, riportata dal Wall Street Journal, rappresenta l’ennesimo colpo duro per il fornitore austro-canadese, che potrebbe perdere anche le commesse provenienti da Volkswagen e BMW. L’acquisizione di Opel, dunque, si sta rivelando (come da previsioni, peraltro) la prima mossa di un domino internazionale, che vede tanti costruttori automobilistici reagire a questo potenziale “conflitto d’interessi” in seno a Magna, fornitore automobilistico e da qualche tempo anche principale azionista di un costruttore automobilistico. A dire la verità, Marchionne non ha esplicitamente tirato in ballo l’accordo Magna-Opel tra le cause della decisione, ma cogliere il nesso è elementare. Ad oggi Chrysler realizza negli impianti austriaci di Magna la Jeep Grand Cherokee e la Chrysler 300C. In futuro queste due auto potrebbero essere realizzate nell’impianto Bertone di Grugliasco, dopo un processo di ammodernamento che costerà a Fiat circa 150 milioni di euro in tre anni e che porterà la capacità produttiva a 70.000 unità l’anno.
(Fonte: http://europe.wsj.com - 30/9/2009)

martedì 29 settembre 2009

WSJ: I fornitori dubbiosi sui nuovi modelli Chrysler


Nuove difficoltà per Sergio Marchionne alla Chrysler. «Fornitori recalcitranti a lavorare per i nuovi modelli Chrysler», titola il Wall Street Journal, secondo il quale il piano proposto dal neo-amministratore delegato della Chrysler si scontra con l'ostilità dei fornitori, riluttanti a spendere subito per sviluppare e fabbricare la componentistica dei nuovi modelli. Il board di Chrysler – spiega il quotidiano newyorchese - dovrà esaminare venerdì i nuovi modelli che Marchionne propone come parte del suo piano di ristrutturazione, ma l'azienda affronta l'opposizione dei fornitori, preoccupati di guadagnare sulla componentistica. Marchionne ha illustrato i nuovi modelli al Consiglio di amministrazione presso il quartiere generale della Chrysler a Auburn Hills, nel Michigan. I nuovi modelli comprendono versioni rinnovate di veicoli Chrysler e Jeep già esistenti, oltre alle prime versioni di nuovi modelli di auto di piccole e medie dimensioni basate su componenti sviluppati da Fiat. «Non è chiaro se a questo punto il board sarà in grado di approvare il piano quinquennale prodotti», scrive il WSJ, poiché il team di Marchionne sta ancora cercando di risolvere molti dei dettagli su come Chrysler fabbricherà questi veicoli. Uno dei maggiori ostacoli è, secondo il WSJ, è la riluttanza dei fornitori ad affrontare le spese iniziali di produzione della componentistica dei nuovi modelli. Ci sono piccoli fornitori che sono in difficoltà finanziarie ed esitano perché non sono sicuri che le auto saranno vendute in quantità sufficienti da essere redditizie. Nella maggior parte dei casi, Chrysler non garantisce certi livelli di produzione, a differenza di quanto facevano altri produttori e la stessa Chrysler. Solitamente, le case automobilistiche danno ai fornitori una stima delle quantità, permettendo loro di alzare i prezzi se le vendite non raggiungono gli obiettivi. Il rinnovo dei modelli dei Chrysler sta andando per le lunghe anche perché Chrysler deve ancora decidere in quali impianti potrebbe produrre con i maggiori livelli di efficienza i veicoli derivati dai modelli Fiat. Attualmente, due modelli di berlina di medie dimensioni, le cui vendite vanno a rilento, vengono assemblati nello stabilimento di Sterling Heights nel Michigan, che molto probabilmente verrà chiuso. Marchionne, che è diventato CEO di Chrysler in giugno ed è sempre amministratore delegato di Fiat, aveva detto la scorsa settimana a Francoforte che mettere a punto il piano dei modelli di Chrysler si è rivelato più difficile del previsto. Nell'ambito del piano di salvataggio di Chrysler del governo U.S.A., Fiat ha avuto una quota del 20% dell'azienda in cambio della tecnologia per motori a risparmio energetico e piccole vetture che Chrysler possa produrre e vendere negli U.S.A. .
(Fonte: http://europe.wsj.com - 25/9/2009)

lunedì 28 settembre 2009

La rete di vendita Chrysler commercializzerà la 500 negli U.S.A.


È arrivata oggi la conferma che sarà Chrysler a gestire la vendita della Fiat 500, che verrà appunto commercializzata presso i concessionari della casa americana. La 500, inoltre, sarà l’unica autovettura marchiata Fiat che verrà vendita sul suolo americano, mentre le altre utilizzeranno ancora i marchi locali. Saranno disponibili quattro versioni differenti, costruite negli stabilimenti americani della Chrysler e anche in quello messicano di Toluca, preferito dalla Fiat anche per le possibilità di lancio brasiliane, tra il tardo 2010 e l’inizio del 2011. La produzione annuale si assesterà sui 100.000 esemplari. Le quattro varianti saranno la normale tre porte, la nuova 500C convertibile, la versione “Giardinetta” e, probabilmente, una super performante tipo Abarth. Si parla anche di una versione SUV a quattro ruote motrici. il CEO di Chrysler Peter Fong ha dichiarato che la 500 avrà un angolo dedicato presso tutti i concessionari della società.
(Fonte: www.motorionline.com - 28/9/2009)

venerdì 25 settembre 2009

Anche il Governo britannico chiede alla Commissione UE di indagare su Opel-Magna


Il governo della Gran Bretagna nutre seri dubbi sulla validità del piano per la cessione di Opel-Vauxhall al consorzio Magna-Sberbank. Lo ha comunicato il Ministro dell’Industria britannico, Lord Mandelson, al responsabile dell’ufficio per la concorrenza Unione Europea, Neelie Kroes, con una lettera ufficiale e dettagliata inviata martedì scorso. Secondo il Regno Unito, il piano messo in piedi dall’azienda austro-canadese e dalla banca russa è troppo punitivo per l’occupazione e costoso; inoltre è definito suscettibile di intervento politico. Un modo diplomatico per dire che i motivi per i quali è stata preferita la proposta Magna-Sberbank non rispondono a criteri industriali ed economici e comportano robusti sussidi che incrinano il principio di concorrenza. Mandelson sollecita la Commissione Europeo a svolgere un esame della proposta austro-canadese su un piano che prenda in maggiore considerazione i risvolti commerciali piuttosto che quelli dell’intervento pubblico. Il ministro fa anche cifre. Il progetto di acquisizione comporta un aiuto governativo ed europeo per 4,5 miliardi di euro ed è di 1,3 miliardi più costoso di quello presentato dal gruppo di investimenti RHJ rimasto fino alla fine in lizza, ma quel che è più sorprendente è che se fosse GM a procedere al salvataggio di Opel, i costi sarebbero inferiori di ben 2 miliardi. L’indice è puntato anche sulle modalità di approvazione del piano: i due componenti esterni dei quattro membri della commissione di valutazione nominata da GM hanno votato contro il piano Magna-Sberbank. Perché dunque accettarlo così come è se ci sono dubbi anche da parte dei fiduciari di GM? Ma Mandelson punta anche alla geografia dei tagli produttivi previsti: “Si prevede che la capacità di impianti altamente efficienti in Gran Bretagna e Spagna sarà sotto-utilizzata a favore di altri impianti di GM meno efficienti”. Anche qui, tradotto dal diplomatichese, vuol dire: si privilegiano in modo poco razionale gli stabilimenti tedeschi per mantenerne alta l’occupazione e si passa il conto ad altri. Il piano inoltre prevederebbe trasferimenti di produzione in Russia con ulteriore danno per la presenza di GM in Europa. Il piano Magna-Sberbank è infine meno profittevole, fornisce meno flusso di cassa e un punto di pareggio più alto di altre proposte. Lord Mandelson invita dunque a un loro riesame più attento o quantomeno a lavorare ulteriormente su quella approvata da GM e dal governo tedesco. Di questo ha parlato con il suo omologo tedesco Karl-Theodor zu Guttenberg martedì stesso. La “telenovela brasiliana” – come l’ha definita l’AD di Fiat, Sergio Marchionne – continua...
(Fonte: www.omniauto.it - 24/9/2009)

giovedì 24 settembre 2009

L'Economist su Opel-Magna: «Un accordo che puzza»


«Un accordo che puzza». Non va per il sottile l'Economist nel numero di questa settimana a proposito della vendita di Opel alla big austro-canadese della componentistica Magna (in alleanza con i russi di Sberbank, la più grande banca retail della Federazione). Il settimanale britannico bastona sia la cancelliera Angela Merkel che il suo principale rivale nella corsa elettorale ormai in dirittura d'arrivo, Frank-Walter Steinmeier (Spd): «Entrambi si attribuiscono il merito del salvataggio di Opel dalla bancarotta e della mancata chiusura di quattro stabilimenti della casa automobilistica in Germania. Tutti e due, però, hanno ben poco di andare orgogliosi. Infatti è arduo trovare qualcosa di buono da dire sull'accordo annunciato due settimane fa, che stanzia 4,5 miliardi di euro di denaro dei contribuenti tedeschi per vendere il 55% della controllata europea di General Motors» al consorzio austro-russo-canadese. Secondo l'Economist la «vendita forzata» è una sconfitta sia sotto il profilo della logica industriale che delle regole europee. E in effetti da Belgio, Gran Bretagna e Spagna - tre Paesi in cui sono ubicati impianti produttivi di Opel e Vauxhall (il marchio inglese di GM) - si sono levate lamentazioni all'indirizzo del commissario UE per la concorenza, la olandese Neelie Kroes: oggetto, si indaghi sul mancato rispetto delle regole UE da parte della Germania. In pratica, si accusa il governo Merkel di "corrompere" Magna con un sostanzioso aiuto di Stato per fare in modo che il peso della ristrutturazione del costruttore perennemente in perdita non ricada sui lavoratori tedeschi. Tra l'altro di opzioni migliori, sostiene l'Economist, ce n'erano diverse in termini di logica industriale. E perfino GM è tutt'altro che contenta di vendere a Magna e ai russi, i quali finirebbero per acquisire a prezzi di saldo tecnologie da riversare nel know-how del secondo costruttore d'auto di casa, Gaz. Andando al sodo, secondo il settimanale economico il governo tedesco sin dall'inizio di questa complicata vicenda ha puntato al dividendo politico piuttosto che agli interessi dei contribuenti e dell'industria automobilistica europea. Anche perché è un fatto che Opel, pur producendo alcune buone automobili, conta sul doppio degli impianti necessari e negli ultimi anni ha perso quote di mercato a favore di Volkswagen in Germania e Ford nel Regno Unito. D'altra parte, l'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, è stato troppo brusco nel sostenere la necessità di un taglio alla capacità produttiva in Europa e RHJ, private equity belga, è stato dipinto da subito come un rapace pronto a ghermire una preda da spolpare. Solo Magna - spiega ancora l'Economist - sembrava avere imparato da subito cosa dire e non dire, in particolare «che avrebbe salvato le fabbriche tedesche a dispetto dell'efficienza». Per non dire del fatto che due dei clienti-chiave di Magna, vale dire le tedesche BMW e Volkswagen, hanno già espresso forti preoccupazioni sui potenziali conflitti d'interesse e hanno prospettato la possibilità di rivolgersi altrove. Morale: «Questo affare puzza». Così, esorta l'Economist, non appena la polvere della competizione elettorale (in Germania si vota domenica) si sarà posata il commissario Kroes dovrà dare la versione corretta dei fatti «forte e chiara».
(Fonte: www.economist.com - 24/9/2009)

mercoledì 23 settembre 2009

Mulally, il Marchionne americano che ha salvato la Ford


Sergio Marchionne (Fiat-Chrysler), Alan Mulally (Ford) e Carlos Ghosn (Renault-Nissan) sono i tre mostri sacri dell’auto. I primi due sono in grande spolvero, il terzo ha invece perso lo scettro di manager invincibile dopo essere stato considerato per anni il numero uno mondiale indiscusso. In questo momento a contendere a Marchionne l’oscar di super manager è dunque rimasto Mulally, artefice del «miracolo Ford». La casa americana, che si appresta a incrociare i guantoni con la nuova Chrysler motorizzata Fiat, rispetto alla quale è riuscita a superare la profonda crisi Usa senza pesare sulle casse di Washington, sta raccogliendo i primi frutti della exit strategy by Mulally. E il timbro di Moody’s, che ha appena rivisto al rialzo la valutazione sulla Ford a «Caa1» da «Caa3», con prospettive stabili, è da intendere come un forte segnale di incoraggiamento del mercato al gruppo di Dearborn. Ma i test non finiscono mai, e Mulally da questo mese dovrà dimostrare di saper vendere le auto con l’ovale blu anche senza la decisiva spinta degli incentivi. Un’impresa non facile visto che il piano-bonus, oltre che negli Usa, si è concluso anche in Germania, mercato chiave per la Ford che proprio sul suolo tedesco, a Colonia, ha la sua filiale al di qua dell’Atlantico. Californiano, 63 anni, ex capo della Boeing, dove ha prestato servizio per 40 anni, l’«anti Marchionne» Mulally ha davanti a sé un futuro per certi versi simile a quello del suo rivale italo-canadese. Al presidente Bill Ford, il quale nei giorni scorsi ha dichiarato che «Alan può rimanere con noi fino a quando vuole», il ceo Usa che come Marchionne ha l’abitudine di varcare la soglia dell’ufficio prima delle 6 del mattino, ha ammesso che l’ipotesi è realizzabile («rimango volentieri»). Un botta e risposta a distanza tra la proprietà (John Elkann) e il manager-pupillo (Marchionne), al quale si è assistito in più di un’occasione pure a Torino. Anche gli Stati Uniti, dunque, hanno il loro uomo delle missioni impossibili. E se Marchionne ha saputo rianimare una Fiat agonizzante a tempo di record, tornando a porre al centro del business il prodotto, privilegiando la meritrocrazia all’interno del gruppo ed evitando con cura distrazioni salottiere, il suo rivale del Michigan ha appena annunciato che il secondo trimestre vedrà la casa americana ritrovare l’utile. Anche per Mulally, poi, il percorso dal suo insediamento (nel 2006) a oggi è stato compiuto a una velocità quasi supersonica. Ma anche una buona dose fortuna non è mancato al papà del Boeing 777 che ha sta per lanciare la «piccola» Fiesta negli Stati Uniti. La sfera di cristallo, finora, non ha mai tradito Mulally: le decisioni prese (tagli, dismissioni, finanziamenti, eccetera) sono sempre arrivate al momento giusto. Emblematico, in proposito, il tempismo con il quale Mulally ha ceduto Land Rover e Jaguar al gruppo Tata. Poche settimane dopo aver firmato il contratto, la crisi economica mondiale è esplosa in tutta la sua gravità. Ancora qualche settimana e l’affare sarebbe sicuramente saltato. Marchionne, dal canto suo, ha colto al balzo la pesantissima impasse americana per far propria - senza sborsare (per ora) un dollaro - la moribonda Chrysler. Un colpo da maestro che ha spiazzato il mercato e creato un precedente forse irripetibile (lo stesso approccio del top manager Fiat non ha avuto successo nel lungo tira e molla tedesco-americano per la Opel). E anche nei rapporti con le autorità i due «big» si assomigliano: Mulally non ha avuto problemi a bacchettare l’amministrazione Obama, rea di voler imporre entro il 2016 limiti alle emissioni e ai consumi «troppo onerosi», ottenendo dalla Casa Bianca alcune concessioni. Chi non ricorda, in proposito, la requisitoria di Marchionne contro il regolamento dell’Unione europea sulla CO2, definito «un bluff senza senso»? Negli Stati Uniti descrivono Mulally come tenace e infaticabile, pronto anche a telefonare personalmente a un cliente preso a campione e ringraziarlo per aver acquistato una Ford, optando magari per un motore ibrido. Anche Marchionne è instancabile (l’incontro di sabato con i suoi manager, il primo dopo le ferie, è durato 12 ore) ed è meglio che i concessionari americani della Chrysler comincino a memorizzare bene le sue sembianze. Anche a loro, prima o poi, capiterà di vedere entrare nello show-room un signore con un pullover nero intenzionato a comprare una macchina. La conferma del mandato dipenderà da come il «cliente» sarà trattato.
(Fonte: www.ilgiornale.it - 8/9/2009)

martedì 22 settembre 2009

Deloitte: entro il 2020 solo 10 gruppi avranno il 90% del mercato


Entro il 2020 saranno dieci le case automobilistiche con sede in sei principali mercati a determinare il 90% delle vendite mondiali dell'auto. Non solo. Si vedrà una presenza più massiccia di competitor con sede negli hub manifatturieri dei paesi emergenti rispetto all'attuale contesto di mercato che vede 15 main player operanti in 4 mercati. Questo è quanto emerge dall'ultimo studio di Deloitte (una tra le più grandi realtà nei servizi alle imprese in Italia) - dal titolo "A new era. Accelerating toward 2020 - An automotive industry transformed". "Un nuovo scenario competitivo si sta delineando", afferma Marco Martina, Partner di Deloitte ed esperto del settore automotive. "Le condizioni economiche globali e le dinamiche di mercato condurranno ad alcuni profondi cambiamenti strutturali nell'automotive, preparando il terreno per la crescita. Cina e India in particolare si affermeranno per avere un ruolo sempre più centrale, andando ad affiancarsi a Europa Occidentale, Giappone, Corea e Stati Uniti, i 4 attuali centri mondiali di progettazione e produzione per case automobilistiche e loro fornitori". Gli scenari prospettati dai maggiori esperti Deloitte del settore sono stati tracciati prendendo in considerazione le variabili che con più probabilità contribuiranno a cambiare profondamente il settore nei prossimi dieci anni. Tra questi giocheranno un ruolo chiave lo sviluppo tecnologico, i cambiamenti strutturali del settore, l'evoluzione dei gusti dei consumatori e i trend della forza lavoro. Per quanto riguarda i trend tecnologici le maggiori opportunità per i produttori d'auto saranno offerte in particolare dalla tecnologia dei motori e la svolta verso l'elettrico, dal passaggio dalla meccanica all'elettronica e dalla mobilità low tech/low cost.
(Fonte: www.deloitte.com - 16/9/2009)

lunedì 21 settembre 2009

Prime indiscrezioni sul piano di Marchionne per Chrysler


Il futuro del nuovo Gruppo Chrysler si delinea sempre di più. Il mese di novembre è stato indicato dal nuovo consiglio di amministrazione - tenuto per le redini dall'italiana Fiat - come quello in cui saranno rivelati i nuovi piani aziendali, ma già qualche informazione è trapelata. I tre responsabili dei marchi Chrysler, Jeep e Dodge - rispettivamente Peter Fong, Michael Manley, Michael Accavitti - stanno lavorando per definire le nuove identità dei brand, con l'obiettivo congiunto di offrire al cliente un'ampia scelta di modelli, che copra ogni segmento di mercato. Per questo, le vetture Chrysler rappresenteranno il lusso all'interno del nuovo Gruppo e i loro listini verranno ritoccati verso l'alto mirando ad un antagonista come Cadillac (Gruppo General Motors). Per rendere ancora più marcata questa identità, l'attuale legame con Dodge verrà spezzato. La parentela che per esempio adesso unisce la Chrysler 300 con la Dodge Charger non esisterà più, perché "le piccole differenze erodono il brand - ha spiegato Accavitti - Attualmente i clienti vogliono differenze più marcate tra un prodotto e l'altro. La nostra missione è quindi quella di separare e amplificare la demarcazione tra Chrysler, Jeep e Dodge". Per fare questo la Dodge sfrutterà la tecnologia del Gruppo torinese in direzione di una motorizzazione a minor impatto ambientale, "ma non vedrete il DNA di Fiat nel look dei modelli Dodge", ha assicurato Manley. Quello che invece resterà più simile a se stesso è il marchio Jeep. "Jeep is Jeep", ha detto Manley, spiegando che "in questo caso il lavoro di analisi sulle preferenze di mercato dei prossimi dieci anni è più facile". Jeep "è" e resterà l'anima più sportiva della Casa di Detroit e il cambiamento più sostanziale - in questo caso - riguarderà l'efficenza dei motori, che verranno studiati con Fiat per consumare meno.
(Fonte: www.omniauto.it - 21/9/2009)

venerdì 18 settembre 2009

Jato Dynamics: Fiat è leader europeo nelle emissioni di CO2


Appartiene all'Italia il primato nella produzione di autoveicoli con i valori di emissione più bassi nella media europea. E', infatti, di questi giorni la diffusione dei dati a livello europeo (a cura della Jato Dynamics, agenzia internazionale di consulenza e ricerca in campo automobilistico) sulla quantità di anidride carbonica prodotta dagli autoveicoli: e la notizia è che, nel nostro continente, fra i 25 Marchi automobilistici più venduti, la Fiat risulta il Costruttore le cui vetture dimostrano la migliore efficienza riguardo le emissioni di CO2 nell'ambiente: in media 129,1 g/km, secondo le rilevazioni del primo semestre di quest'anno. Da notare, sottolineano i ricercatori della Jato, che nel semestre precedente il Gruppo torinese produceva veicoli le cui emissioni di anidride carbonica erano, mediamente, di 133,7 g/km. Si può dire che, alla fine di Giugno, la Fiat abbia riportato un risultato di prim'ordine: quello, cioè, di unico Costruttore di autoveicoli a livello europeo ad avere raggiunto l'obiettivo dei 130 g/km fissato dalla Comunità europea per il 2015. Il primato di Fiat Automobiles è stato riconosciuto in 8 Nazioni sulle 21 monitorate; in altri 19 Paesi, si trova nei primi 3 posti. La top ten dei Costruttori "puliti" vede, alle spalle della Fiat, Toyota (132 g/km di media), Peugeot (134,5), Citroen (138,1), Renault (138,9), Ford (140,4),Opel (149,5), Volkswagen (152,5), Audi (162,6) e Mercedes (178,8). Nella classifica di produzione per Gruppi automobilistici, la Fiat si mantiene anche al primo posto, davanti a Toyota, PSA Peugeot-Citroen, Renault e Hyundai. Inoltre, è da rimarcare come - a proposito di mobilità sostenibile - il Gruppo Fiat sia stato riconosciuto al primo posto nella sostenibilità, entrando negli indici Dow Jones Sustainability World e Dow Jones Sustainability STOXX con un punteggio di 90/100 (a fronte di una media di 72/100) nella media delle aziende monitorate dalla SAM, società di rilevazione specializzata negli investimenti in base alla sostenibilità aziendale. Gli strumenti che hanno contribuito a far raggiungere alla Fiat il primato fra i brand col più basso valore di emissioni nell'ambiente vanno ricondotti, in prima battuta, alla diffusione di veicoli a metano: nei primi sei mesi del 2009, dal Lingotto sono usciti 65 mila autoveicoli "Natural Power" con destinazione Europa. I loro valori di emissione, mediamente 115,8 g/km di CO2, hanno abbassato di 13 g/km la media delle vetture prodotte dalla Fiat. Le strategie della Fiat per migliorare ulteriormente il primato europeo sulle emissioni di CO2 non si fermano qui: "L'obiettivo è rafforzare questa importante leadership - ha dichiarato, a questo proposito, l'Amministratore Delegato di Fiat Automobiles Lorenzo Sistino - Per farlo, continuiamo ad investire in tecnologia, con l'introduzione di nuovi motori e nuove applicazioni. Dall'innovativa tecnologia MultiAir per i propulsori a benzina, che garantisce un abbassamento di emissioni fino al 10 per cento, alla nuova generazione di motori Multijet, che faranno il loro esordio sulla Punto Evo e che saranno poi adottati da tutte le vetture del nostro Gruppo. Fra le tecnologie, lo Start&Stop, in grado di ridurre le emissioni del 12 per cento, che già equipaggia la 500 e ora è di serie sui motori Euro 5 della Punto EVO. Senza dimenticare le nuove applicazioni, come il software che attraverso la porta USB del sistema Fiat Blue&Me aiuta il comportamento alla guida, analizzandone il comportamento per ottimizzare i consumi e, di conseguenza, le emissioni".
(Fonte: www.motori.it - 18/9/2009)

giovedì 17 settembre 2009

Autoweek: Dal 2011 Chrysler adotterà la tecnologia MultiAir per i propri motori


Secondo i piani di Fiat, i motori Chrysler a benzina adotteranno la tecnologia MultiAir a partire dal 2011. Come accaduto per il 1.4 T-Jet, anche i propulsori di origine americana godranno dei benefici che offre questa tecnologia, vale a dire maggiore potenza e coppia, contemporaneamente a minori consumi ed emissioni. I primi motori Chrysler che adotteranno il MultiAir saranno i quattro cilindri 2.0 e 2.4, prodotti da GEMA e attualmente installati sotto il cofano di varie vetture come Chrysler Sebring, Dodge Caliber e Avenger, Jeep Patriot e Compass. Inoltre, verso la fine del 2012 la tecnologia MultiAir verrà implementata anche nei motori V6 della linea Pentastar, come il nuovo 3.6 a benzina che debutterà con la prossima generazione della Jeep Grand Cherokee.
(Fonte: www.autoweek.com - 14/9/2009)

mercoledì 16 settembre 2009

Marchionne: Fiat-Chrysler diventerà da sola un gruppo da 6 milioni di auto


L'obiettivo dei 6 milioni di veicoli venduti all'anno dovrà essere raggiunto da Fiat insieme a Chrysler senza alcuna ulteriore acquisizione. L'ambizioso obiettivo per il gruppo torinese è stato da poco confermato dal suo amministratore delegato, Sergio Marchionne, intervenuto al tradizionale appuntamento del Salone dell'auto di Francoforte. Le dichiarazioni dell'AD giungono a pochi giorni di distanza dalla chiusura delle contrattazioni tra General Motors e Magna per il destino di Opel. La nuova linea di Marchionne pone Fiat e Chrysler dinanzi a un obiettivo non semplice da realizzare, ma vitale per consentire alle due società di sopravvivere nell'agguerrito comparto dell'auto messo a dura prova dalla difficile congiuntura economica internazionale. Le dichiarazioni dell'AD sembrano dunque chiudere qualsiasi possibilità per l'avvio di nuovi contatti con Magna o GM per assumere una possibile partnership in Opel. Su questo fronte, infatti, Marchionne è stato chiaro e netto: «Abbiamo definitivamente chiuso con Opel». Il numero uno del gruppo torinese, da poco anche primo responsabile di Chrysler, ha dunque confermato l'intenzione di «arrivarci da soli con Chrysler» all'obiettivo dei 5,5 - 6 milioni di veicoli venduti, una cifra considerata fondamentale da Marchionne per poter creare un gruppo globale in grado di sopravvivere nel prossimo decennio e di confrontarsi ad armi pari con gli altri grandi protagonisti del comparto. Tale obiettivo sarà reso possibile, in primo luogo, grazie alla massiccia e indispensabile ristrutturazione di Chrysler. «Il piano industriale di Chrysler sarà presentato a novembre» ha dichiarato l'AD, confermando le voci circolate negli ultimi giorni sul futuro prossimo del produttore americano ancora in affanno. Secondo Marchionne, il processo di ristrutturazione di Chrysler sarà lento e implicherà tempi lunghi, ma alcuni primi segnali di miglioramento potrebbero già registrarsi nel corso del 2010, crisi economica permettendo. Il rilancio della società statunitense non sarà solamente legato alla messa in produzione di nuovi prodotti, l'intera struttura aziendale andrà profondamente rivista. «Non è solo una questione di prodotti. C'è molto lavoro da fare nei prossimi cinque anni, che va ben oltre gli interrogativi su un tipo particolare di prodotto o un altro. Le ambizioni vanno molto oltre questo problema» ha dichiarato Marchionne ai giornalisti nel corso della sua visita al Salone dell'auto in Germania. Risollevare le sorti di Chrysler sarà una parte integrante del piano concepito dall'AD per raggiungere l'auspicato aumento di veicoli venduti su base annua. E proprio sul fronte delle vendite, il responsabile del gruppo torinese ha sottolineato l'importanza finora assunta dagli incentivi statali alla rottamazione messi in campo da numerosi paesi europei. Tale pratica ha consentito di attenuare gli effetti della crisi sugli ordinativi e, secondo Marchionne, andrebbe rinnovato anche per il prossimo anno in Italia «per il bene del paese» poiché un no da parte del governo potrebbe avere «un impatto disastroso» sull'economia nostrana. L'AD ha poi confermato di attendersi alcuni contraccolpi sul fronte delle vendite a causa della fine degli incentivi in alcuni paesi: «È scontato lo stop in Germania, dove avremo un rallentamento; la situazione non è chiara in Italia, Regno Unito e Francia». Secondo il numero uno del Lingotto, solamente tra il 2012 e il 2013 il comparto automobilistico su scala globale riuscirà a tornare a livelli pre-crisi comparabili con quelli fatti registrare nel biennio 2007 - 2008. Si profilano dunque anni difficili nei quali la gara alla sopravvivenza dei principali marchi porterà a un confronto duro con una concorrenza molto agguerrita. Resistere in tale contesto non sarà semplice, ma secondo Marchionne alcuni timidi segnali di ripresa potrebbero rendere il 2010 un anno meno duro rispetto al 2009.
(Fonte: www.manageronline.it - 16/9/2009)

martedì 15 settembre 2009

Al Salone di Francoforte Fiat e Chrysler sotto lo stesso "tetto"


Alla Halle 6 del Salone di Francoforte va in scena il matrimonio tra il Lingotto e gli americani. Il grande padiglione raccoglie Fiat, Ferrari, Maserati, Lancia, Alfa Romeo, Abarth e ora anche Dodge, Chrysler e Jeep. Curioso scorgere tra le grandi ruote di una offroad il marchio del Biscione a pochi metri, oppure la sagoma del Voyager che si staglia sullo sfondo bucolico dello stand Fiat, completamente ispirato ai desideri dei bambini. Così spuntano alberi colorati, barchette di carta, giochi d'annata come il meccano e altri richiami alla fanciullezza spensierata. Per l'allestimento degli spazi la regia è stata unica ed è stata curata da Torino. Solamente due anni fa la Chrysler si separava da Daimler, dopo un'alleanza avviata nel 1998. Ma sono tanti i segnali dai quali si capisce come la crisi finanziaria abbia cambiato gli assetti nel mondo dell'automobile. Rispetto al passato quest'edizione di Francoforte appare molto meno sfarzosa, ma non per questo meno interessante, data la quantità di anteprime mondiali.
(Fonte: www.quattroruote.it - 15/9/2009)

lunedì 14 settembre 2009

Fiat-Opel, le occasioni perdute (da entrambe) e le prospettive per Fiat


Opel, i russi, i tedeschi, gli americani: una vera telenovela. Ma in tutta questa confusione una sola certezza che non è né politica né finanziaria, ma semplicemente industriale: la Casa del Lampo continua a utilizzare tecnologia che ha comunque legami con l'Italia come i motori turbodiesel che, nati in casa Fiat e poi sviluppati in seno a GM Powertrain, muovono le vetture più importanti della Casa del Lampo. Ad esempio, la nuova Opel Insignia monta il turbodiesel 2.0 CDTI, che rappresenta l'evoluzione del classico 1910 cc Multijet di casa Fiat ed è stato progettato interamente presso il GM Engineering Center di Torino. Si tratta di un centro nato nel 2005 a seguito dello scioglimento della joint venture GM-Fiat. Opel, inoltre, utilizza tecnologia e risorse di origine Fiat anche per quanto riguarda il citato common rail da 1.9 litri. Si tratta di un propulsore utilizzato da molti modelli del gruppo italiano e che la casa tedesca produce, in una variante idonea alle specifiche esigenze dei propri veicoli, presso lo stabilimento tedesco di Kaiserslautern. Nel cofano delle Opel più piccole, come la Agila e la Corsa, gira anche un altro gioiellino della tecnologia common rail "italiana": si tratta del 1.3 Multijet (1.3 CdTi secondo la denominazione tedesca), un motore nato durante la joint venture e prodotto presso lo stabilimento polacco di Bielsko-Biala in comune con Fiat. La mancata fusione tra Fiat e Opel è stata davvero un'occasione mancata per il Lingotto e Marchionne si trova senza un tassello della sua strategia di crescita e di evoluzione: cercare di far diventare Fiat un costruttore di peso a livello continentale e mondiale con una gamma ampia, anzi finalmente completa, e volumi produttivi in grado di sostenere l'azienda economicamente grazie a economie di scala adeguate ai tempi. Fiat, infatti, nello strategico segmento C quello delle auto medie mostra una voragine nella propria offerta: non dispone di una station wagon moderna e di appeal, ma soltanto di una berlina cinque porte (la Bravo) e delle sue derivate Alfa Romeo 147 e Lancia Delta. Contro regine del mercato europeo come la Ford Focus il gruppo italiano può opporre solo la vecchia Stilo Multiwagon, decisamente poco competitiva in Italia e quasi inesistente sulle strade europee. E qui, in virtù della fusione con Opel che ha appena svelato la media Astra, potevano nascere sinergie ed efficienze produttive generate da volumi adeguati ai costi di sviluppo. Nello stesso segmento si nota che Fiat è, inoltre, carente nell'importante scacchiere dei monovolume di taglia media dove Opel schiera la Zafira, uno dei grandi successi - anche in tempi di crisi - del marchio tedesco. Sulle medie dunque si gioca la partita della competizione nel vecchio continente e qui Fiat è sola ma dispone di un asso nella manica: la piattaforma C-Evo sviluppata per l'Alfa Romeo Milano che sostituirà il prossimo anno la 147. Nel segmento A, quello delle utilitarie, l'apporto di Opel, al momento, poteva essere non fondamentale, visto che è Fiat a dettare legge nel vecchio continente con la piattaforma sulla quale vengono costruite - in Polonia - Panda e 500 e anche la Ford Ka. Ad ogni modo, visto che la crisi dell'auto presuppone la ricerca di sinergie più ampie possibile e una enorme condivisione di componenti per abbattere i costi, con la casa di Russelheim poteva nascere la prossima generazione di compatte condividendo i costi di sviluppo. Nelle utilitarie di segmento B, Fiat e Opel condividono tecnologie e componenti fin dai tempi del fallito matrimonio con GM, visto che sulla stessa piattaforma vengono costruite la Opel Corsa e Punto (comprese le sue derivate come l'Alfa Romeo MiTo). Le mancate nozze con la Casa del Lampo fanno perdere a Fiat l'occasione di rinnovarsi sulla fascia superiore utilizzando il telaio della nuova Insignia. In questa area, difficile ma importante perché rappresenta una fetta importante del mercato delle flotte aziendali, la casa italiana schiera la non più fresca Croma che, basata sulla vecchia piattaforma Epsilon della Opel Signum, si trova ad affrontare con best-seller come Volkswagen Passat o Ford Mondeo. Su segmenti superiori invece la partita si gioca con Chrysler che dispone di ottime basi a trazione posteriore come la 300C (che anche da noi ha riscosso un buon successo) e soprattutto dall'acquisizione della fallita casa di Detroit arriva per Fiat la possibilità di sfondare in nella area dei Suv e dei fuoristrada dove è praticamente assente. E potrà farlo con un brand leggendario: Jeep che da sempre è sinonimo di off-road e sport utility. Fiat in questo segmento offre solo la Sedici, clone della Suzuki SX e ulteriore figlio del matrimonio fallito con GM, nonché l'Iveco Campagnola che però è più un veicolo militare e un fuoristrada puro che un Suv. Invece con la campagna americana Marchionne ha la possibilità di ampliare l'offerta con prodotti apprezzati a livello globale, dando in dote l'eccellenza della tecnologia italiana (Multijet e Multiair in primis). Il mancato accordo per Opel complica la situazione ma va detto che la porta per eventuali collaborazioni industriali (come quella in atto con Ford in Polonia) non è chiusa e soprattutto il Lingotto può guardare Oltralpe, a quella PSA Peugeot-Citroën Fiat, già a alleata sul fronte dei veicoli commerciale e dei grandi monovolume. E il stesso gruppo transalpino è a sua volta alleato con Ford, il gigante americano in crisi che però sta cercando di stare a galla con ogni mezzo e che in Europa con la Fiesta sta mettendo puntelli importanti per restare un protagonista anche nel mondo dell'auto del dopo-crisi.
(Fonte: www.motori24.ilsole24ore.com - 10/9/2009)

venerdì 11 settembre 2009

Le condizioni-capestro di GM su Opel-Magna favoriranno Fiat per GM Sudamerica?


A Torino non sono sorpresi, per loro la pratica era archiviata. Almeno per il momento. Il dossier Opel, messo a punto dalla squadra di Sergio Marchionne, era finito nel cassetto alla fine di maggio quando il governo tedesco della cancelliera Merkel aveva preferito per la vendita della casa di Russelsheim l’offerta fatta dal consorzio guidato dalla canadese Magna International. «Noi avevamo presentato il nostro piano, ora siamo concentrati su Chrysler che è una grande sfida», ha dichiarato il presidente del gruppo Fiat Luca di Montezemolo. I manager della casa italiana erano consapevoli che difficilmente sarebbero rientrati in gioco. La partita, quasi tutta politica, si giocava fra il desiderio della nuova GM controllata da Washington di tenersi lo strategico braccio europeo e la volontà dei sindacati e dell’esecutivo di Berlino di consegnare la Opel a Magna. L’unica reale alternativa la Rhj International gradita a Detroit più dei canadesi. La Fiat, quindi, è tutta concentrata su Chrysler. C’è da rilanciare le attività in Nord America in un mercato che vede la ripresa e ripensare a fondo la gamma che dovrà avere veicoli meno imponenti e meno inquinanti. C’è da preparare lo sbarco della 500 e, soprattutto, del marchio Alfa Romeo dall’altra parte dell’Atlantico e c’è da gestire la probabile uscita di Jim Press, il manager di maggior spessore della vecchia Chrysler che è rimasto in azienda. Le operazioni sono guidate direttamente da Marchionne che, come prevedono le sue cariche, allunga al massimo la settimana lavorativa per gestire due aziende in due continenti diversi. L’ad di Fiat e Chrysler abitualmente opera in Michigan nei giorni feriali per poi lavorare a Torino con i suoi più stretti collaboratori durante il weekend. Al salone di Francoforte, che accenderà i riflettori la prossima settimana, si vedranno i primi passi della nuova alleanza: gli stand di Fiat e Chrysler si annunciano affiancati. Ma come ha più volte dichiarato Marchionne i giochi non sono chiusi, Fiat continua a valutare tutte le opportunità per allargare ulteriormente il gruppo e renderlo protagonista a livello mondiale. Proprio i dettagli dell’accordo che GM formalizzerà con Magna potrebbero creare nuove opportunità e riportare sul mercato le attività della General Motors in America Latina che sono strettamente legate alla tecnologia Opel. L’ingresso di Magna, infatti, è la soluzione che più stacca GM da Opel nonostante il 35% della casa tedesca resterà agli americani. I canadesi non hanno mai voluto prendere in considerazione l’ipotesi di una futura rivendita di Opel al gruppo di Detroit e i dettagli del contratto che verranno formalizzati nelle prossime settimane tengono lontana la casa tedesca dall’orbita GM. Opel non potrà vendere in Nord America e avrà margini limitati in Cina e Corea dove GM è forte. Questa decisa divisione potrebbe spezzare il legame fra Opel e Sud America dove le attività GM senza copertura tecnologica tornerebbero appetibili per Fiat. Ma, libera dai legami con GM, la Opel stessa potrebbe diventare un partner di Fiat-Chrysler per superare la barriera dei cinque milioni di veicoli l’anno.
(Fonte: www.ilmessaggero.it - 11/9/2009)

giovedì 10 settembre 2009

Merkel: "Opel a Magna". Montezemolo: "La nostra sfida è Chrysler"


La General Motors cede il pacchetto di maggioranza della Opel alla casa austro-canadese Magna. Lo ha annunciato la cancelliera tedesca Angela Merkel nel corso di una conferenza stampa a Berlino che segue un incontro durato due giorni del CDA di GM a Detroit. L'annuncio mette fine a mesi di incertezza sul destino di Opel che conta circa metà dei suoi 50.000 lavoratori proprio in Germania. Il governo tedesco ha sostenuto l'offerta di Magna e assicurato che avrebbe provveduto a garanzie per 4,6 miliardi di euro per aiutare Magna a ristrutturare la sussidiaria europea di GM. La cancelliera tedesca Angela Merkel si è detta molto soddisfatta di questa decisione, parlando di un nuovo futuro per la casa tedesca. Il capo del Governo ha evidenziato come saranno aperti colloqui con tutti i partner europei nei paesi dove vi sono stabilimenti Opel/Vauxall. Inoltre, nel comunicato viene precisato che General Motors sostiene che la chiusura effettiva della cessione a Magna richiederà maggiori garanzie da parte del governo tedesco e che diverse questioni chiave andranno chiarite prima di siglare l'accordo definitivo. Punti che dovrebbero chiarirsi nell'arco "delle prossime settimane", secondo quanto riporta il comunicato. Mentre il closing dell'operazione è atteso per "i prossimi mesi". In ogni caso la sigla definitiva del tutto sembra così rinviata al dopo elezioni in Germania: le consultazioni si svolgeranno il prossimo 27 settembre. "In base all'accordo - informa un comunicato - Magna/Sberbank acquisterà il 55% della Nuova Opel, GM manterrà il 35% e ai dipendenti andrà il 10%". "Nelle ultime due settimane c'è stato un lavoro impegnativo per definire gli ultimi aspetti rimasti aperti e definire il pacchetto di aiuti finanziari della Germania" ha commentato il numero uno di GM Europe Fritz Henderson aggiungendo che i sindacati hanno sottoscritto un accordo sui necessari costi di ristrutturazione. Opel impiega circa 50 mila persone in Europa di cui la metà negli stabilimenti tedeschi. Nei mesi scorsi Magna aveva comunicato che avrebbe ridotto i dipendenti di 10 mila unità ma oggi nessun numero è stato fornito. "Per Opel abbiamo fatto la nostra offerta, ora abbiamo tanto da fare con Chrysler, è la grande sfida che abbiamo davanti": questo il commento del presidente della Fiat, Luca di Montezemolo, alla notizia della vendita di Opel alla Magna. "Già dalla fine del 2008 - ha detto a margine della presentazione dell'accordo di sponsorizzazione tra Ferrari e Santander - abbiamo assistito a un grande rimescolamento di carte sul mercato dell'auto. Sono diminuite le vendite, ci sono troppi marchi, bisogna fare sinergie. La nostra sfida è con Chrysler".
(Fonte: www.rainews24.rai.it - 10/9/2009)

mercoledì 9 settembre 2009

Bertone produrrà l'alto di gamma di Fiat-Chrysler (Maserati compresa?)


Prime notizie positive, da qualche tempo a questa parte, per la gloriosa carrozzeria Bertone, o almeno per i dipendenti che lavorano nella sede di Grugliasco. La fabbrica, passata recentemente nelle mani di Fiat, sarà presto riqualificata per accogliere nuove commesse interne al gruppo torinese. Ciò che ha convinto Marchionne è la vicinanza a Mirafiori (solo tre chilometri) e soprattutto la presenza di manodopera specializzata con notevole esperienza. Le prime vetture che nasceranno in questa sede saranno una sportiva e un’ammiraglia, quest’ultima probabilmente l’erede della Maserati Quattroporte. In seguito, la stessa catena di montaggio potrebbe essere utilizzata anche per la futura Alfa 169 o addirittura per un sequel della Lancia Thesis. In altre parole, tale struttura diventerà un punto nevralgico della produzione d’alta gamma "Made in Italy" e non solo. In effetti, per via dell’acquisizione di Chrysler, qui potrebbero essere assemblate anche le auto americane destinate al mercato del vecchio continente (vedi Dodge e Jeep). La stesso destino potrebbe essere riservato ai capannoni di Pininfarina, situati a Bairo, San Giorgio Canavese e pure a Grugliasco. Se il disegnatore italiano dovesse decidere di abbandonare definitivamente o parzialmente la produzione di vetture per concentrarsi esclusivamente sul redditizio lavoro di design, gran parte delle strutture e degli operai confluirebbero nel gruppo Fiat.
(Fonte: www.oneauto.it - 9/9/09)

martedì 8 settembre 2009

Entro fine anno il piano per il ritorno di Alfa Romeo negli U.S.A.


"Entro fine 2009 formuleremo un piano con i modelli e i tempi per il ritorno di Alfa Romeo negli U.S.A." e per tutto il brand. Così Sergio Cravero, CEO di Alfa Romeo Automobiles, per il quale "stiamo facendo tutte le verifiche per le opzioni migliori" anche sull'esportazione della tecnologia Multiair negli U.S.A., che permette di ridurre emissioni e consumi aumentando al tempo stesso la potenza dei propulsori. "Dovremo valutare con i nostri alleati (Chrysler) che cosa si può fare negli U.S.A." con il Multiair, ha aggiunto Cravero. "Attualmente ci stiamo concentrando sulla 'Milano'", la sostituta della 147, che "crediamo ci possa portare numeri importanti. L'auto sarà presentata al Salone di Ginevra (marzo 2010) e andrà sul mercato ad aprile-maggio" 2010. Le vendite della controllata di Fiat dovrebbero salire a 115-120mila unità nel 2009 dalle 108mila dell'anno scorso. Cravero ha escluso che le vendite della casa del Biscione possano arrivare a 300mila nel 2010 "a causa della crisi economica che ci ha spinto, e questo non vale solo per noi, a rivedere tutti i piani. Si tratta di un obiettivo futuro". La MiTo, lanciata nell'estate 2008, ha raccolto dal lancio oltre 72mila ordini, di cui più del 60% fuori dall'Italia con una quota nel segmento compatte 3 porte pari al 5% in Europa e al 16% in Italia.
(Fonte: www.milanofinanza.it - 8/9/2009)

lunedì 7 settembre 2009

Staglianò (la Repubblica): così Detroit accoglie il nuovo padrone italiano di Chrysler


Per sradicare un nomignolo può non bastare una vita. Trasformare la ruggine in oro, poi, è compito proibitivo anche per il più talentuoso alchimista. Qui Fiat si leggeva «Fix it again, Tony», «aggiustala un’altra volta, Tony». Portiere che chiudevano male, sospensioni sganasciate dalle buche sulle freeway, carrozzerie corrose, soprattutto. C’era una volta in America. Oggi invece a Royal Oak, allegro sobborgo di Detroit, hanno ribattezzato Fiat Drive una delle vie più centrali. «Dove vivere, mangiare e fare shopping meglio che da noi?» ha spiegato il promotore, l’italo-americano Luigi Cutraro, che punta sulla "captatio benevolentiae" toponomastica per intercettare le brigate di manager torinesi e le legioni di fornitori che spera faranno la spola dall’Italia con la vicina Auburn Hills. È lì, nel compound mastodontico secondo per dimensioni solo al Pentagono, che ha sede la Chrysler. E dove regna – con la benedizione di Obama, un altro da cui tutti si aspettano miracoli – il neo-amministratore delegato Sergio Marchionne, l’artefice del cambio di marcia nella reputazione. Chiedete a chi vi pare, economisti, politici, operai e otterrete gradazioni differenti della stessa risposta: pollici alzati, sorrisoni, inevitabili citazioni strascicate di «Ferrari» e «Pininfarina». Chiamatelo «effetto 500». Niente più tracce di ossidazione sul buon nome delle lamiere, e neppure di polvere: è tutto un gran luccichìo. Al punto che i «plebei» piemontesi potrebbero addirittura riuscire dove hanno fallito i «patrizi» tedeschi: salvare il malato terminale, la terza casa automobilistica degli Stati Uniti. E allora sì che sarebbe Gran Torino (film che fra l’altro han girato da queste parti). Le aspettative sono alte, gli ostacoli pure. La capitale dell’auto sembra una città da troppo tempo in respirazione artificiale. Alla fine degli anni 60 gli scontri razziali fecero fuggire in massa i bianchi. Col paradosso che in centro abitano i poveri, in periferia i ricchi. A dowtown case abbandonate, e poi bruciate, sono diventate orti dove scorrazzano fagiani selvatici. Fuori ci sono le fabbriche, ma alcune rischiano di chiudere. Delle Big Three, con GM e Ford, il boccone italiano è il più piccolo (10 per cento del mercato U.S.A.) ma non per questo meno strategico. Se il trapianto verrà rigettato sarà una tragedia per 50 mila operai e per il futuro dell’industria. «Siamo già abituati a essere guidati da stranieri. E gli italiani non potranno fare peggio dei tedeschi» esordisce Paul Ingrassia, che sta finendo Crash Course, un libro che racconta la delicata transizione, «e se per restare in attività si dovrà dire signorsì a qualche gentiluomo piemontese credo che tutti a Detroit siano pronti a pagare questo prezzo». La cura crucca è durata otto anni. Il malato non rispondeva – anche nel senso che c’era poca comunicazione tra i rispettivi ingegneri – e da Stoccarda mandavano rinforzi, sino a un contingente di 200 persone. Qualche miliardo di dollari dopo hanno svenduto al fondo Cerberus. Fiat è subentrata col 20 per cento, Washington (e Montreal) con il 13 e il restante 67 è in mano al fondo pensione dei sindacati automobilistici, senza potere di gestione però. «Ve vill do it this way», fanno il verso ai tedeschi. Ed è la battuta più feroce su quel periodo. I nuovi padroni non accettavano un dialogo, ma un matrimonio dove non si parla non dura. E infatti. «Noi non corriamo questo rischio» assicura Gualberto Ranieri, da due mesi responsabile della comunicazione della conglomerata: «Dei 23 dirigenti solo tre vengono da Fiat, gli altri erano già qui». E poi è lo stile Marchionne che fa la differenza. La leggenda vuole che uno dei primi giorni abbia ripreso duramente due suoi collaboratori italiani rei di non parlare inglese anche tra loro. «Windsor, a cinque minuti da qui, ma sul versante canadese» spiega Guarnieri «è dove ha preso la sua terza laurea». Sono sopratutto i giornali locali a contenderselo («è uno di noi»), sino a sfiorare il ridicolo con «manager canadese-italiano». Sta di fatto che, per ribadire, ha rinunciato all’ufficio al quindicesimo piano dove sedeva il predecessore teutonico per uno al quarto, vicino alla produzione. E mentre i tedeschi avevano affittato un charter per rientrare in patria nel weekend lui usa quei giorni per le riunoni plenarie. Anche gli americani, espropriati del golf e del barbecue, non sanno più cosa pensare. «La pizza ormai ce la scippano tutti: qui la fanno i macedoni, buonissima» confessa il console Marco Nobili, «ma i motori della Fiat sono molto più difficili da copiare». È un rinascimento italico, quello che ci raccontano da queste parti, che va ben oltre l’auto. Conferma Massimo Denipoti, presidente dell’Italian American Alliance for Business and Technology, veneto e pratico come il diplomatico: «È stata la decade della riscossa. Quando sono arrivato nel ’92 ricordo i cartelli protezionisti nei parcheggi “qui niente macchine straniere”. Avevo paura a parlare mentre ora sono loro che ci chiedono consigli». Anche facendo un po’ di tara all’italian pride, restano alcuni numeri inconfutabili. Tipo un investimento Eni da 5 miliardi di dollari, o l’acquisizione da parte di Campari di uno storico marchio di whisky del Tennessee, o l’apertura della sede statunitense di Berloni a Troy, cintura residenziale di Detroit. Il glamour culturale non è una novità, ma avanza. Da maggio ha aperto a Birmingham, per la prima volta da queste parti, l’istituto Dante Alighieri. Nella stessa località, a 15 minuti dalla Chrysler, avevano preso casa i manager tedeschi. I locali contano sul bis nostrano. E serve a poco ricordar loro che per ora sono solo in tre e che l’idea è di valorizzare le risorse del posto. «È tutto pronto» garantisce Carolyn Bowen-Keating della Weir Manuel, una delle più floride agenzie immobiliari, mostrandoci un faldone con il logo Fiat che presenta le varie soluzioni abitative, con affitti dai 2000 dollari per gli appartamenti ai 6-8000 delle tuscan houses («chi se non loro può apprezzarle?»). Va particolarmente fiera di una sezione dedicata agli american values da insegnare ai nuovi arrivati. Se c’è uno che sa quanto siamo ben voluti a questa latitudini è Alberto Negro. Nella sua casa nel bosco, costruita da un allievo di Frank Lloyd Wright, è passata tutta la real casa dell’auto mondiale. Lui è a Detroit dal ’72 quando, dopo aver fatto presente all’Avvocato che giapponesi e americani lavoravano come matti per ridurre le emissioni, questi gli dette carta bianca («faccia ciò che è necessario») per recuperare il tempo perso. Fu tra i primi a vedere gli air bag e altre dotazioni che sarebbero diventate standard. «Non sono mai stato guardato con condiscendenza per la mia nazionalità, piuttosto il contrario». Un paio di anni fa ha lasciato, per limiti di età, e il laboratorio ha chiuso con lui. «La crisi economica e la preoccupazione ecologista stanno creando il momento perfetto per la Fiat: c’è bisogno come non mai di auto più piccole e di motori più puliti». Le specialità della casa. Per non dircelo da soli siamo andati sino ad Ann Arbor dove ha sede il Center for Automotive Research, in sigla Car. Il chief economist, quello che anche la Casa Bianca ha interpellato, si chiama Sean McAlind: «Certo, la vostra forza sono i motori, capaci di fare anche 60 miglia per gallone che, con la benzina a oltre 4 dollari al gallone, sono una benedizione». È la soglia psicologica che potrebbe far abbandonare i suv ai cittadini della «nazione d’asfalto». «E poi avete ingegneri bravissimi, molto desiderati in Cina» prosegue. Meravigliarsi che gli italiani comandino a Auburn Hill è niente di fronte al fatto che il mercato asiatico dell’auto si avvii a valere il triplo di quello statunitense. C’è una gag, attribuita a Lee Iacocca, per cui quelli della Ford li riconoscevi per gli abiti blu, alla Gm grigi e alla Chrysler per le maglie a collo alto e il fatto che preparavano i cocktail. Ecco, solo con loro potevano andare d’accordo gli italiani. Gli altri sarebbero stati troppo arroganti, ride serissimo l’economista. La notizia del giorno è che la 500 sarà prodotta in Messico. «D’altronde» fa i conti su un foglio «un operaio messicano costa 7,12 dollari all’ora contro i 58 di uno statunitense. Solo così possono fare utili». I sindacati, ovviamente, vorrebbero non starci. Però non sono più in salute delle fabbriche che dovrebbero proteggere. Le sezioni locali smobilitano. Alla fine troviamo il presidente della Local 1700, vicina all’impianto Dodge di Warren. «Apprezziamo molto l’intervento della Fiat» mette le mani avanti Bill Parker «lei vuole entrare in Nord America, noi nel mondo. Quel che mi preoccupa è però il fatto che sin qui sono stati chiusi solo stabilimenti U.S.A. . E considerato che sono stati spesi molti soldi dei contribuenti, non è accettabile». Pochi sono più pragmatici degli operai. Davanti alla fabbrica di Mound Road c’è Chester Fried, uno spaccio dove fanno un salto nei pochi minuti di pausa a mezza mattinata. «Non dico niente, lavoro qui da 37 anni e voglio continuare a farlo, finché dura» si schermisce un nero quasi sessantenne, tuta blu e occhiali di protezione. Un afro-americano più giovane si limita a constatare che gli «italiani sono ok, tutto è meglio che non avere il lavoro». Per dieci che rifiutano di commentare, acconsente il primo bianco: «Senti, ho un mutuo da pagare. Questa è l’unica preoccupazione. Il giudice fallimentare ha già permesso di mandar via dei lavativi, spero che gli italiani continuino a farlo». Niente orgogli di campanile. Franza o Spagna, basta che se magna. Robert Ficano è il nipote di un siciliano che negli anni 20 venne qua perché 5 dollari al giorno alla catena Ford gli sembravano un sogno. Lui ora è il «governatore» della contea di Wayne, quella di Detroit: «Quello che i tedeschi non capivano è che abbiamo più ingegneri qui che in tutto il resto degli U.S.A. . Ci manca lo stile, e quello lo portate voi». Sa dire tre cose in italiano tra cui «calzino». Come Marchionne ha rivoltato la Fiat. E spera che farà anche con Chrysler.
(Fonte: http://stagliano.blogautore.repubblica.it - 4/9/2009)

venerdì 4 settembre 2009

FT: Fiat presenterà il piano-Chrysler in ottobre o novembre


In Chrysler è arrivato il metodo Marchionne, ma il nuovo ad e il suo team avranno ancora "molto da fare". A parlarne è il Financial Times, con un lungo articolo intitolato "Gli italiani si mettono al lavoro alla Chrysler". "Gli italiani - spiega il quotidiano finanziario - hanno fatto molti cambiamenti da quando hanno preso il controllo operativo del produttore d'auto di Detroit", ma "stanno ancora affrontando seriamente alcuni problemi difficili che perfino il passaggio della Chrysler dalla bancarotta e i miliardi di dollari dell'aiuto del governo americano non hanno risolto". La Fiat, ricorda il FT, presenterà il piano per Chrysler in ottobre o novembre, mentre il board della casa americana dovrebbe essere informato «per la fine di settembre". Intanto, "dietro le quinte, Marchionne sta tagliando la burocrazia e rendendo più efficienti il management e i processi, come fece quando prese le redini della Fiat nel 2004". Secondo Stuart Pearson, analista auto di Credit Suisse, infatti, "questo è il lavoro numero uno alla Chrysler: affrontare la tronfia struttura di controllo". Un consulente vicino alla Chrysler aggiunge che "stanno lanciando sassi e vedendo cosa nuota al di sotto. A volte trovano cose che non vorrebbero trovare". Una delle priorità, dice il FT, è stata "convertire gli impianti della Chrysler al sistema Fiat" cosa che, secondo il sindacalista Leon Rideout, "sta già avendo un grande impatto", con gli addetti che "hanno più autonomia rispetto al passato per risolvere i problemi sulla catena di montaggio" e "l'uso più flessibile dei team di produzione". Cambiamenti, inoltre, si sono verificati anche nel rapporto con i concessionari, in particolare per quanto riguarda scorte e tempi di ordinazione dei veicoli. "L'enigma più grande - avverte però il quotidiano - sarà comunque come superare le carenze dei portafogli vetture. La Chrysler, a lungo dipendente dai pick-up, dai veicoli sportivi e dai minivan, ha bisogno di una linea di auto piccole. È ansiosa di guadagnare peso nel mercato delle familiari. In ogni caso, la Fiat deve produrre almeno 1 milione di pezzi l'anno perchè valga la pena fare un investimento su una nuova piattaforma". A questo proposito, il FT cita tra le varie opzioni all'esame «una nuova versione della berlina Chrysler 300 sotto il marchio Alfa Romeo, mentre anche l'Alfa 169 potrebbe essere prodotta in Nord America». Secondo gli analisti, infine, "Marchionne sarebbe ancora alla ricerca di un altro partner". In ogni caso, conclude il quotidiano, "Marchionne, oltre a sfoltire l'arroccata cultura aziendale ad Auburn Hills, deve anche prestare attenzione alla Fiat", dove tutti i settori sono stati "colpiti duramente dalla crisi globale"
(Fonte: www.ft.com - 3/9/2009)

giovedì 3 settembre 2009

KBA: ad agosto le immatricolazioni del marchio Fiat crescono del 60% in Germania


Il brand Fiat ha registrato sul mercato tedesco una crescita delle immatricolazioni ad agosto del 60,8% a/a a 10.214 unità e del 100,9% a 126.556 nei primi 8 mesi dell'anno. Il marchio del Lingotto, secondo quanto emerge dalle tabelle della KBA, la Motorizzazione tedesca, ha così incrementato la quota di mercato dal 3% di agosto 2008 al 3,7% e dal 3% dei primi 8 mesi del 2008 al 4,7%. Complessivamente il mercato tedesco ha visto le immatricolazioni crescere del 28,4% a/a a 275.219 unità nel mese scorso e del 26,8% a 2.674.600 nel cumulato annuo. Tra gli altri marchi del Lingotto, Alfa Romeo registra ad agosto un incremento delle immatricolazioni del 44,6% a 1.009 unità per una quota dello 0,4% (0,3% ad agosto 08), mentre da inizio anno le Alfa immatricolate ammontano a 8.907 unità (+92,6%) per una quota dello 0,3% (0,2% nell'analogo periodo del 2008). Per quanto riguarda Lancia le immatricolazioni si attestano a 239 unità ad agosto (+21,3%) per una quota dello 0,1% (inv.) e a 2.658 unità da inizio anno (+20,2%) per una quota sempre dello 0,1%. Infine i marchi del gruppo Chrysler (Chrysler, Jeep e Dodge), partecipato dalla Fiat con una quota del 20% del capitale, hanno registrato immatricolazioni per 549 autovetture nel mese (-44,3%) e per 5.773 da inizio anno (-45,7%).
(Fonte: www.kba.de - 2/9/2009)

mercoledì 2 settembre 2009

Die Welt: i sindacati tedeschi chiedono chiarezza su Opel


Basta con indiscrezioni e dietrofront: i sindacati dei metalmeccanici tedeschi, IG Metall, chiedono che si arrivi a una decisione sulla vendita della Opel entro l'inizio del Salone dell'Auto di Francoforte, il 17 settembre prossimo, che vedrà - tra gli altri modelli - anche il debutto della nuova Astra. "Se per allora ci sarà ancora questo bisticcio inutile - ha detto al quotidiano Die Welt il leader della IG Metall di Francoforte, Armin Schild -, il successo della Astra sarà in pericolo. Il danno per la Opel sarebbe enorme". Già lunedì scorso, Schild aveva commentato che l'attuale situazione di stallo "è la seconda soluzione peggiore oltre all'insolvenza", sottolineando che, "infatti, non è affatto una soluzione". Secondo il sindacalista, alla luce di questa impasse, il governo tedesco dovrebbe avviare negoziati diretti con Mosca per cercare di superare le difficoltà. Berlino, ha spiegato, potrebbe dare un "contributo importante" per sciogliere le riserve che ancora nutre la General Motors nei confronti dei partner russi della Magna, cioè l'istituto di credito Sberbank e la casa automobilistica Gaz.
(Fonte: www.welt.de - 29/8/2009)

martedì 1 settembre 2009

Futuro sempre sempre più incerto per Opel


La controllata di General Motors, la tedesca Opel, sta creando in Germania più di un grattacapo. Fino ad ora sembrava che la canadese Magna, un fornitore di componentistica auto, fosse favorita nell'acquisizione del costruttore tedesco. Il quotidiano Bild Zeitung sostiene che che a Berlino, sotto la pressione di General Motors, non c'è più contrarietà alla vendita pura e semplice della Opel al fondo d'investimento belga RHJ. Il giornale non ne cita le fonti ma si dice sicuro che il governo si è deciso a questo cambiamento in accordo con il vice presidente di General Motors, John Smith, arrivato a Berlino martedì per una breve intervista. Il tabloid tedesco sostiene che Berlino avrebbe accettato l'offerta di RHJ a patto che all'operazione si associ un player internazionale del settore automobilistico. L'aiuto finanziario del governo tedesco, pari a 4,5 miliardi di dollari, fino ad ora era subordinato all'operazione che vedeva come capofila Magna. Ma da General Motors hanno fatto sapere che l'offerta del fondo belga sarebbe più facile da mettere in pratica rispetto a quella di Magna. A tutto ciò si aggiunge la svolta General Motors che si è detta pronta a fare addirittura nella direzione di una rinuncia alla vendita di Opel, accompagnata all'iniezione di un certo numero di miliardi a sostegno della ripresa. Tutto ciò nell'ottica di mantenere la propria presenza sul mercato europeo. Non è sicuro se questa rivelazione fatta dal Wall Street Journal, abbia più le caratteristiche di un'operazione speculativa che rispondente alla realtà, resta il fatto che la situazione per Opel si fa sempre più incerta. Per non tralasciare tutti i rumors che provengono da Berlino dall'America, c'è da aggiungere la possibilità che la casa automobilistica italiana Fiat possa ritornare in gioco. Almeno questa è l'opinione che si può leggere su La Repubblica. La ragione per cui Fiat è ancora in ballo è da ricercarsi probabilmente nel fatto che, questa l'opinione almeno all'interno della casa torinese, i piani industriali presentati finora per Opel industrialmente non sono sostenibili.
(Fonte: www.borsaplus.com - 28/8/2009)